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La Ragazza con l’orecchino di perla è stata esposta a Bologna, grazie al critico Marco Goldin, che ha chiesto ai due massimi esperti del settore di lavorare ad una scheda analitica completa relativa al dipinto. Il lavoro è stato poi ampliato, nella seconda parte, da interventi complementari svolti dalla redazione di Stile arte. Eccoli.
di Quentin Buvelot e di Ariane Suchtelen
Il suo volto, intensamente illuminato, è messo magnificamente in risalto dallo sfondo scuro e dal panno azzurro intorno alla fronte, indossato come parte di quel copricapo, quasi un turbante, che le conferisce un’aria esotica.
Il titolo di questo dipinto di Johannes Vermeer è suggerito dal grande orecchino la cui perla riflette la luce proveniente da sinistra, in alto, e, più tenuemente, il bianco del colletto sottostante. Intorno al 1665 Vermeer dipinse diverse “tronie” delle quali questa fanciulla – una delle opere più amate dai visitatori del Mauritshuis – è sicuramente la più nota. Nella pittura olandese del Seicento le “tronie”, ritratti raffiguranti il volto di personaggi convenzionali o tipi più che di persone riconoscibili, sono un genere di arte popolare presente nella pittura olandese del Seicento. Il volto idealizzato della fanciulla e il suo insolito abbigliamento conferiscono al dipinto un carattere di atemporalità, di mistero. Un’aura di pace e di armonia pervade l’immagine, che sembra cogliere un momento arrestato nel tempo. Il modo in cui la giovane donna, con la bocca appena socchiusa, porge il suo sguardo volgendo il capo suscita in noi quasi la sensazione di aver disturbato i suoi sogni. Il quadro invita alla congettura e questo aspetto ha sicuramente contribuito alla straordinaria popolarità del più famoso dipinto di Vermeer.
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La “Sfinge di Delft”
Circa 150 anni fa Vermeer era soprannominato la “Sfinge di Delft” poiché ben poco si sapeva della sua vita e del suo lavoro. Benché in seguito siano emerse molte notizie sull’artista, egli rimane tuttora una figura enigmatica. Vermeer trascorse tutta la vita nella natia Delft, una fiorente città della provincia d’Olanda, non lontano dall’Aia, sede del governo.
Nel XVII secolo Delft era un importante centro commerciale e industriale, la cui prosperità dipendeva dalla produzione della birra, dei tessuti e di una tipica ceramica chiamata appunto “Delfts Blauw” (“Blu di Delft”). Durante la Guerra degli ottant’anni, l’insurrezione olandese contro la Spagna per la conquista dell’indipendenza, il principe Guglielmo d’Orange (1533-1584), capo della rivolta, scelse Delft come base delle operazioni. Nel 1584 il principe fu assassinato nel Prinsenhof, la residenza o “Corte del principe” dalla quale egli guidava i ribelli. Guglielmo fu sepolto nella Chiesa Nuova (Nieuwe Kerk) della città, da allora luogo di sepoltura di tutti i membri della Casa d’Orange. Nel 1632, quasi cinquant’anni dopo il triste assassinio del “Padre della nazione”, a Delft nacque Vermeer, il cui padre lavorava in loco come tessitore di seta, ma anche come locandiere e mercante di opere d’arte.
Nel 1653 Vermeer si sposò con Catharina Bolnes (1631-1687), probabilmente dopo essersi convertito alla fede cattolica. La coppia ebbe complessivamente quindici figli, quattro dei quali morirono in giovane età. E’ assai probabile che, oltre alle cameriere, egli abbia usato figli e figlie come modelli. Per due volte Vermeer fu decano della Gilda di san Luca, una corporazione di pittori, e ogni volta rimase in carica per due anni.
Nel 1672 si trovò in difficoltà finanziarie a causa del declino economico conseguente all’invasione francese della Repubblica olandese. Tre anni dopo egli morì, quarantatreenne, lasciando la moglie e i figli minorenni in uno stato di povertà; fu sepolto nella Chiesa Vecchia (Oude Kerk) di Delft. La sua fu una fine triste per un artista che è oggi considerato, insieme a Rembrandt van Rijn e Frans Hals, uno dei più importanti pittori dell’Epoca d’Oro olandese. Forse i problemi finanziari di Vermeer derivarono in parte dalla sua scarsa produttività, ma ciò non gli impedì di diventare famoso; con ogni probabilità fu, infatti, la sua grande reputazione che nel 1663 stimolò il diplomatico francese Balthasar de Monconys (1611-1665) a visitare la bottega dell’artista per vedere i suoi quadri. In Beschryvinge der Stadt Delft (Descrizione della città di Delft) del 1667, Dirck van Bleyswijck (1639-1681) inserì un’ode dedicata a Vermeer in cui celebrava il pittore come successore artistico di Carel Fabritius. Nel XVIII secolo, Vermeer cadde nell’oblio, a tal punto che non si riconobbe più la sua mano e i rari dipinti da lui eseguiti furono spesso attribuiti ad altri maestri.
