di Redazione
Stile arte è un quotidiano di cultura, arte e archeologia fondato nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz
Roma, 12 febbraio 2024 – Probabilmente era fidanzata. Promessa ad un uomo, la ragazza che morì, dopo essere stata amorevolmente accudita dai genitori. Sul letto funebre fu vestita come una sposa. I suoi capelli furono cinti da una coroncina di mirto – la pianta nuziale – e d’argento. Nella sua tomba furono collocati i suoi gioielli, una bambola snodabile simile a una Barbie e il necessaire per la toilette. E forse, dietro a questa vicenda, c’è qualcosa di dolce e drammatico. Una storia triste, che rileggiamo – per San Valentino – alla luce di nuove convergenze.
Tutti i ricordi di un’infanzia, da poco trascorsa, e tutto ciò che serviva per l’età adulta. Pettini, gioielli, un anello con una chiavetta che doveva dare accesso al portagioie in cui nascondere ori e piccoli segreti. Ma soprattutto un anello con pietra rossa – il rosso è spesso collegato a gioielli nuziali – sul quale è inciso un nome maschile: Filetus. La ragazza lo indossava, quando fu sepolta. Eccolo.
Nuovi studi consentono di inquadrare meglio la sua misteriosa figura, alla quale ora, è possibile dare una connotazione attraverso una sorta di ricostruzione giudiziaria del suo scheletro e del suo volto. Senza forzature, ma basandosi sui dati anatomici evidenti. Minuta, con lineamenti regolari, doveva essere una figura leggiadra.
Fu probabilmente vestita come una sposa, per il suo viaggio eterno. Un prima ricognizione dello scheletro portò gli archeologi ottocenteschi a pensare – a ridosso del rinvenimento -, a causa della presunta deformazione di una costola, che la ragazza fosse stata colpita da un’adenite tubercolare. Ma la ricognizione – anche su base fotografica – andrebbe ripercorsa. Ciò che possiamo vedere di lei – e che viene ripreso nell’immagine del sarcofago – è l’immagine di una ragazza che stava sbocciando alla vita.
Crepereia Tryphaena era il suo nome. Era una giovane donna, presumibilmente di circa 17-18 anni, il cui sarcofago fu portato alla luce durante gli scavi avviati nel 1889 per le fondazioni del Palazzo di Giustizia di Roma e per l’edificazione del ponte Umberto I sul Tevere.
Gli operai si bloccarono quando si resero evidenti alcune sepolture antiche, tra le quali due sarcofagi accostati tra loro, ancora sigillati. Il marmo fu lavato così che apparvero, su ogni singola tomba, i nomi di due persone della stessa famiglia: Crepereia Tryphaena e Crepereius Euhodus. Forse padre e figlia. Sulla cassa in marmo dedicata a Crepereia Tryphaena era incisa in bassorilievo una scena allusiva alla morte della fanciulla, che vi è rappresentata dormiente sul letto funebre, con la testa appoggiata sulla spalla sinistra. Sulla sponda del letto, dalla parte dei piedi, è seduta una matrona velata, con lo sguardo fisso sulla ragazza. Presso il capezzale appare una figura virile clamidata, atteggiata a profondo dolore. Vediamo l’immagine qui sotto, nel contesto, e a livello di ingrandimento.
I due sarcofagi erano probabilmente quelli di un uomo e della figlia, per i quali non era stata scelta la cremazione, a quei tempi molto diffusa a Roma. Nel sarcofago dell’uomo non c’era corredo. Una sepoltura che poteva ricordare quelle dei cristiani o di cittadini di cultura ellenistica. Mentre il contenitore lapideo di Tryphaena appariva molto ricco di ornamenti d’oro.
Deposta accanto al suo scheletro vi era anche la raffinata bambola d’avorio, inizialmente creduta di legno di quercia, di pregevole fattura e snodabile in alcune articolazioni. La capigliatura della bambola rinvia alle acconciature del II secolo d. C. che apparivano nei ritratti dell’imperatrice Faustina Minore (130 circa – 175), moglie di Marco Aurelio.
