Pompei, gli archeologi scoprono un prezioso “mini-appartamento” romano del 79 d. C. Elegante e funzionale. I piccoli segreti della casa. Gli oggetti. I quadri scabrosi

Pompei, da sempre un tesoro inestimabile di scoperte archeologiche, continua a rivelare frammenti della vita quotidiana romana, svelando dettagli che illuminano nuovi aspetti della società dell’epoca. Tra le più recenti e affascinanti scoperte – ne ha dato notizia poco fa il Parco archeologico di Pompei – spicca quella di un miniappartamento romano, o come lo definirebbero gli inglesi, una “Tiny House”. Un appartamento-bomboniera, situato in una zona centralissima della Pompei romana. Nell’Insula dei Casti Amanti – insula sta per “isolato” – lungo la centrale Via dell’Abbondanza, questo piccolo spazio abitativo, privo del tradizionale atrio, sorprende per la sua compattezza e per la raffinatezza delle decorazioni parietali.

La “Casa di Fedra”: una dimora dallo spazio ridotto ma di grande eleganza

Lo spazio abitativo ora portato alla luce e provvisoriamente chiamato Casa di Fedra, si distingue per la sua struttura architettonica inusuale. In contrasto con le dimore tradizionali di Pompei, questa abitazione è priva del tipico atrio con l’impluvio, la vasca centrale per la raccolta dell’acqua piovana, elemento comune nelle case più grandi e ricche della città. Nonostante le ridotte dimensioni, i proprietari avrebbero potuto comunque integrare uno spazio centrale, ma hanno scelto una soluzione abitativa più compatta, forse riflettendo i cambiamenti sociali e culturali che stavano investendo Pompei e l’intera società romana nel I secolo d.C..

Questa decisione architettonica offre agli studiosi l’opportunità di esplorare come si stesse evolvendo la struttura urbana e le preferenze abitative durante questo periodo. L’assenza dell’atrio non diminuisce tuttavia l’importanza artistica della casa, anzi, le decorazioni interne si rivelano straordinariamente eleganti.

Le decorazioni parietali: un gioiello d’arte in miniatura

Sebbene la Casa di Fedra sia molto più piccola rispetto alle tradizionali domus pompeiane, la qualità delle decorazioni parietali è di altissimo livello. I muri sono adornati da affreschi raffinati, in linea con le più grandi dimore pompeiane, come la Casa dei Pittori al Lavoro, con cui questa abitazione confina. L’affresco più significativo ritrovato nella casa raffigura il mito di Ippolito e Fedra, una scena mitologica – nella foto qui sotto l’affresco portato alla luce nella domus – che probabilmente rifletteva non solo i gusti estetici del proprietario, ma anche il suo status sociale e culturale.

La presenza di queste raffinate decorazioni suggerisce che, nonostante le dimensioni ridotte, i proprietari della Casa di Fedra volessero mostrare il loro apprezzamento per l’arte e la mitologia, indicatori tipici del ceto medio-alto romano. Le abitazioni, anche quelle più modeste, erano infatti una forma di rappresentazione sociale e culturale, e le pareti dipinte con scene mitologiche o temi artistici sottolineavano l’adesione a valori culturali elevati.

“I due ambienti attualmente oggetto di indagini si trovano nella parte retrostante dell’abitazione. – spiegano gli archeologi del Parco – Nel primo, oltre al quadretto mitologico con Ippolito e Fedra, le pareti splendidamente decorate in IV stile mostrano altre scene tratte dal repertorio dei miti classici: una rappresentazione di un symplegma (amplesso) tra satiro e ninfa, un quadretto con coppia divina, forse Venere e Adone, nonché una scena, purtroppo danneggiata dalle esplorazioni borboniche, in cui probabilmente si può riconoscere un Giudizio di Paride”. I soggetti amorosi ed erotici- per quanto diffusi, in antico – costituiscono un filo rosso di continuità decorativa della casa. I proprietari sembrano giovanilmente attratti dall’amore e da una possibile meditazione erudita sulle sue conseguenze.

“Una finestra, a fianco al quadretto con Ippolito e Fedra, si apre su un piccolo cortile, dove al momento dell’eruzione  erano in corso lavori edilizi – proseguono gli archeologi del Parco – caratterizzato all’ingresso dalla presenza di un piccolo larario (altare domestico). Il cortile è dotato di una zona coperta che precede una grande vasca con le pareti dipinte di rosso. Intorno correva una canaletta, che consentiva di convogliare l’acqua piovana verso l’imbocco di un pozzo collegato con una cisterna sottostante”.

Un larario per il culto domestico

Un altro aspetto affascinante della scoperta è la presenza di un larario – un piccolo altare domestico – situato all’ingresso di uno degli ambienti della casa. Il larario è decorato con motivi vegetali e animali su fondo bianco, e testimonia la centralità della religione nella vita quotidiana romana. In questo piccolo spazio sacro, i proprietari avrebbero venerato i Lares, divinità protettrici della casa e della famiglia, offrendo loro preghiere e piccoli doni.

Gli archeologi hanno ritrovato all’interno della nicchia del larario oggetti rituali, tra cui un bruciaprofumi in ceramica (qui sotto, davanti all’altare domestico) e una lucerna con tracce di bruciato (qui sopra), entrambi rimasti al loro posto durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

Questi oggetti offrono uno sguardo diretto sulle ultime ore prima della distruzione della città, quando i pompeiani lasciarono le loro offerte nel tentativo di placare le divinità, forse sperando in una protezione divina contro la catastrofe imminente.

Nella decorazione del larario (qui sopra) campeggia nella parte alta un rapace in volo, probabilmente un’aquila, che regge fra gli artigli un ramo di palma, e nella parte inferiore la scena principale composta da due serpenti affrontati, che incorniciano un altare con fusto circolare e scanalato su cui si dispongono le offerte. Si riconoscono da sinistra: la pigna, un elemento sopraelevato che sostiene un uovo, quelli che sembrerebbero essere un fico e un dattero. A riempire il fondo della scena due arbusti con foglie lanceolate e bacche gialle e rosse su cui si muovono tre passeri.

La società romana in trasformazione: nuove prospettive di studio

La scoperta della Casa di Fedra, pur nella sua semplicità, offre agli studiosi un’importante occasione per approfondire i mutamenti sociali che stavano trasformando Pompei e l’impero romano nel I secolo d.C. Questo periodo, caratterizzato dall’ascesa del ceto medio, vedeva la diffusione di nuovi modelli abitativi che rispondevano a diverse esigenze economiche e culturali. La riduzione degli spazi domestici potrebbe riflettere una maggiore necessità di praticità, legata forse anche alla crescente urbanizzazione e alla diversificazione delle classi sociali.

La decisione di rinunciare all’atrio, una delle strutture simbolo dell’architettura pompeiana, potrebbe indicare che la tradizione aristocratica legata alla monumentalità delle abitazioni stesse perdendo importanza, a favore di uno stile di vita più funzionale e orientato alle necessità individuali. Ciò che resta, in questo spazio, è un’eleganza straordinaria e una straordinaria qualità dei dipinti e delle decorazioni.

Le indagini archeologiche e il futuro della ricerca

Le scoperte nell’Insula dei Casti Amanti, di cui la Casa di Fedra fa parte, rappresentano una nuova tappa nelle indagini archeologiche in corso a Pompei. Grazie a queste ricerche, non solo si arricchisce il panorama delle conoscenze sulla vita quotidiana dei pompeiani, ma si aprono nuove possibilità per comprendere meglio i processi di cambiamento che attraversavano la società romana. I lavori di scavo hanno rivelato che la casa era ancora in fase di ristrutturazione al momento dell’eruzione, suggerendo che il proprietario stava cercando di migliorare il suo spazio abitativo in linea con i nuovi gusti e necessità.

Le indagini sono tuttora in corso e promettono di svelare ulteriori dettagli non solo sull’architettura e l’arte pompeiana, ma anche sui cambiamenti sociali ed economici che influenzarono la vita in città prima della fatidica eruzione del Vesuvio. La Casa di Fedra si inserisce in un quadro più ampio di scoperte recenti che permettono di gettare nuova luce su Pompei, trasformandola da rovina silenziosa a vivida testimonianza della storia.

Fedra e Ippolito, un amore impossibile

Il mito di Fedra e Ippolito – che è oggetto di uno degli affreschi trovati ora nella domus romana – narra la tragica vicenda di amore non corrisposto e inganni fatali. Fedra, figlia di Minosse e sposa di Teseo, si innamora follemente del suo figliastro Ippolito, noto per la sua castità e devozione alla dea Artemide. Respinta da Ippolito, Fedra, disperata e temendo il disonore, decide di vendicarsi accusandolo falsamente di aver tentato di sedurla. Teseo, accecato dalla rabbia, invoca il dio Poseidone affinché punisca il figlio, causando così la morte di Ippolito in un incidente con il carro. Schiacciata dal senso di colpa, Fedra si toglie la vita, lasciando Teseo devastato dalla scoperta della verità.

Perché un soggetto così scabroso?

Il mito di Fedra e Ippolito poteva essere scelto come soggetto di un affresco in una casa privata romana per diverse ragioni legate alla cultura e ai valori dell’epoca. Gli affreschi mitologici nelle dimore romane erano spesso simboli di prestigio e raffinatezza culturale, e rappresentare figure della mitologia greca serviva a mostrare il livello di istruzione e la conoscenza della letteratura classica da parte dei proprietari. Ma spesso questi soggetti erano un invito alla meditazione.

Il tema del dramma familiare e morale, come quello di Fedra e Ippolito, poteva fungere da riflessione sui conflitti interni e le passioni umane, temi sempre attuali nella vita quotidiana romana. Il mito metteva in luce il contrasto tra l’amore proibito, la vendetta e la giustizia divina, offrendo così una narrazione potente su virtù e vizi, responsabilità e conseguenze.

Inoltre, l’elemento tragico del mito, legato alla punizione e al destino, poteva avere una funzione educativa o morale, avvertendo i membri della famiglia e gli ospiti sui pericoli delle emozioni incontrollate e delle decisioni affrettate, temi che risuonavano profondamente nella società romana.

“Una vera ossessione morale per i romani delle classi più elevate, che speravano di non essere devastati dall’amore e dal desiderio (de-sideribus è la seduzione che viene dalle stelle, rendendo irrazionali uomini e donne) – dice il critico Maurizio Bernardelli Curuz. – Per questo meditavano, attraverso i dipinti – eco della letteratura – sugli infortuni provocati dal ‘colpo di fulmine'”.

“Recentemente, sempre a Pompei,- prosegue Bernardelli Curuz – è stata portata alla luce un’ampia sala da ricevimento dipinta di nero, sulla quale sono stati affrescati soggetti legati all’amore, all’istante in cui dire di no o di sì e poi pentirsi. Di grande effetto è la raffigurazione del primo incontro – di puro incantamento – tra Elena – che era sposata – e Paride, amore che avrebbe scatenato guerra di Troia. Testimone dell’incontro, un’ancella e un cane, che guarda sconcertato in direzione dello spettatore, quasi invitandolo a intervenire per mutare il destino”.




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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa