“Il vero volto di Dante Alighieri – L’avventura di un quadro” è il titolo di una mostra organizzata a Orvieto – dal 14 settembre al 14 novembre 2021 – negli spazi espositivi del Museo “Claudio Faina” in piazza Duomo.
Al centro dell’esposizione il singolare dipinto di un autore ignoto, da almeno sessant’anni custodito nell’ufficio del Sindaco di Orvieto, che raffigura Dante Alighieri con la barba, una fedele descrizione che del Sommo Poeta fa il suo primo biografo, Giovanni Boccaccio, nel Trattatello in laude di Dante scritto tra il 1351 e il 1355 («Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso»).
Il quadro, probabilmente realizzato nei decenni finali del Cinquecento, lo raffigura in maniera completamente diversa dall’iconografia ufficiale e rappresenta una rarità. Dante viene immortalato con la barba solo in miniature presenti in alcune versioni illustrate della Divina Commedia mentre altre due immagini che lo ritraggono con pizzetto e baffi sono state rintracciate in un disegno di Tito Lessi (1858-1917) e nel “Ritratto di Dante” del pittore russo Il’jaRepin (1844-1930) esposto al Kostroma State Historical-Architectural and Art Museum.
Giovanni Boccaccio (1313 – 1375) era più giovane di Dante (Firenze 1265 – Ravenna, 1321) ma ebbe evidentemente la possibilità – se non di incontrarlo – di intersecare la memoria di precisi testimoni, non solo a Firenze, ma anche Ravenna, dove risiedette un anno circa – tra il 1345 e il 1346 – alla corte di Ostasio da Polenta. Il suo trattello In laude di Dante fu scritto qualche anno dopo il suo lungo soggiorno nella città che aveva accolto, in vita e in morte, il sommo pittore fiorentino. Inoltre possiamo tener conto del fatto che Dante incontrò Petrarca e Petrarca incontrò Boccaccio. Gli scrittori sviluppano sempre – come in genere i cronisti – una notevole capacità di analisi di ciò che hanno davanti e sono particolarmente attenti ai particolari.
Secondo quanto affermato dallo stesso Petrarca nella Familiares, XXI, 15 indirizzata a Boccaccio, a Pisa avvenne, probabilmente, il suo fugace incontro con l’amico del padre, Dante. Breve e fugace, ma probabilmente oggetto di un “blocco immagine” da parte di Petrarca. Oltre alla corrispondenza, Petrarca e Boccaccio si incontrarono di persona più volte. Nel 1363 e nel 1367 Petrarca è raggiunto da Boccaccio a Venezia. L’anno successivo si vedono a Padova. E questi sono solo gli incontri documentati. E’ chiaro che i due, entrambi ammiratori di Dante, avessero a lungo parlato del poeta fiorentino. E che, essendo tra scrittori – e in un’epoca, nella quale, scarseggiavano le immagini mentre le testimonianze orali e scritte erano fondamentali nell’ambito di ogni ricostruzione di volti o paesaggi, si giungesse a una precisione notevole nel ricostruire, attraverso la parola, la fisionomia del poeta.
Con il dipinto conservato oggi a Orvieto si volle dare, in linea con le testimonianze, un volto più realistico al poeta. E, in effetti, il risultato è in linea con una delle tipologie di volti che permangono, a livello genetico, nella gamma fisionomica italiana. Mentre altri ritratti, anche più antichi, tendono a un’accentuazione simbolica e sintetica di alcuni particolari del volto stesso, trasfigurandolo in una dimensione unica e leggendaria.
Il quadro cinquecentesco conservato a Orvieto si baserebbe sulla trasposizione degli elementi descritti trasferiti da Boccaccio nel trattatello, che trovarono rispondenza nel ritratto grafico realizzato da Francesco Sansovino per il frontespizio dell’edizione veneziana della “Commedia” dantesca, edita a metà del Cinquecento.
“Il primo accenno al quadro – ha spiegato il curatore della mostra, Giuseppe Maria Della Fina – si trova in un articolo de L’Osservatore Romano del 22 novembre 1967 a firma di V. Presicci, recuperato e valorizzato di recente da Aldo Lo Presti. L’inquadramento cronologico e stilistico si deve allo storico dell’arte Michele Maccherini. Di certo la barba sul volto di Dante è autentica e non è stata aggiunta successivamente come hanno confermato le analisi effettuate dai restauratori del Consorzio Pragma, Valentina Romé, Davide Rigaglia e Massimiliano Massera”.
Il quadro, insieme ad altri – ha aggiunto – arrivò probabilmente in Comune nel 1927 trasferito dopo la soppressione della Sottoprefettura di Orvieto che a sua volta aveva acquisito opere d’arte provenienti almeno da due antiche nobili famiglie orvietane: Pandolfi Alberici e Gualterio.