Tryphaena fu identificata come una fanciulla vissuta alla fine del II secolo d.C.che si presentò agli occhi dei Romani accorsi, alla notizia dell’eccezionale ritrovamento, la mattina del 12 gennaio 1889 presso il ponte Umberto I, come una divinità fluviale. All’apertura del sarcofago infatti, la giovane donna, sommersa nell’acqua proveniente dal vicino fiume Tevere, appariva come una ninfa. Scrisse l’archeologo Rodolfo Lanciani presente agli scavi:
«Tolto il coperchio, e lanciato uno sguardo al cadavere attraverso il cristallo dell’ acqua limpida e fresca, fummo stranamente sorpresi dall’aspetto del teschio, che ne appariva tuttora coperto dalla folta e lunga capigliatura ondeggiante sull’acqua. La fama di cosi mirabile ritrovamento attrasse in breve turbe di curiosi dal quartiere vicino, di maniera che l’esumazione di Crepereia Tryphaena fu compiuta con onori oltre ogni dire solenni, e ne rimarrà lunghi anni la memoria nel rione Prati. Il fenomeno della capigliatura è facilmente spiegato. Con l’acqua di filtramento erano penetrati nel cavo del sarcofago bulbi di una tal pianta acquatica che produce filamenti di color d’ebano, lunghissimi, i quali bulbi avevano messo di preferenza le loro barbicine sul cranio. Il cranio era leggermente rivolto verso la spalla sinistra e verso la gentile figurina di bambola».
Il significato del nome Tryphaena
Quello che a noi parrebbe un nome duro, ai romani e ai greci e a tutto il mondo ellenizzato doveva suonare in tutt’altro modo. Si tratta, infatti, di una variante femminile del nome Trifone, del quale condivide tanto l’origine e il significato (da τρυφή, tryphḕ, “dolcezza”, “delicatezza”, quindi “deliziosa”, “delicata” raffinata. Questo nome viene citato nel Nuovo Testamento. Trifena è anche una cristiana di Roma salutata da Paolo nella sua lettera ai Romani. (“Salutate Trifena e Trifosa, che hanno faticato per il Signore”).
Tryphaena era un nome proprio greco ed un epiteto di alcuni esponenti della dinastia greco-egizia dei Tolomei, quella che aveva dato alla luce Cleopatra. La sepoltura in sarcofago e il nome della ragazza – oltre al nome maschile, Filetus, inciso sull’anello, portato dalla giovane defunta – inducono a pensare che la sua famiglia forse quanto meno vicina al mondo greco ellenistico.
Anche il nome Euhodus – accostato a quello di Craeperius -, l’uomo che giaceva nel sarcofago collocato accanto a quello della ragazza – ha origini greche.
Chi era la sua famiglia
E’ evidente che Trifena apparteneva a una famiglia facoltosa e che venne cresciuta, come dimostra il corredo, con ogni affettuosa attenzione e con larghezza di mezzi. Non è possibile stabilire – almeno in attesa di altre prove che potrebbero emergere, nel tempo – sei genitori della ragazza fossero liberti, cioè ex schiavi ai quali era concessa la libertà. In genere questa classe – che potremmo paragonare alla borghesia e all’alta borghesia del nostro Novecento – era caratterizzata da una grande intraprendenza nelle professioni, nel commercio, nelle attività produttive, che generava consistenti ricchezze. Si tratterà di stabilire se Trifena e i suoi antenati appartenessero ab antiquo, alla gens Crepereia o se fossero stati cooptati dopo l’atto di affrancamento.
Certo è che la gens Crepereia era una famiglia plebea di rango equestre nell’antica Roma. La famiglia compare nella storia dal I secolo a.C. al I o II secolo d.C. Cicerone descrive la rigida disciplina dei Crepereii. Il gentilicium Crepereius è raro, attestato solo in Italia e in alcune aree dell’Impero Romano, diventando relativamente comune solo nel Nord Africa. Probabilmente questa gens fu di origine sabina, ma un ramo di essa fece fortuna nei commerci e nelle intermediazioni economiche nelle province di lingua greca dell’Impero. Giungendo a coprire, di fatto, un ampio arco del Mediterraneo che comprendeva l’Egitto ellenizzato dai Tolomei e da Cleopatra.
