La luce che vince la malinconia e il dolore. Origini teologiche del luminismo in pittura. Il luminismo è una modalità di rappresentazione che mette in forte contrasto la luce (il lume) con l’oscurità.
di Maurizio Bernardelli Curuz
La Pittura di Savoldo è tutta attraversata dall’azione di un doppio registro – basso continuo dell’ombra o la melodia vibrante e concertante della luce – quasi che il pensiero dei pittori collocati sulla linea Bergamo-Venezia rimbalzasse costantemente dai fumi di paesaggi dell’anima di Petrarca al Vangelo di Giovanni, in buona parte sviluppato sul fitto contrappuntare tra struggimento malinconico e divina epifania contrassegnata dall’irruzione della luce. Tristi ombre e luci giovannee, in costante regime di interlocuzione, agiscono in Savoldo nella forma di un gigantesco mantice pittorico-emotivo, che fa dilagare l’ansia della notte incipiente e la stempera nella certezza luminosa di Cristo.
Si rivela, in Savoldo, qualcosa di estremamente nuovo rispetto le Natività fiamminghe all’interno delle quali i pur presenti – e precedenti – brani luministici hanno l’esclusiva funzione timbrica di conferire ai quadri il tepore di una divina, prodigiosa intimità domestica, che effonde un senso di accogleinza a chi vi si accosta o che comunque rivela il ruolo di sottolineare la presenza del piccolo Dio al centro della scena. La luce, nell’opera savoldiana, è presidio invidiato dal Cielo all’uomo, affinché quest’ultimo sia in grado di uscire dalla prostrazione crepuscolare e notturna in cui versa. La luce, ne pittore lombardo-veneto, non sottolinea peraltro esclusivamente – in chiave fiamminga – la calda intimità di un ambiente che contraddice, in modo miracoloso, l’algida scenografia della stella diruta. Essa esercita, con modalità giovannea, l’azione di un faro di Senso nella penombra, attraverso il quale Cristo chiama a sé i pastori più sensibili, i quali non vengono attratti alla mangiatoia della Natività da sonori canti angelici, quanto dall’espandersi di un lucore lontano e dal disagio del sentimento malinconico dal quale sono pressati.
Savoldo, Lotto, Romanino, Moretto intingono quindi luce-colore dal Vangelo di Giovanni e dalle stesse pagine spremono il succo dolce-amaro dell’oscurità. Cristo, per il più giovane degli apostoli, è infatti, una costante fonte di luce. Luce e logos che roteano e che si innervano fino a fondersi nella parola abbacinante. Giovanni diviene allora, vigorosamente, l’apostolo con il quale l’uomo del Cinquecento affronta crepuscoli e tenebre della crisi malinconica, che sembrano sempre più fitti, anche a causa dell’eresia, quindi della rottura di un equilibrio originario.
Tutto il Vangelo dell’apostolo prediletto è colpito da emanazioni luminose che vengono avidamente assorbite, nella forma di unità cromatiche di fuoco, dai fondali crepuscolari della pittura di Terraferma e parzialmente restituite, con straordinarie accensioni e bagliori degni di meraviglia. Ecco una fiamma: “Egli era vita/e la vita era luce per gli uomini. Quella luce risplende nelle tenebre7 e le tenebre non l’hanno vinta”. Il fuoco del Battista:” Egli venne come testimone della luce/ perché tutti gli uomini/ ascoltandolo/ credessero nella luce./ Non era lui la luce:/ Giovanni era un testimone della luce./ La luce vera, colui che illumina ogni uomo, / stava per venire al mondo!. La lampada dardeggiante, sicuro indirizzo dei naufraghi:” E’ questo il motivo della loro condanna: che la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce e ne stanno lontano perché la luce non faccia conoscere le sue opere a tutti. Invece chi ubbidisce alla verità, viene verso la luce, perché la luce faccia vedere a tutti che le sue opere sono compiute con l’aiuto di Dio”.
La luce come elemento di indirizzo, un fuoco marino per chi vive malinconicamente, senza capire la direzione assunta, nel crepuscolo che sconfina nell’oscurità. Fino alle certezze gioiose dell’esplosione luminosa:” Io sono la luce del mondo. Chi mi segue non camminerà mai nelle tenebre, anzi avrà la luce che dà la vita”. Un’aderenza alla verità teologica della Lux che Savoldo porterà da quadri delle Natività alle proprie malinconiche Maddalene, i cui manti non si prestano esclusivamente ad essere teli pronti ad accogliere gli esercizi virtuosistici dell’artista, ma divengono superfici sulle quali è possibile osservare il riverbero luminoso della presenza di Dio.
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