In mostra, insieme al quadro di Dante, interessato da un intervento di ripulitura ad opera di Chiara Munzi e Giuseppe Ammendola di Keorestauro, ci saranno anche un dipinto di Petrarca attribuito allo stessa mano che dpinse Dante, una versione del 1927 del ‘Trattatello di Boccaccio’ e la cartolina tratta dal dipinto di Tito Lessi, entrambi provenienti dalla collezione privata di Aldo Lo Presti, e due statue di Papa Bonifacio VIII realizzate nel 1297 per essere posizionate sulle porte di ingresso alla città. Il pontefice, citato con parole durissime nella ‘Divina Commedia’, ebbe infatti un’influenza considerevole nella vita politica di Orvieto. Per gentile concessione della Bonelli Editore, inoltre, saranno esposte anche la copertina e le tavole del racconto a fumetti ‘PapeSatànAleppe!’, inserito nello speciale n. 38 di Martin Mystère dell’agosto 2021, che s’ispirano al Dante con la barba di Orvieto”.
“Il ritratto di Dante con la barba di Orvieto – ha sottolineato Michele Maccherini, storico dell’arte dell’Università degli Studi de L’Aquila – si presenta come un unicum e sembra essere ispirato dal frontespizio della ‘Comedia’ di Francesco Sansovino uscita a Venezia nel 1564 di cui si ebbero due riedizioni nel 1578 e nel 1596. La data del dipinto deve quindi essere successiva ad una delle tre edizioni del volume. Sempre nella stanza del Sindaco di Orvieto, accanto al ritratto di Dante con la barba e frutto di uno stesso progetto intellettuale e anche dello stesso pennello, si trova un ritratto di Petrarca. Quest’ultimo consente di formulare almeno un’ipotesi sul contesto artistico in cui venne creato. Una certa vivezza del ritratto, certe sottolineature epidermiche, la rotondità delle forme, una sorta di morbidezza neoraffaellesca, il tutto ancorato all’universo della maniera moderna, sembra indicare soluzioni nate nell’ambito dei fratelli Zuccari”.
“Riscoprire – ha detto il Sindaco di Orvieto e Assessore alla Cultura, Roberta Tardani – significa mostrare nuovo interesse verso qualcosa di dimenticato o scarsamente valorizzato e questo abbiamo fatto, osservando con uno sguardo diverso e con curiosità quello che avevamo avuto sempre sotto agli occhi. Ma determinante è stato poi il lavoro della Fondazione per il Museo ‘Claudio Faina’ e del presidente Daniele Di Loreto nell’andare a cercare se quella raffigurazione del Sommo Poeta, così distante dall’iconografia ufficiale, fosse in realtà diffusa o, al contrario, unica. Oggi si cercano storie e quel dipinto ne racconta una. La storia di un pittore che, con ogni probabilità negli ultimi decenni del Cinquecento, ha voluto dare vita alle parole con cui nientemeno che Boccaccio aveva descritto Dante Alighieri. In quel momento, magari inconsapevolmente, l’autore del nostro quadro ha scattato un’istantanea unica e oggi, sicuramente, inedita. Ma questo è solo la premessa del racconto perché il Dante con la barba non ci consente solo di ‘riscoprire’, ma anche di andare a rileggere un pezzo della storia della città. Quella dei capolavori di Luca Signorelli che dipinge la Cappella di San Brizio lasciando una delle raffigurazioni più iconiche del Sommo Poeta, quella del pozzo di San Patrizio così legato al concetto del Purgatorio dantesco narrato nella Divina Commedia, lo stesso dove Dante ‘incontra’ le nobili famiglie orvietane dei Monaldeschi e Filippeschi. Una lunga e bellissima storia, la nostra, che non dovremmo mai stancarci di guardare con occhi sempre diversi e curiosi”.
“Questa mostra nasce per caso – ha affermato il presidente della Fondazione per il Museo “Claudio Faina”, Daniele Di Loreto – dalla diversa curiosità con cui abbiamo osservato quel quadro nello studio del Sindaco che avevamo visto chissà quante altre volte senza mai coglierne l’aspetto più singolare, una rarità iconografica che ci era sempre sfuggita. Una mostra che nasce per caso ma con una grande passione per la cultura, questa non casuale, senza la quale nulla si potrebbe realizzare”.
Il catalogo della mostra, edito da Intermedia Edizioni, è a cura di Giuseppe M. Della Fina con testi di Aldo Lo Presti, Michele Maccherini, Francesco Federico Mancini e Teresa Nocita.