Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, nata nel 1490 e morta nel 1547, è stata una delle protagoniste assolute del panorama culturale del XVI secolo; la sua fama, oltre che ad essere legata alla complessità delle appassionanti vicende che la guidarono dalle intellettuali mondanità del periodo giovanile fino all’intensa partecipazione al clima di inquietudine spirituale e religiosa che marcava il suo tempo, risulta in gran parte congiunta allo stretto vincolo di speciale amicizia che la unì a Michelangelo Buonarroti. I due intesserono una trama di intensa relazione tra il ’25-30 e i primi anni quaranta del Cinquecento, in quel momento particolarmente delicato del percorso creativo del maestro che coincide con l’esecuzione del “Giudizio finale” fino all’esito conclusivo della tormentata vicenda del monumento funebre per papa Giulio II. Storicamente il rapporto risalirebbe agli anni Trenta, ma probabilmente esso fu avviato prima.
Il disegno conservato al British museo e risalente al 1525, in cui la donna viene ritratta come guerriera, presenta una singolare figura umana, all’altezza della manica destra della donna. Un uomo che porta qualcosa: un bambino, probabilmente, sulla schiena, e un monte che è il Golgota. Cristoforo. A cosa allude il nome Cristoforo?. Allude al fatto che il figlio di Vittoria, rimasta vedova, è il Cristo, con il suo carico di dolore, come una novella Madonna? Il disegno fu steso lo stesso anno in cui Vittoria diventò vedova.
Il matrimonio con D’Avalos, sebbene combinato per servire le politiche di famiglia, era riuscito anche dal punto di vista sentimentale, ma i due coniugi non trascorsero molto tempo insieme a Ischia dove si erano stabiliti, perché Ferdinando Francesco nel 1511 partì in guerra agli ordini del suocero per combattere per la Spagna contro la Francia. Fu preso prigioniero in occasione della Battaglia di Ravenna nel 1512 e deportato in Francia. Successivamente, divenne un ufficiale dell’esercito di Carlo V e rimase gravemente ferito durante la Battaglia di Pavia, il 24 febbraio 1525. Vittoria partì subito per raggiungerlo ma la notizia della sua morte la colse mentre era in viaggio. Cadde in depressione e meditò il suicidio ma riuscì a riprendersi anche grazie alla vicinanza degli amici.
Una mostra allestita a Casa Buonarroti a Firenze, intitolata appunto “Vittoria Colonna e Michelangelo”, ebbe il merito di presentare al grande pubblico,un articolato ritratto della nobildonna, mettendo in luce, attraverso una puntuale ricostruzione cronologica, aspetti e sviluppi della sua personalità nei diversi contesti di cultura artistica e letteraria in cui ella si trovò ad agire, per giungere, nella parte conclusiva, a portare in piena luce il dialogo privato e intellettuale che condivise con il geniale artista, dialogo che secondo molti ispirò alcune tra le più straordinarie invenzioni di soggetto sacro da questi elaborate. Vittoria crebbe e fu educata a Napoli, in ambiente d’assoluta élite umanistica, perfettamente integrato a quel circuito delle corti che connetteva tra loro tanti centri italiani, da Mantova a Milano, da Ferrara a Urbino a Venezia, generando una densa e unificante circolazione di artisti e di modelli figurativi e letterari. Del resto Vittoria, figlia di Agnesina di Montefeltro, era nipote di quei duchi di Urbino, Guidubaldo di Montefeltro e Elisabetta Gonzaga, che appaiono come figure emblematiche del “Cortegiano” di Baldassarre Castiglione, capolavoro letterario nella cui lunga gestazione ella fu direttamente implicata.