I Crepereii attestati in Nord Africa furono circa 50 e vengono ritenuti discendenti di uno o più militari che prestarono servizio nella Legio III Augusta durante il I o II secolo dC.
E’ evidente che, a livello di ipotesi più consistente, la famiglia di Trifena potrebbe essere appartenuta al ramo che aveva fatto fortuna con i commerci tra Grecia, Turchia e Medio oriente ellenizzato.
Dai nomi personali alle sepolture, tutto induce a ipotizzare che Trifena discendesse proprio da questi intraprendenti personaggi di origine sabina, che forse si legarono, attraverso matrimoni, al raffinato mondo greco.
Anche la sepoltura dei due corpi anziché la scelta della pratica dell’incinerazione – pur non essendo totalmente dirimente – contribuisce a rafforzare l’idea che questa fosse una famiglia con forti legami nel mondo ellenistico. In area greco-orientale e nel mondo ionico rimane diffusa infatti l’inumazione entro sarcofagi di marmo o di terracotta.
I gioielli nella tomba
e l’anello inciso
con un nome maschile
Come sappiamo, al dito della giovanetta venne trovato un anello d’oro recante una pietra rossa sulla quale è inciso, a tutto campo, e rafforzato da uno smalto bianco, la parola Filetus.
Per quanto non particolarmente diffuso, Filetus è un soprannome maschile che potrebbe derivare tanto dal nome greco Fileta – uomo molto amabile, degno d’amore – o indicare, alla maniera romana. caratteristiche fisiche di chi lo porta: una persona piuttosto magra, come un filo o un filetto. Esiste, in un’epigrafe romana trovata a Ostia, la citazione di questo cognomen, in un’epigrafe dedicata a Iulius Euresius Filetus. Philetus, chiamato con il vocativo Filete, è anche un personaggio a cui Fedro dedica la favola del “Vecchio cane, del cinghiale e del cacciatore”.
Il nome “Filetus” fece immaginare a Giovanni Pascoli – probabilmente con fondamento storico – che questo fosse il nome del promesso sposo di Trifena poiché la presenza della bambola nel corredo funebre faceva pensare che fosse morta alla vigilia delle nozze non avendo fatto in tempo a donare i suoi giocattoli agli dei per la cerimonia di “addio all’infanzia”. Il giorno prima delle nozze, le fanciulle consacravano in un tempio ad una divinità di loro scelta i giochi dell’infanzia, poi si toglievano la toga pretexta (con le due strisce di porpora che le rendeva inviolabili) e la donavano alla Fortuna Virginalis.
Per l’occasione Pascoli – nei tempi successivi al ritrovamento del sarcofago di Trifena – compose una poesia in latino che donò in occasione delle nozze alla figlia dell’onorevole Benzoni, allora ministro della pubblica istruzione e suo amico e protettore in Roma
(LA)
«Vitrea virgo sub aqua latebas
at comans summis adiantus undis
nabat. An nocti dederas opacae
spargere crinis?»
(IT)
«Ti nascondevi, o fanciulla, nell’ acqua trasparente,
e sull’onda nuotavano i tuoi capelli di felce.
Avevi concesso alla notte oscura
il privilegio di scioglierli?»
Fin dal ritrovamento la bambola apparve non come un comune giocattolo ma come un’opera d’arte dal viso finemente scolpito, quasi fosse un ritratto, con un’acconciatura tipica della moda romana dei tempi di Marco Aurelio e Faustina minore. Inoltre risaltava l’abilità tecnica dell’artigiano che l’aveva creata nel corpo snodabile con gambe e braccia collegate al tronco con piccoli perni.
La bambola fu trasferita inizialmente nell’Antiquarium comunale, poi nel caveaux dei Musei Capitolini, mentre ora è conservata alla Centrale Montemartini di Roma, dov’era già stata esposta dal 1 giugno 2016 all’8 gennaio 2017.
Dal 22 febbraio al 17 aprile 1983 la bambola fu al centro di una mostra allestita a Palazzo Madama a Torino.