Diana e le sue ninfe, ad esempio, fu acquisito dal Mauritshuis nel 1876 come un’opera di Nicolaes Maes (1634-1693); il vero autore non fu riconosciuto che molti anni dopo. Vermeer fu riscoperto soltanto gradualmente nel XIX secolo da un gruppo di appassionati d’arte. Un importante impulso alla sua riabilitazione venne da un entusiastico articolo dello scrittore francese Théophile Thoré pubblicato nell’autorevole «Gazette des Beaux-Arts». Nonostante ciò trascorsero molti anni prima che il nome di Vermeer raggiungesse l’attuale livello di celebrità. Un tipico esempio di questo lento recupero è la storia della Ragazza con l’orecchino di perla. Quando la tela fu messa in vendita all’asta nel 1881 all’Aia, soltanto un accorto offerente e un suo amico appassionato d’arte si accorsero che si trattava di un capolavoro di Vermeer, perciò l’opera fu battuta all’asta a un prezzo incredibilmente basso.
Il corpus d’opere di Vermeer
Rispetto alla produzione di pittori come Rembrandt e Hals, il corpus d’opere di Vermeer è estremamente ridotto: di mano dell’artista ci rimangono soltanto trentasei quadri. In una carriera durata oltre vent’anni egli sicuramente ne dipinse un numero maggiore, ma non sempre le opere d’arte sopravvivono ai danni del tempo. Probabilmente Vermeer dedicò un lungo e intenso lavoro a ogni suo quadro, nel contempo era impegnato anche in altre attività, ad esempio nel commercio di opere d’arte, e talvolta veniva consultato per valutare i dipinti. Di certo, inoltre, la sua grande famiglia esigeva anch’essa un bel po’ d’attenzione.
Nonostante la sua modesta consistenza, la produzione di Vermeer mostra uno sviluppo molto chiaro. Intorno al 1654 l’artista cominciò la sua carriera dipingendo quadri di soggetto storico basati su temi biblici o mitologici, per esempio Diana e le sue ninfe, in cui è raffigurata la dea della caccia attorniata dalle sue compagne. Le figure idealizzate e la scelta di colori caldi testimoniano l’influenza della pittura italiana sul giovane Vermeer.
Un inizio così ambizioso rivela grandi aspirazioni, poiché la pittura storica era allora considerata la forma d’arte più alta. Ben presto, tuttavia, Vermeer cambiò direzione: intorno al 1656 cominciò a dedicarsi alle scene di genere e a ridurre sempre più le dimensioni delle sue tele.
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È con queste immagini di vita quotidiana, in cui una o più figure sono ritratte in un interno, che Vermeer riuscì ad attirare l’attenzione di un piccolo ma fedele seguito di intenditori e infine, dopo la morte, divenne uno dei più amati pittori dell’Epoca d’Oro olandese. L’artista dipinse anche alcuni paesaggi cittadini, di cui il più pregevole è la famosa Veduta di Delft.
Nel corso degli anni Vermeer raffinò sempre più la sua tecnica; l’uso di piccoli tocchi di colore per creare un’illusione di luce sulla superficie di un oggetto indica davvero un’abilità da grande maestro. Questo “puntinismo” fu sfruttato, per esempio, con grande effetto nel quadro La lattaia, in cui innumerevoli minuscole lumeggiature rendono i pani e le stoviglie quasi palpabili. È stato spesso detto che questa tecnica tradisce l’uso di strumenti ottici, quali la camera oscura, ma tale ipotesi non è dimostrata.
Dopo il 1660 Vermeer cominciò ad applicare un colore meno denso e a usare più sobriamente gli effetti di luce. I contorni allora si ammorbidirono. Nel rigoroso rispetto delle regole della prospettiva, l’artista si concentrò spesso su interni in cui era presente una sola figura, solitamente una giovane donna . Una tavola con le sue sedie, telai di finestre, un dipinto o una mappa sulla parete: sono, questi, gli elementi che definiscono l’ordine spaziale accuratamente concepito in cui si svolge la scena.
È in questa fase della sua carriera che Vermeer dipinse La ragazza con l’orecchino di perla. Nelle opere più tarde la luce diffusa tipica del periodo precedente lasciò il posto a un’illuminazione più brillante e a una tecnica vigorosa, lievemente semplificata, ma l’espressività e l’eloquenza dell’immagine rimangono inalterate. Tratti costanti della pittura di Vermeer sono le composizioni attentamente equilibrate, l’atmosfera silenziosa delle scene domestiche e la resa estremamente raffinata della luce, i cui riflessi sui vari tessuti e materiali creano un’impressione di tangibilità.