Tra le opere più intensi e dolci che la ritraggono è da annoverare questo ritratto da Sebastiano del Piombo degli anni venti del Cinquecento, che ci restituisce un’immagine di lei ove traspare il suo impegno letterario e che rinvia alle relazioni che il maestro veneziano, amico di Michelangelo, intrattenne con la cerchia di protagonisti della riforma religiosa radunatisi introno alla stessa Vittoria. Qui è raffigurata come una vedova che ama il marito, al di là della morte. Vittoria è infatti ritratta da Sebastiano del Piombo – che spesso lavorava sui disegni di Michelangelo – come Artemisia, regina della Grecia antica, famosa nella storia per il suo straordinario dolore alla morte del marito Mausolo. Si racconta che, alla morte del marito, si rattristò tanto da preparare una bevanda con le sue ceneri e ossa tritate, Ciò per tenerlo dentro di sè, per sempre.
Tra i dipinti amati dalla poetessa la “Trasfigurazione” tratta dall’opera di Raffaello che Vittoria commissionò a Giovan Francesco Penni (allievo dell’Urbinate) per poi donarla all’ospedale napoletano degli Incurabili. Agli anni che coincidono con l’esordio letterario di Vittoria Colonna come poetessa, con il manifestarsi delle sue prime inquietudini spirituali e con l’avvio del suo intenso rapporto con Pietro Bembo, cioè intorno agli anni trenta, risale la commissione parallela di due raffigurazioni della Maddalena che Vittoria assegnò ai più celebrati maestri del tempo: Michelangelo e Tiziano. Quest’ultimo eseguì una Maddalena penitente, mentre il primo realizzò il cartone di un “Noli me tangere” di cui restano due disegni preparatori e la raffinata traduzione su tavola eseguita dal Pontormo, opere tutte presenti in mostra.Profonda fu l’amicizia e l’intensa intellettuale tra Vittoria e Michelangelo, accomunati da identici interessi politici e da un fecondo e continuo scambio di idee. Il Buonarroti realizzò per l’amica poetessa tre celeberrimi disegni: una “Crocifissione” con il Cristo vivo, opera perduta ma nota attraverso disegni preparatori (British Museum e Louvre); la “Pietà” dell’Isabella Stuart Gardner Museum di Boston, riflessione sulla figura di Cristo che riporta a uno degli aspetti cruciali del dialogo tra l’artista e Vittoria; e il “Cristo e la Samaritana”, di cui si possiede uno studio parziale di Michelangelo, mentre l’intera composizione si conosce attraverso una stampa di Nicolas Beatrizet e un dipinto di Marcello Venusti, entrambi proposti a Casa Buonarroti.
Vittoria, una vita tra fede e cultura. Vittoria, figlia del celebre capitano Fabrizio Colonna e di Agnese di Montefeltro, nacque a Castello di Marino (Roma) nel 1490. Donna colta e raffinata, ebbe contatti con i più importanti letterati del secolo. Il suo esordio come poetessa la vede inserirsi nella corrente del petrarchismo cinquecentesco, teorizzato da Pietro Bembo. Nel suo “Canzoniere” (di cui non permise la pubblicazione e che fu edito postumo nel 1558) cantò l’amore per il marito Ferdinando Francesco d’Avalos, il dolore per la sua morte e il sentimento religioso che, vedova, la portò a vivere quasi sempre in convento. Attenta allo spirito della Riforma protestante, non abbandonò comunque l’ortodossia cattolica, condividendo con l’amico Michelangelo un intenso dialogo intorno ai temi religiosi. Morì a Roma nel 1547.
La psicanalista Vittoria Magherini, colei che definì in termini medici la sindrome di Stendhal, dedicò uno studio alla bisessualità di Michelangelo, mettendo in luce le differenze dei rapporti affettivi che Michelangelo stabilì o cercò di stabilire con gli uomini e con le donne elette. I due personaggi – almeno secondo quanto è testimoniato da lettere e opere d’arte- che furono oggetto del maggior trasporto amoroso dell’artista furono Tommaso de’ Cavalieri e Vittoria Colonna.