Altri oggetti preziosi furono trovati nel sarcofago. Eccoli.
La testimonianza del prodigioso
ritrovamento del sarcofago
e della collocazione
del corredo
Rodolfo Lanciani (Roma, 2 gennaio 1845 – Roma, 21 maggio 1929) fu chiamato subito dopo la scoperta, come esperto. Egli era un archeologo, un ingegnere e un topografo. A lui furono affidate le prime osservazioni circostanziate. Ecco la ricostruzione di quei giorni da parte della testimonianza diretta dello stesso Lanciani.
“Come diversamente trattiamo queste scoperte nei nostri giorni! Nella prima mattina del 12 maggio 1889, sono stato chiamato a testimoniare l’apertura di una bara di marmo che era stata scoperta due giorni prima, sotto le fondamenta delle nuove sale di giustizia, sulla riva destra del Tevere, vicino al Mausoleo di Adriano. Come regola, la cerimonia di taglio dei morsetti in ottone che fissano i coperchi delle urne e dei sarcofagi viene eseguita in uno dei nostri depositi archéologici, dove i contenuti possono essere esaminati tranquillamente e attentamente, lontani da una folla eccitata e talvolta pericolosa.
Nel caso in esame questo piano è stato ritenuto impraticabile, poiché la bara fu accertata di essere riempita con acqua che nel corso dei secoli era filtrata, goccia a goccia, attraverso gli interstizi del coperchio. La rinuncia al Capitolo fu pertanto abbandonata, non solo per il peso eccessivo della bara, ma anche perché la scossa dell’acqua avrebbe danneggiato e disturbato lo scheletro e gli oggetti che, forse, furono sepolti dentro.
Il sarcofago in marmo fu incorporato in uno strato di argilla blu, a una profondità di 25 m sotto il livello della città, cioè solo quattro o cinque m sopra il livello del Tevere, che corre vicino. È stato scritto semplicemente con il nome CREPEREIA TRYPHAENA, e decorato con bassorilievi che rappresentano la scena della sua morte. Non appena i sigilli furono rotti e il coperchio messo da parte, i miei assistenti, io e tutta la folla degli operai delle sale di giustizia, erano quasi sconvolti davanti alla vista.
Guardando allo scheletro attraverso il velo dell’acqua limpida, abbiamo visto il cranio coperto, per così dire, con lunghe masse di capelli bruni che galleggiano nel cristallo liquido. Le osservazioni fatte dalla folla semplice ed eccitata da cui siamo stati circondati erano quasi altrettanto interessanti quanto la scoperta stessa. Le notizie sui capelli prodigiosi si diffondevano come un fuoco selvaggio tra i popoli del distretto.
E così l’esumazione di Crepereia Tryphæna fu compiuta con inaspettata solennità e il suo ricordo dura per molti anni le tradizioni popolari del nuovo quartiere dei Prati di Castello. Il mistero dei capelli è facilmente spiegato. Insieme all’acqua di sorgente, germi o semi di una pianta acquatica erano entrati nel sarcofago, sistemati sulla superficie convessa del cranio, e si svilupparono in lunghi fili lucidi di ombra scura.
Il cranio era inclinato leggermente verso la spalla sinistra e verso una piccola bambola squisita, intagliata di quercia, che era situata sulla scapola o sulla spalla. Su ciascun lato della testa era un orecchino d’oro con gocce di perle. Mescolati con una vertebra del collo e della parte posteriore erano una collana d’oro, tessuta come una catena, con trenta sette pendenti di diaspro verde e una spilla con un’ametista incisa di lavorazione greca, che rappresenta la lotta di un grifone e di un cervo.
Dove la mano sinistra mancava, abbiamo trovato quattro anelli di oro solido. Uno è un anello di fidanzamento, con un’incisione in diaspro rosso che rappresenta due mani intrecciate insieme.
Il secondo ha il nome PHILETVS inciso sulla pietra; Il terzo e il quarto sono bande d’oro chiaro. Continuando ulteriormente con la nostra esplorazione, abbiamo scoperto, vicino all’anca destra, una scatola contenente articoli da toeletta.