Tecnica pittorica
La ragazza con l’orecchino di perla è un ottimo esempio del virtuosismo pittorico di Vermeer. Il volto è modellato con vellutata morbidezza, cosicché i passaggi chiaroscurali si fondono; il turbante e gli abiti sono invece dipinti con un’infallibile pennellata libera ed espressiva. Resi con la massima delicatezza sono i piccoli riflessi di luce negli occhi della fanciulla, sul suo labbro inferiore e nell’angolo della bocca, dove appena un paio di tocchi rosa sovrapposti bastano a produrre l’effetto giusto.
La fascia azzurra intorno al capo è dipinta con la tecnica del bagnato su bagnato; il pigmento utilizzato è il costoso blu oltremare, mescolato direttamente sulla tela e steso con vigorose pennellate semicircolari, chiaramente visibili. Il colletto bianco evidenzia un impasto steso ad ampie pennellate, mentre la giacca è abbozzata piuttosto sommariamente, anch’essa con la tecnica del bagnato su bagnato. Le sue ombre fanno pensare a una stoffa spessa e piuttosto rigida.
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Vermeer era ben consapevole degli effetti tonali prodotti dalla modellazione sottostante là dove il colore traspariva qua e là attraverso la superficie, perciò realizzò le ombre del volto utilizzando una base rossa e bruna, sovrappose i passaggi di luce a uno strato caldo color panna e per le ombre del turbante e di altre parti dell’abito ricorse a uno strato nero sottostante. Quindi, mediante un’alternanza di materia opaca e materia trasparente, riuscì a rendere più o meno visibile il colore degli strati sottostanti. Anche lo sfondo scuro è dipinto sopra una base nera; Vermeer ha poi applicato una velatura finale verde traslucida, che il tempo ha molto scurito.
Una “tronie” esotica
Due dei più importanti elementi del quadro di Vermeer sono la perla dell’orecchino e il copricapo della fanciulla, costituito da un panno giallo tenuto fermo da una fascia di stoffa azzurra che cinge la fronte. La giacca giallo-verde è dipinta in modo così sommario che non è facile distinguere il tessuto in cui è realizzata; si tratta probabilmente di una di stoffa di lana. Spesso questo indumento è considerato parte dell’abbigliamento esotico della fanciulla, in realtà altro non è che una tipica giacca dell’epoca: le maniche lunghe, con cucitura alta e un’arricciatura sul dietro erano di moda nel decennio 1660-1670, quando il ritratto fu dipinto. La perla dell’orecchino è molto grande. Oggi le perle sono per lo più coltivate, nel XVII secolo venivano invece usate soltanto quelle che si formavano naturalmente nelle ostriche e in altri molluschi. Le perle di grandi dimensioni erano così rare che soltanto i più ricchi potevano permettersele. Le perle finte di vetro erano un’alternativa meno costosa. Tali perle, molte delle quali giungevano da Venezia, erano poi verniciate per acquisire una lucentezza attenuata. Forse la “perla” dell’orecchino appartiene a questo genere di finto gioiello.
Neppure il turbante, così come la grande perla, era un ornamento abituale per una ragazza olandese del Seicento. Questo strano indumento è tipico di una “tronie” più che di un ritratto tradizionale. È proprio per dare alla sua immagine l’aspetto di una “tronie” che Vermeer scelse deliberatamente tale copricapo. Neppure il volto idealizzato ha il carattere del ritratto. Le “tronie”, che rappresentano modelli anonimi, sono una sottocategoria della ritrattistica dell’Epoca d’Oro olandese.
Tali raffigurazioni, dipinte dal vero oppure inventate, non volevano riprodurre le sembianze di una persona specifica, erano invece intese come studi di tipi o di espressioni facciali. Questa categoria comprende anche figure immaginarie che evocavano associazioni particolari. A volte i pittori utilizzavano il proprio volto come modello per le loro “tronie”, molte delle quali sono giunte sino a noi. Questo genere pittorico fu divulgato soprattutto da Rembrandt, nel secondo quarto del XVII secolo, in vari dipinti e stampe, fra cui la sua “tronie” di Uomo con berretto ornato di piume (1635-1640 circa).
Il fatto che La ragazza con l’orecchino di perla non sia l’immagine di una persona reale bensì un’anonima figura di fantasia non ha scoraggiato i molti tentativi di scoprire la sua identità. Lo scrittore francese André Malraux (1901-1976), per esempio, vide in lei Maria Vermeer, la figlia maggiore dell’artista nata nel 1654 o l655. Malraux non fu il primo – né sarà certamente l’ultimo – a collegare figure anonime con membri della famiglia dell’artista. In passato questi tentativi di identificazione si sono concentrati, generalmente senza successo, sulle molte “tronie” dipinte da Rembrandt.
Per il soggetto, la posa e l’abbigliamento rappresentati nel ritratto il pittore sembra essersi ispirato all’opera di un contemporaneo, Michael Sweerts (1618-1664), le cui tele erano ben note a Vermeer. Tra il 1655 e il 1660 Sweerts dipinse soprattutto figure a mezzo busto con profili intensamente illuminati, proposti su un uniforme sfondo scuro, ne è un buon esempio Ritratto di giovane. Questi dipinti di Sweerts sono paragonabili a La ragazza con l’orecchino di perla in quanto assomigliano più a studi di tipi che a ritratti tradizionali. La differenza fra una “tronie” e un ritratto è evidenziata da un’analoga composizione di Frans van Mieris il Vecchio (1635-1681) del 1657-1658: che in tal caso l’immagine sia l’effettivo ritratto della moglie dell’artista, vestita con abiti in voga in quell’epoca, è dimostrato dai tratti straordinariamente specifici del volto.
La ragazza con l’orecchino di perla non è l’unica immagine di “tronie” dipinta dall’artista; allo stesso periodo, infatti, appartengono anche il suo Studio di ragazza e Fanciulla con cappello rosso. Ritratti di questo genere risultano inclusi in inventari dell’epoca; “Una tronie di Vermeer” è una voce inserita, per esempio, in un inventario del 1664 riguardante il patrimonio dello scultore Johan Larson, attivo alla corte dell’Aia. L’inventario dei beni di Vermeer, redatto nel 1676, tre mesi dopo la morte del pittore, riporta: «Due tronie dipinte con foggia turca.» Può ben essere che una di tali opere fosse La ragazza con l’orecchino di perla, visto che il suo sorprendente turbante è un tipico accessorio del tradizionale abbigliamento usato nell’Impero Ottomano, cui la Turchia un tempo apparteneva. Ciò significa, se vero, che Vermeer non si separò mai dal suo dipinto.
Ad Amsterdam, vent’anni dopo, il 16 maggio del 1696, ventun quadri di Vermeer furono venduti all’asta dei beni di Jacob Dissius (1653-1695), uno stampatore di Delft il quale possedeva più della metà delle opere dell’artista attualmente note. Dissius aveva ereditato questa straordinaria collezione dal suocero Pieter van Ruijven (1624-1674), il quale viveva agiatamente di rendita. Varie fonti ritengono che Van Ruijven sia stato il più importante cliente di Vermeer e forse anche il suo protettore. Il catalogo della vendita del 1696 elenca tre “tronie” di Vermeer, fra cui “Una tronie in abito antico, di straordinaria maestria”. Anche questa descrizione è collegabile con il dipinto tanto apprezzato della collezione Mauritshuis. La generale definizione, in questo e in altri vecchi inventari – che distingue fra “tronie” e “conterfeytsel” (ritratto) – indica ancora una volta che le “tronie” non volevano effigiare persone realmente esistenti.
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La provenienza di La ragazza con l’orecchino di perla rimase oscura fino al 1881, quando fu proposta in una vendita all’Aia in cui era messa all’asta la collezione di un certo signor Braams. Victor de Stuers (1843-1916), importante storico d’arte, riconobbe la qualità del dipinto e disse all’amico Arnoldus des Tombe (1818-1902) di acquistarlo. I due concordarono di non contendersi l’opera con continui rialzi in modo da non suscitare sospetti. Des Tombe riuscì ad aggiudicarsi il quadro per due soli fiorini, più trenta centesimi per commissione d’acquisto: un incredibile affare. Il nuovo proprietario affidò a un pittore di Anversa l’incarico di restaurare la tela, danneggiata dalla grave incuria. Des Tombe, che apparteneva a una famiglia illustre, era sposato con la nobildonna Carolina Hester de Witte van Citters (1820-1901); la coppia, tuttavia, non aveva figli. La loro residenza, non lontana dal Mauritshuis, era arredata come un museo ed era aperta ai visitatori. Nel 1885 un altro consulente di Des Tombe, Abraham Bredius (1855-1946), futuro direttore del Mauritshuis, fu il primo a elogiare in pubblico La ragazza con l’orecchino di perla. Alla morte di Des Tombe nel dicembre del 1902 si scoprì che il collezionista aveva segretamente lasciato in eredità al Mauritshuis dodici dipinti, fra cui il capolavoro di Vermeer, il quale nel 1881 era già stato esposto nel museo.
