LIVORNO – Nel profondo del Mar Tirreno, tra l’isola della Gorgona e Capo Corso, tra l’Isola d’Elba e Pianosa, giacciono tesori archeologici antichissi,mi A profondità comprese tra i 400 e i 600 metri, il fondale marino presenta relitti antichi, alcuni dei quali perfettamente conservati, mentre altri hanno subito danni a causa delle reti a strascico. Grazie all’utilizzo di tecnologie all’avanguardia, un team di archeologi, in queste settimane, hanno recuperato alcuni di questi reperti per scopi di studio, facendo luce su importanti aspetti della storia antica.
Il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari Venezia, a seguito di decreto di concessione di ricerche del Ministero della Cultura, ha infatti portato a termine una nuova breve campagna di indagini su relitti di età romana affondati negli alti fondali del Mar Tirreno. Il progetto è condotto dal prof. Carlo Beltrame e dalla dott.ssa Elisa Costa, in collaborazione con Fondazione Azionemare, Ing. Guido Gay, e sotto la sorveglianza della Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Subacqueo e della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno, dott.ssa Lorella Alderighi.
Il contesto geografico e storico
L’isola di Gorgona, situata nel Mar Ligure a 34 chilometri dalla costa di Livorno, è la più piccola dell’Arcipelago Toscano, con una superficie di appena 220 ettari. La sua posizione strategica, di fronte al litorale toscano, la rende un punto di riferimento per lo studio delle rotte commerciali antiche. Capo Corso, invece, è una penisola nel nord-est della Corsica, anch’essa di rilevante interesse storico per il traffico marittimo nell’antichità.
L’isola d’Elba – anch’essa in provincia di Livorno – è situata tra il canale di Piombino a est, a circa 10 chilometri dalla costa, il mar Tirreno a sud e il canale di Corsica a ovest. Pianosa – sempre in provincia di Livorno – è un’altra isola dell’arcipelago toscano, che si trova a 13 chilometri dall’Elba
Le recenti scoperte
Le ricerche recenti, frutto della collaborazione tra una Fondazione specializzata in tecnologie subacquee e il Dipartimento di Scienze Umanistiche (DSU), hanno portato alla documentazione e allo studio di tre importanti relitti risalenti a epoche differenti. Questi relitti, individuati in precedenza da Azionemare, sono stati esaminati con l’ausilio di ROV abissali (Remotely Operated Vehicles), veicoli subacquei dotati di telecamera e braccio meccanico per il recupero di reperti.
Il primo relitto, denominato Dae 27, è stato scoperto tra l’isola d’Elba e Pianosa, a oltre 600 metri di profondità. Il carico, costituito principalmente da tegole, coppi e anfore, è stato parzialmente recuperato per analisi più approfondite. Tra i reperti emersi, figurano una tegola, un coppo, un’anfora di tipo Dressel 1 (quella alta, nella foto) e una brocca monoansata, databili tra il II e il I secolo a.C.
Gli altri due relitti, Dae 7 e Dae 39, si trovano nelle acque profonde tra la Gorgona e Capo Corso. Il relitto Dae 7, a una profondità di circa 400 metri, ospita un carico di centinaia di anfore greco-italiche risalenti al IV e III secolo a.C. Rispetto alle immagini registrate nel 2010, commenta il dipartimento di archeologia di Ca’ Foscari, il sito appare ora in condizioni peggiori, con molte anfore frammentate, presumibilmente a causa della pesca a strascico che ha interessato la zona.
Al contrario, il relitto Dae 39, situato a quasi 600 metri di profondità, è stato toccato solo marginalmente dalle reti da pesca ed è quindi ben conservato. Il suo carico, composto da anfore Dressel 1B databili al I secolo a.C., è stato parzialmente recuperato durante l’ultima campagna di scavi.
L’importanza delle tecnologie avanzate
L’esplorazione e il recupero dei reperti sono stati resi possibili grazie all’uso del catamarano Daedalus e dei ROV abissali Multi Pluto e Pluto Palla. Questi strumenti hanno permesso non solo di recuperare campioni per lo studio, ma anche di realizzare rilievi digitali attraverso la tecnica fotogrammetrica. Questo approccio consente di ottenere modelli tridimensionali scalati e misurabili dei carichi dei relitti, utili per studiare in dettaglio la capacità di trasporto delle antiche imbarcazioni.
Una sinergia di successo
La collaborazione tra istituzioni dedite alla tutela dei beni culturali sommersi e una Fondazione specializzata nella ricerca in acque profonde dimostra l’importanza di unire competenze e risorse. Da un lato, queste ricerche permettono di approfondire la conoscenza della circolazione dei beni e della navigazione nel Tirreno durante l’epoca romana; dall’altro, consentono di monitorare e proteggere un patrimonio archeologico accessibile solo tramite tecnologie avanzate.
Il lavoro svolto rappresenta un passo significativo nella salvaguardia della memoria storica sommersa, con l’obiettivo di preservare e valorizzare questi tesori inestimabili per le generazioni future.