Uno studio studio pubblicato ora sull’E-Journal degli Scavi di Pompei riaccende il dibattito sulla data dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Sebbene da tempo si sia ipotizzato che la catastrofe sia avvenuta in autunno, – per la presenza, in alcune case, dei frutti di quella stagione – nuove analisi hanno confermato l’attendibilità della data riportata da Plinio il Giovane nei suoi scritti: il 24 agosto. Gli autori hanno condotto un progetto di archeologia sperimentale per testare la durabilità delle iscrizioni a carboncino, che sarebbero state difficili da preservare in condizioni climatiche umide tipiche dell’autunno. Inoltre, lo studio delle fonti letterarie e dei reperti archeobotanici ha suggerito che i cicli agricoli e il clima nell’area mediterranea potevano differire significativamente da quelli odierni. “Non possiamo al momento escludere che l’eruzione sia avvenuta il 24 agosto,” ha dichiarato Gabriel Zuchtriegel, direttore degli scavi di Pompei. Questo approccio innovativo invita a riflettere sulla stabilità climatica e agricola nell’antichità.
Del resto, nonostante la presenza di frutti autunnali nelle case di Pompei, risulta difficile dubitare della straordinaria testimonianza di Plinio il Giovane che descrive quella giornata come testimone oculare, a partire dalle prime esplosioni. Lui e lo zio erano nella villa di quest’ultimo. Una villa di mare che si affacciava sul Golfo, a Miseno. Fatto il bagno, Plinio il Vecchio, dopo aver piluccato qualcosa, si era ritirato per leggere e studiare. A quel punto furono percepiti strani fenomeni legati al Vesuvio. Poi Plinio il Vecchio, chiamato in soccorso da un’amica, che era a Pompei – che aveva evidentemente mandato un servo per avvisare Plinio – si recò nella cittadina e qui morì per difficoltà respiratorie, durante la notte. Eventi traumatici per Plinio il Giovane che non possono averlo confuso sulla data dell’avvenimento. Gli archeologi e gli studiosi stanno così considerando il motivo per il quale nelle case erano presenti anche frutti autunnali.
Frutti anomali a Pompei: testimonianze stagionali
Uno degli elementi che ha alimentato il dibattito sulla data dell’eruzione riguarda la presenza di frutti considerati “anomali” per la stagione estiva. Durante gli scavi sono stati rinvenuti melagrane, fichi secchi, noci e castagne, tipici del periodo autunnale. Tuttavia, lo studio più recente suggerisce che queste coltivazioni potrebbero non essere così anomale per l’estate del 79 d.C., date le differenze climatiche dell’epoca e le pratiche di conservazione avanzate. È possibile che questi frutti fossero stati immagazzinati per l’uso futuro o che alcune varietà fossero disponibili già a fine agosto. Il ritrovamento di tali resti vegetali continua a rappresentare una finestra unica sulle abitudini alimentari e agricole degli antichi pompeiani.
“Non possiamo al momento escludere che l’eruzione sia avvenuta il 24 agosto, come scrisse Plinio, e occorre domandarsi cosa questo potrebbe significare,” ha dichiarato il direttore degli scavi di Pompei, Gabriel Zuchtriegel. “Forse abbiamo sottovalutato la tradizione letteraria, mentre potremmo aver sopravvalutato la stabilità del clima e dei cicli agricoli nel mondo antico. In realtà, Pompei offre un’occasione unica per studiare un ecosistema fortemente condizionato dalla presenza umana già 2000 anni fa.” Lo studio invita a considerare non solo i dati archeologici ma anche le variazioni climatiche e agricole locali che potrebbero spiegare incongruenze apparenti.
L’inizio di un incubo
La mattina del 24 agosto del 79 d.C., i cittadini delle città di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplontis, situate ai piedi del Vesuvio, si risvegliarono ignari della catastrofe imminente. Il Vesuvio, dopo secoli di quiescenza, si risvegliò improvvisamente con un’eruzione devastante, destinata a diventare una delle più celebri della storia antica.
Plinio il Giovane e la prima descrizione vulcanologica
L’eruzione fu narrata da Plinio il Giovane in due lettere indirizzate a Tacito. Osservando l’evento da Miseno, a circa 30 chilometri di distanza, Plinio descrisse una nube a forma di pino che si alzava dal vulcano, un dettaglio che ha portato gli studiosi a classificare questo tipo di eruzione come “pliniana”. Le lettere rappresentano una delle più antiche e dettagliate descrizioni di un evento vulcanico. Testimonianza di straordinaria accuratezza, quella di Plinio il Giovane, che era ospite della casa campana dello zio, Plinio il Vecchio.
La distruzione di Pompei ed Ercolano
Pompei e le città limitrofe furono sommerse da una pioggia di pomici e cenere, con uno strato che raggiunse fino a 6 metri di profondità. La velocità dei flussi piroclastici e la presenza di gas velenosi non lasciarono scampo alla maggior parte degli abitanti. Molti cercarono rifugio nelle proprie abitazioni, solo per essere sepolti vivi. Ad Ercolano, la distruzione fu ancora più rapida: un flusso piroclastico ad altissima temperatura seppellì la città sotto una coltre di fango vulcanico, preservandone gli edifici e i corpi.