Da allora la celebrità del quadro ha continuato a crescere. Nel 1995-1996 fu uno dei titoli di spicco nella retrospettiva vermeeriana allestita al Mauritshuis e alla National Gallery of Art di Washington. Quella mostra, la prima rassegna del corpus d’opere dell’artista presentata dopo il 1696, fu un trionfo senza precedenti, con visitatori in arrivo da ogni parte del mondo. Da allora Vermeer e la Scuola di Delft sono stati oggetto di molte altre mostre, fra cui The Public and the Private in the Age of Vermeer, un evento di grande successo organizzato dal Museo Municipale d’Arte di Osaka nel 2000. In via eccezionale La ragazza con l’orecchino di perla fu inviata alla mostra in Giappone, lasciando dunque temporaneamente il Mauritshuis, dove si era affermata come una delle immagini preferite dal pubblico e uno dei massimi vanti della collezione. Se in passato i visitatori dell’Aia accorrevano a vedere principalmente Il toro di Paulus Potter o La lezione di anatomia del dottor Tulp, oggi l’attrazione principale del museo è Vermeer. Il film La ragazza con l’orecchino di perla del regista Peter Webber proiettato in prima visione nel 2003 ha contribuito ad accrescere ulteriormente la fama del quadro. Il film si basa sull’omonimo romanzo di Tracy Chevalier, un best seller internazionale incentrato sull’idea che a posare per il ritratto sia stata una domestica dei Vermeer. Viene ipotizzato che la fanciulla abbia posato per il pittore una sola volta, prima di lasciare la casa in conseguenza di una disputa riguardo a un orecchino di perla. L’attore britannico Colin Firth interpreta il ruolo di Vermeer e Scarlett Johansson quello della giovane serva. Nel 2006 un sondaggio organizzato dal giornale nazionale «Trouw» dichiarava La ragazza con l’orecchino di perla il più bel dipinto dei Paesi Bassi. La notorietà del ritratto ha raggiunto a tal punto le proporzioni del mito che si è tentati di definire quest’opera, sempre misteriosa, di Vermeer la “Gioconda olandese”.
Ecco il film che ha contribuito a riaccendere l’interesse in Vermeer e acceso l’interesse di migliaia di persone per la meravigliosa “Gioconda olandese”, interpretata da una sublime
PSICOLOGIA DELLA PERCEZIONE: PERCHE’SIAMO ATTRATTI DALLA RAGAZZA CON L’ORECCHINO DI PERLA
a cura della redazione di Stile arte
Il volto girato, lo sguardo che coglie lo spettatore dietro di sé, senza affrontarlo direttamente con l’incontro degli occhi. Alcuni quadri – al di là dell’abilità pittorica di chi li ha dipinti e pertanto della qualità artistica da cui sono connotati – creano una breccia empatica immediata in chi li osserva. Il motivo? I personaggi assumono una postura iconicamente legata alla psicologia del profondo. E’ il caso de “La ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer, al quale, anni fa è stato dedicato l’omonimo romanzo. L’autrice ha ben colto il valore iconico di quell’immagine, in precedenza conosciuta da un gruppo abbastanza ristretto, quello degli appassionati d’arte, e l’ha rilanciata, attraverso una storia d’amore, nell’immaginario collettivo. La potenza sviluppata da quell’icona si basa sul comportamento della giovane donna, che ruota il collo, spostando il volto quasi all’altezza della spalla, imponendo il massimo grado di angolazione degli occhi per guardare quello chi sta dietro di sé e abbandonando poi la pupilla in uno spazio trasognato.
https://stilearte.it/var/www/vhosts/stilearte.ithttpdocs/affari-allasta-on-line-scade-alle-14-lasta-di-gioielli-antichi-tanti-gioielli-a-poco-entra/
Girare la testa e portare lo sguardo al massimo punto consentito dalla rotazione dell’occhio non appartiene alla tradizione posturale della donna. Ne rappresenta un’eccezione amorosa, giustificata esclusivamente da un intenso interesse suscitato dal maschio. La posizione, pertanto, fa scattare un meccanismo proiettivo di riservata seduzione nella spettatrice e rende lo spettatore vigile, poiché la posizione assunta della donna potrebbe significare che egli ha destato nella stessa un interesse, una curiosità, forse sessuale, attraverso un atteggiamento sfrontato, pur se contemperato dalla timidezza e dalla grazia. La perla all’orecchio risulterebbe poi legata a un’immagine di purezza e di mancanza di provocazione palese.
La perla tende a sottolineare, nella sua immagine lunare, un atteggiamento di femminilità conchiusa e discreta che, insieme ad altri indicatori più profondi, fa pensare all’uomo di essere al cospetto di una possibile donna-moglie. Inoltre il monile riprende e rilancia la luminosità dolce, equorea degli occhi incantati della giovane donne, accentuandone il fulgore. Il pubblico femminile è invece indotto a una proiezione di sé sulla ragazza stessa, proprio perchè il dipinto concentra elementi posturali profondamente connotati alla psicologia femminile, in cui, generalmente la seduzione più alta avviene attraverso l’opposizione tra il concedersi e l’essere pura. Di particolare interesse risulta l’uso dello sfumato, sul volto della giovane donna. I lineamenti sono ammorbiditi da un effetto flou, quello che Leonardo conferiva ai suoi dipinti, “spalmando” il colore con le dita, in rifinitura, o con una piccola pezza di tela. In questo modo i lineamenti dei volti si ammorbidivano, acquistando una straordinaria dolcezza – se vuoi, osserva e comprendi a fondo, cliccando gratuitamente sul link, lo sfumato leonardesco www.stilearte.it/leonardo-da-vinci-cose-lo-sfumato-leonardesco-e-come-si-ottiene/. –
PROBABILMENTE VERMEER UTILIZZO’ LA CAMERA OTTICA
Vermeer avrebbe utilizzato in diversi dipinti le lenti o la camera ottica per un preciso rilievo dei volti, dei luoghi o dei paesaggi. La sua pittura mantiene una singolare luminosità, vaporosa e diffusa, come quella dei futuri dagherrotipi. Inoltre alcuni studiosi hanno messo in rilievo prospettive composite – ad esempio nelle linee dei tappeti che appaiono sui tavoli, come tovaglie – che farebbero pensare a più “riprese” da punti diversi, poi congiunte dall’autore. Cos’è la camera ottica? Sostanzialmente è una cabina o – in dimensioni minori – un contenitore che somiglia alle prime, gigantesche macchine fotografiche. E’ dotata di lenti in grado di proiettare l’immagine ribaltata contro una parete del contenitore stesso. Il pittore poteva così ricalcare una forma o, in alcuni casi – com’ è stato dimostrato dalla sperimentazione – di sovrapporre persino il colore all’immagine virtuale.
Secondo il pittore David Hockney – che ha condotto importanti ricerche s volto esperimenti in tal senso – lenti e camere oscure furono utilizzate, a partire dal Quattrocento, dai pittori fiamminghi e da qui discenderebbe la precisione – detta appunto “lenticolare“, da lente – delle loro opere. Successivamente, come per quanto concerne la pittura ad olio, sarebbero passate in Italia. Esistevano comunque altre modalità per rilevare le linee del viso o quelle del paesaggio, come testimonia Leonardo Da Vinci nel Trattato sulla pittura. Si usava un vetro, che il pittore poneva tra sè e il soggetto, sul quale tracciava le linee dell’ovale, quelle del naso, degli occhi e della bocca, mantenendo perfettamente il rapporto tra le distanze di ogni elemento della fisionomia o la pelle secca di capretto, che era quasi trasparente che consentiva, con la stessa collocazione, di “ricalcare” il volto con un lapis. Una volta che erano state rilevate le linee, esse venivano trasferite su un foglio di carta che veniva bucherellato con la punta di un piccolo chiodo, lungo ogni contorno del disegno. Il foglio veniva poi appoggiato alla tavola o alla tela e si eseguiva lo spolvero. Attraverso i buchi nel foglio, i pigmenti di colore si depositavano sulla tela inumidita. E il disegno era così trasferito, pronto ad essere trasformato in un quadro.
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Al di là del fatto che la Ragazza con il Turbante o Ragazza con l’orecchino di perla sia ritenuta una tronie, cioè non un ritratto ma un dipinto ideale, come una sorta di testa di carattere, l’attenzione del pittore nei confronti della psicologia del soggetto lascerebbe supporre che egli abbia lavorato con una modella di fronte a sé per l’estremo realismo dei particolari e un flusso vitale di sangue e di energia che attraversa il dipinto stesso. Ufficialmente non è il ritratto di uno specifico personaggio, ma ciò non significa che l’immagine sia inventata. Non è un ritratto ufficiale ma, a nostro giudizio, non è nemmeno una testa di carattere. L’intensità dell’immagine lascia intendere che egli non abbia evocato a memoria un’immagine distante di bellezza, ma che abbia utilizzato una modella.