La scatola è stata fatta di pezzi sottili di legno duro, intarsiato alla Certosina, con linee, quadrati, cerchi, triangoli e diamanti, di osso, avorio e legno di vari tipi e colori. La scatola, però, era stata completamente disgiunta dall’azione dell’acqua. All’interno c’erano due pettini sottili in ottima conservazione, con i denti più grandi su un lato che dall’altro: un piccolo specchio di acciaio lucidato, una scatola d’argento per la cosmetica, un tornante ambrato, un pezzo lungo di morbida pelle e qualche frammento Di una spugna.
La scoperta più impressionante è stata fatta dopo la rimozione dell’acqua e l’essiccazione della bara. La donna era stata seppellita in una fodera di biancheria intima bianca, i cui pezzi erano ancora incrostati e cementati contro il fondo e sui lati della custodia, e lei era stata posata con una corona di mirto fissata con una chiusura d’argento sulla fronte. La conservazione delle foglie è veramente notevole.
Chi era questa donna, la cui improvvisa e improvvisa riapparizione tra noi il 12 maggio 1889, creò una tale sensazione? Quando ha vissuto? A quale età è morto? Che cosa ha causato la sua morte? Qual era la sua condizione nella vita? Era bella? Perché era seppellita con la sua bambola? L’attento esame della tomba e dei suoi contenuti ci permettono di rispondere a tutte queste domande in modo soddisfacente.
Crepereia Tryphana visse all’inizio del III sec. d.c., durante i regni di Settimio Severo e Caracalla, come dimostra la forma delle lettere e lo stile dei bassorilievi incisi sul sarcofago. Non era nobile per nascita; Il suo cognome greco Tryphæna mostra che apparteneva a una famiglia di liberti, ex servi della nobile famiglia dei Creperei. Non sappiamo nulla delle sue caratteristiche, eccetto che lei aveva una duro e forte arcata dentaria. La sua figura, però, sembra essere stata piuttosto difettosa, a causa di una deformità nelle costole, probabilmente causata da scrofula (adenite tubercolare).
La scrofula, infatti, sembra essere stata la causa della sua morte. Nonostante questa deformità, tuttavia, non vi è dubbio che fosse promessa al giovane Philetus, il cui nome è inciso sulla pietra del secondo anello e che i due felici felici avevano scambiato il giuramento di fedeltà e devozione reciproca per la vita, che è espressa dal simbolo delle mani chiuse. La storia della sua triste morte e del dolore improvviso che ha superato la sua famiglia alla vigilia di un matrimonio gioioso è chiaramente detto dalla presenza nella bara della bambola e nella corona di mirto, che è una corona nuptialis.
Credo, infatti, che la bambina fosse seppellita nel suo completo costume da sposa, e poi coperta con la tela di lino, perché ci sono frammenti di abiti di varie tessture e qualità mescolate a quelle della biancheria bianca. E ora rivolgiamo la nostra attenzione alla bambola. Questa squisita pupa, un’opera d’arte in sé, è di quercia, a cui l’azione combinata del tempo e dell’acqua ha dato la durezza del metallo. È modellata in perfetta imitazione di una forma femminile, e si colloca tra i migliori del suo genere ancora trovati negli scavi romani. Le mani e i piedi sono intagliati con la massima abilità. La disposizione dei capelli è caratteristica dell’età dei Antonini e si distingue poco dalla pettinatura di Faustina Maggiore.
La bambola era probabilmente vestita, perché sul pollice della mano destra sono inseriti due portachiavi d’oro come quelli portati da casalinghe. Questa piccola figura affascinante, le cui articolazioni alle anche, alle ginocchia, alle spalle e ai gomiti sono ancora in buone condizioni, è alta quasi un piede. Bambole e giocattoli non sono particolari per le tombe dei bambini. È stato consueto per le giovani donne di offrire le loro bambole a Venere o a Diana il loro giorno di nozze. Ma questa non era la fine riservata alla bambola di Crepereia. Era condannata a condividere il triste destino della sua giovane padrona e per essere collocato con il suo cadavere, prima che la cerimonia di matrimonio potesse essere eseguita.”