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Scoperte in Arcimboldo altre figure nascoste. Anche Giuditta e Oloferne tra i simboli che compongono l’Inverno



Giuseppe Arcimboldi, L’Inverno, 1653, olio su tavola, 66,6×50,5 cm, