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Meravigliosi palmenti della Calabria, come templi. Il recupero, lo studio, il significato e la storia


La Soprintendenza ABAP per la città di Reggio Calabria e Vibo Valentia ha avviato il procedimento di dichiarazione di interesse culturale per il primo gruppo di palmenti rupestri in numerosi comuni della fascia jonica.
I palmenti rupestri rappresentano un esempio di tecnologia che almeno dall’età romana, ma forse anche da prima, fino agli anni Cinquanta del secolo scorso ha visto protrarsi con le stesse modalità e le stesse tradizioni la produzione del vino e di conseguenza anche il suo commercio. Per quanto riguarda l’origine del sostantivo si deve sottolineare che l’etimologia è incerta, anche se non si esclude che possa derivare dal latino pavimentum, ad indicare un luogo pavimentato che nelle fattorie romane veniva utilizzato per pigiare l’uva e raccogliere il mosto, senza dispersione di liquido. Con il termine “palmento” ci si riferisce, generalmente, a una vasta vasca poco profonda utilizzata per il processo di fermentazione del mosto. Può anche indicare il componente mobile all’interno di un mulino, che ha la funzione di frantumare le olive o ridurre in polvere i semi da macinare. Ma in Calabria ora si lavora sui palmenti rupestri, belli come monumenti, costituiti – nella struttura essenziale, che poi poteva essere inserita in contesti monumentali – da una vasca per la pigiatura, forata nel fondo della parete e da lì comunicante con un’altra vasca, scavata più in basso nella quale si raccoglieva il mosto.

“Il palmento è l’esempio concreto di quella risorsa che la Calabria ha saputo impiegare e sfruttare a suo vantaggio per rimanere competitiva sul mercato anche in un momento difficile dal punto di vista economico come è stato l’altomedioevo quando, a causa della mancanza di un forte potere politico centrale, le regioni hanno cercato di sopravvivere indirizzando il loro commercio sui prodotti di punta che quella determinata regione poteva offrire. – spiega la Soprintendenza – Una di queste risorse, per la Calabria, fu senza dubbio il vino”.

I palmenti erano diffusi in tutto il Mediterraneo, dalla Georgia (dove alcuni esemplari risalgono a quasi 3.000 anni fa) al Portogallo, passando per la Spagna, l’Italia, la Francia e altre regioni.

In Italia, si trovano numerose testimonianze di palmenti, soprattutto nel Sud del paese, in particolare – appunto – in Calabria, una zona storicamente rinomata per la produzione del vino. Uno dei luoghi con il maggior numero di palmenti in Italia ed in Europa è Ferruzzano, un piccolo paese nella provincia di Reggio Calabria, che conserva circa 160 di queste vasche risalenti a diverse epoche. Questi palmenti presentano incisioni di epoca ellenica, romana e bizantina sulle pareti delle vasche stesse. Ferruzzano è spesso chiamata la “Città dei Palmenti” a causa della sua ricca storia vinicola. Il professor Orlando Sculli, noto esperto in questo campo, ha effettuato un rigoroso censimento di questi palmenti, arrivando a una cifra di quasi 750 palmenti nell’intera vallata che va dalla fiumara di Bruzzano (RC) al torrente Bonamico di Bovalino (RC). Nel suo libro “I palmenti di Ferruzzano”, edito da Palazzo Spinelli, il professor Sculli fornisce una dettagliata descrizione di questi antichi luoghi utilizzati per la produzione del vino e ne traccia l’importante ruolo nel commercio vinicolo mediterraneo, dalla sua esportazione in epoca ellenica fino alla sua influenza sulla produzione vinicola francese nel XIX secolo.

La Soprintendenza iniziò il censimento dei palmenti rupestri già nel 2016 e, più recentemente, ha cercato di sensibilizzare e di coinvolgere nel lavoro gli enti locali all’interno dei quali si rinveniva almeno un esemplare.
Nel corso del 2019 l’attività ha quindi visto nascere la collaborazione di diversi comuni, da Motta San Giovanni a Caulonia, attraverso la firma di un protocollo d’intesa, per la ricognizione dei palmenti rupestri della fascia jonica meridionale calabrese. Si è creata pertanto una “Rete di Comuni”, legati tra loro dalla presenza di almeno un palmento all’interno del proprio comprensorio comunale. Da un piccolo gruppo iniziale, nel corso degli anni si sono aggiunti sempre più enti locali che hanno richiesto di aderire al protocollo, con l’intento di valorizzare i palmenti come elemento che accomuna il territorio della Calabria meridionale.

L’impegno, a costo zero, prevede che ogni ente partecipante fornisca la propria esperienza e il proprio lavoro, per la tutela, la valorizzazione e la fruizione dei palmenti rupestri, in quanto testimonianza di un’attività produttiva che accomuna questi territori fin dall’antichità. La partecipazione al progetto favorirebbe quindi il senso di identità e la percezione di appartenenza ad un contesto territoriale e culturale condiviso.
La prima fase ha previsto la ricognizione nei territori dei Comuni aderenti per individuare i palmenti rupestri ancora esistenti e identificabili. Questa attività ha permesso, e sta permettendo, di registrare la loro posizione geografica, i dati dimensionali e tipologici, lo stato di conservazione e, infine, realizzare un’opportuna documentazione fotografica.

Grazie a questo lungo, e ancora attivo, lavoro in collaborazione tra Stato ed Enti Locali, si è giunti quest’anno all’avvio di dichiarazione di interesse culturale del primo gruppo di palmenti censito e documentato.

Si è trattato quindi di una inusuale modalità con cui è tale atto amministrativo è stato preparato, nella quale non vi è solo il Ministero della Cultura come braccio operativo ma una rete di Enti che acquisiscono la responsabilità di uno strumento fondamentale quanto quello della dichiarazione di interesse culturale e che, da parte loro, hanno fornito un supporto fondamentale nel censimento dei palmenti ma anche nella sensibilizzazione della propria comunità locale.
Il lavoro non è finito, poiché si conta che nella Locride siano presenti circa un migliaio di palmenti rupestri. Il censimento, la catalogazione ma, soprattutto, la collaborazione con le realtà locali, continuerà quindi ancora a lungo.