“Buonarroti dedicò a Tommaso sonetti molto belli, di tipo neoplatonico, di una raffinata sensibilità e parte integrante dell’Umanesimo fiorentino. – dice Magherini – Dall’osservazione psicoanalitica emergono però, sia pure mascherati, evidenti sentimenti omoerotici. Straordinario è il confronto con i disegni che l’artista regalò al giovane. Mi riferisco al “Ratto di Ganimede”, alla “Punizione di Tizio” e ai “Baccanali dei putti”. Si tratta di lavori davvero eloquenti. Del “Ganimede” esistono due versioni: se nella prima Ganimede oppone resistenza a Zeus, in un mix ambivalente di desiderio e paura, nella seconda egli si offre invece in dolce abbandono, in un atteggiamento pervaso da estasi e beatitudine. Nella “Punizione di Tizio”, il protagonista, colpito dall’aquila, si fa metafora del senso di colpa vissuto da Michelangelo. Ma ancora più straordinario è il disegno con i “Baccanali dei putti”. Qui siamo di fronte ad un’espressione di livelli regrediti. Ragazzini nudi che indugiano, appunto, in baccanali, qua trascinando un cervo morto, là trasportando un maiale; un bimbo che urina in un vaso di vino; giovani persi, senza dignità… Nella parte inferiore dell’opera, il contrasto è clamoroso. C’è un uomo nudo che dorme scoperto, in un’atmosfera di profonda tristezza, in un atteggiamento che ricorda da vicino, ad esempio, il “Mosè ubriaco” della Sistina; e c’è una donna-satiro, bruttissima, con i seni flaccidi. Emerge con nettezza un ruolo paterno depresso da un lato, ed un senso della maternità svuotato dall’altro, in una figura di madre quasi fallica, che combina il ruolo maschile e quello femminile. Insomma, i disegni sono diretti, sensoriali: a differenza dei sonetti, che pure – come già accennavo – contengono, sottesa, la materialità della carne.
E per quanto riguarda Vittoria Colonna? Che cosa ci dicono in proposito le opere michelangiolesche, ed in particolare i disegni che l’artista donò all’amica?
Il percorso che riguarda Vittoria Colonna è diverso. Vittoria fu – rispetto a Tommaso – un gigante, di spiccata personalità, e grande consolatrice di Michelangelo in periodi per lui difficilissimi, di acuto pessimismo. Prendiamo ancora i disegni. Se confrontiamo quelli che l’artista donò a Tommaso con quelli regalati a Vittoria (il “Crocifisso” e la “Pietà”), scopriamo che in questi ultimi traspare il dolore della mancata risposta ad un sostegno desiderato e necessario, traspare una richiesta di soccorso accorata e struggente; mentre i sonetti sono più “freddi” di quelli scritti per Tommaso. Un altro risvolto. Vittoria fu l’unica, autentica amicizia femminile del Buonarroti: anzi, egli la definì come “amico”, al maschile. Riscontriamo così da una parte il bisogno di un accudimento quasi materno, dall’altra l’emergere di un’immagine ambigua. Pensiamo agli elementi maschili presenti nelle figure femminili: ai “muscoli di maschio” elogiati dall’Aretino, per intenderci. Un po’ tutte le donne di Michelangelo sono così: dalla Venere del cartone di “Venere e Cupido” (poi dipinto dal Pontormo), alla “Notte”. L’aspetto forse più curioso è che un simile, nuovo ideale di bellezza fece tendenza, si impose in quegli anni a Firenze.
Il genio e la poetessa. Fu amore quello tra Michelangelo-bisex e Vittoria Colonna?
Un altro risvolto. Vittoria fu l’unica, autentica amicizia femminile del Buonarroti: anzi, egli la definì come “amico”, al maschile. Riscontriamo così da una parte il bisogno di un accudimento quasi materno, dall’altra l’emergere di un’immagine ambigua. Pensiamo agli elementi maschili presenti nelle figure femminili: ai “muscoli di maschio” elogiati dall’Aretino, per intenderci. Un po’ tutte le donne di Michelangelo sono così: dalla Venere del cartone di “Venere e Cupido” (poi dipinto dal Pontormo), alla “Notte”. L’aspetto forse più curioso è che un simile, nuovo ideale di bellezza fece tendenza, si impose in quegli anni a Firenze.