L’USO DELLA LUCE NELLA RAGAZZA CON L’ORECCHINO DI PERLA
E NELLE ALTRE OPERE DI VERMEER
L’amore che si sviluppò, da parte della critica e del pubblico, nei confronti di Veermer, risale alla fine dell’Ottocento. Questo è visivamente spiegabile con un’assonanza tra la poetica crepuscolare, che attraversa il primo Novecento, e gli ambienti analiticamente descritti da Vermeer. La luce polverosa che entra dalle vetrate della casa e la dimensione di un silenzio borghese che lambisce il nulla, la malinconia profonda che non si esprime sui volti ma è sospesa negli ambienti avvicinano singolarmente le opere di Vermeer al particolare punto di vista di quelli che saranno i Crepuscolari. Ogni epoca, recupera dal passato lo sguardo che più le assomiglia. Ma Vermeer, ciò che è sottilmente drammatico, è legato a una sorta d’impossibilità di trasformare la malinconia, di farla approdare o a una dimensione drammatica o a un sentimento poetico che, assecondando, si trasforma, come avviene nelle poesie di Guido Gozzano. E’ da evidenziare una sostanziale, singolare unità tra gli ambienti moderni, la luce e gli atteggiamenti dei personaggi di Hopper e le stanze di Veermer.
Nella produzione del pittore, la Ragazza con l’orecchino di Perla si staglia invece dall’oscurità – in modo post-caravaggesco – come se fosse un’apparizione. La luce giunge dall’angolo alto del quadro, alla nostra sinistra e porta in evidenza la struttura del volto femminile. Tra le opere di Veermer questa è carica di un intenso sentimento di sorpresa amorosa, che conferisce al dipinto forza moderna di analisi psicologica del femminile.
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IL PRECEDENTE del 1599: IL PRESUNTO RITRATTO DI BEATRICE CENCI
Per quanto siano controversi l’attribuzione (a Guido Reni) e il soggetto (il ritratto di Beatrice Cenci) uno dei precedenti visivi più interessanti, rispetto alla posizione della Ragazza con orecchino di perla è un dipinto italiano della fine del Cinquecento, che ebbe una grande circolazione grazie a copie, disegni e rifacimenti. Eccolo
LA FUNZIONE PITTORICA DELL’ORECCHINO
Magistralmente, Veermer assegna all’orecchino la funzione di concentrare in un piccolo spazio l’intero ambiente circostante e di riverberare, in un’altro punto di luce, la luminosità degli occhi della modella. L’ambiente: come avviene in altri dipinti fiamminghi – citiamo, ad esempio i coniugi Arnolfini e la funzione dello specchio convesso o, in ambito italiano, il magico autoritratto di Parmigianino – il barlume visivo della stanza appare sulla superficie del gioiello, qui come se fosse una replica del riflesso stesso degli occhi, sui quali appare la luce proveniente dalla finestra.
Il gioiello rende l’immagine del riflesso più analitica e, soprattutto, lascia intendere la possibile, vaga, presenza di un’ombra umana catturata dal punto più avanzato della sfera. In modo subliminale, il pittore pone l’osservatore nella posizione in cui osserva e in cui viene osservato dalla modella in un intenso colloquio sentimentale fatto di sguardi, proiettandone la figura fisica nella stanza stessa. Da qui discende la forte empatia creata dall’opera. La spettatrice che guarda la modella viene trascinata in una situazione di confidenza amicale. Lo spettatore scambia invece amorosamente il proprio sguardo con la modella.
IL RIFLESSO DI UN UOMO NELL’ORECCHINO DI PERLA
Una perla di vetro ha il potere di riflettere, deformata, l’immagine dell’ambiente in cui è inserita. Un oggetto riflettente consegna sempre l’immagine dell’ambiente in cui è inserito o delle figure che intercetta. L’immagine in deformazione sferica, che parte dai fiamminghi e diventa assoluta letteratura in Parmigianino e Caravaggio, torna in Vermeer. L’orecchino contiene quell’immagine. Lo stesso autoritratto del pittore, nell’istante dello sguardo incrociato?
Le figure sono state isolate da Maurizio Bernardelli Curuz, studioso del Caravaggio, che lavora da anni alle immagini cangianti presenti a livello di preparazione dei dipinti di Michelangelo Merisi. L’individuazione della figura maschile riflessa sottolinea, con evidenza, il substrato amoroso del dipinto. E sembra una conferma alla fondatezza dell’ipotesi romanzesca del libro La ragazza con l’orecchino di perla di Tracy Chevalier. L’immagine, in queste ore, ha fatto il giro del mondo. E’ stata assunta come simbolo di speranza. Ripartire con gioia, dopo l’epidemia. Resta l’amore. E’ dir poco.
“E’ una semplice questione percettiva. Non abbiamo ritoccato né potenziato le immagini – risponde Maurizio Bernardelli Curuz – Il nostro occhio, di fronte alla massima luce riflessa, anche di fronte a un quadro, si comporta come in natura: aumenta la chiusura del diaframma. Aumentando la chiusura del diaframma gestisce meglio il punto di luce ma ciò che è in penombra appare meno evidente. Tutto ciò che non è luce è ombra profonda. Come vedere cosa c’è nella penombra? Schermando la violenza del lume. Ho iniziato a lavorare con questo sistema su Caravaggio. Attenuando i bianchi violenti, emergono figure e costrutti voluti dal pittore, evidentemente sia per motivi tecnici – il movimento dei riflessi in penombra – che per l’inseimento di piccole figure simboliche che ammiccavano al committente o che costituivano materiale auto-biografico di autografia. Detto semplicemente: il lume massimo ci spara negli occhi. Attenuando il lume bianco, il nostro occhio si abitua alla penombra ed è in grado di leggere gli oggetti in una stanza calata nella semioscurità o gli elementi pittori presenti in un dipinto. Così avviene per l’orecchino di perla di Vermeer”.
“E’ molto più di un gioco – spiega lo studioso – Certo, la fonte di curiosità è notevole. Definire oggi, con certezza, il quadro di Vermeer come una conversazione amorosa è già molto, pur in linea con le intuizioni della scrittrice che ha dedicato un romanzo a questo dipinto. Be’, aveva ragione lei. L’opera racconta una storia d’amore. Ma possiamo andare al di là di questa pur curiosa annotazione critica e portarci a un concetto più importante: l’attenuazione del lume ci consente di vedere cose che non vediamo e che sono sotto il nostro sguardo. Caravaggio o Vermeer ci insegnano, insomma, a guardare, al di là del massimo lume. O al di qua. Ad evitare di essere ingannati da percezioni convenzionali. Ad andare oltre. Andare oltre il luogo comune percettivo, filosofico o politico. Superare l’inganno della convenzione. ”
E’ un tema che appassiona. L’opera di Vermeer “La ragazza con l’orecchino di perla “ha dato ispirazione ad importanti pubblicazioni che ci sentiamo di consigliarvi, quali ad esempio il romanzo di Tracy Chevalier (La ragazza con l’orecchino di perla – qui trovi il link al libro) o lo splendido catalogo edito da Taschen (“Vermeer” – Qui il link al libro). La maggior parte dei suoi quadri (tutti riprodotti in questo libro) mostra donne appartenenti alla classe media alle prese con le loro occupazioni quotidiane. Vermeer elenca i compiti e i doveri di queste donne, e gli imperativi di virtù a cui la loro vita era soggetta, evocando al contempo i loro sogni inespressi e i loro contrastanti mondi interiori.
E’ un tema che appassiona. L’opera di Vermeer “La ragazza con l’orecchino di perla “ha dato ispirazione ad importanti pubblicazioni che ci sentiamo di consigliarvi, quali ad esempio il romanzo di Tracy Chevalier (La ragazza con l’orecchino di perla – qui trovi il link al libro) o lo splendido catalogo edito da Taschen (“Vermeer” – Qui il link al libro). La maggior parte dei suoi quadri (tutti riprodotti in questo libro) mostra donne appartenenti alla classe media alle prese con le loro occupazioni quotidiane. Vermeer elenca i compiti e i doveri di queste donne, e gli imperativi di virtù a cui la loro vita era soggetta, evocando al contempo i loro sogni inespressi e i loro contrastanti mondi interiori.
L’ALTRA RAGAZZA DIPINTA DA VERMEER. CONFRONTATE LA STRUTTURA DEI VOLTI
I due quadri sono stati realizzati nello stesso arco di tempo, tra il 1665 e il 1667. Le somiglianze tra le due modelle di Vermeer sono notevoli. Era la stessa giovane donna? Era una sua sorella, magari impegnata nella stessa casa con mansioni di servizio? E’ difficile poterlo dire, anche se gli elementi somatici sono molto convergenti verso uno stesso ceppo. A questo può aver contribuito l’invarianza degli elementi strutturali cioè il modo in cui il pittore reitera nel tempo, ad esempio, la costruzione di un volto. Ma qui gli elementi di convergenza sono numerosi, al punto che le lievi discrepanze parrebbero frutto di una lieve variante fraterna dello stesso corredo genetico. O, altro caso, la modella potrebbe essere sempre la stessa. Con qualche lieve variante. Nessuno, probabilmente, potrà mai stabilirlo. Non ci resta che far lavorare la nostra capacità analitica, come in un rebus
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Study of a Young Woman
Artist:Johannes Vermeer (Dutch, Delft 1632–1675 Delft)
Date:ca. 1665–67
Medium:Oil on canvas
Dimensions:17 1/2 x 15 3/4 in. (44.5 x 40 cm)
Classification:Paintings
Credit Line:Gift of Mr. and Mrs. Charles Wrightsman, in memory of Theodore Rousseau Jr., 1979
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L’ANALISI DELLE OPERE DI VERMEER
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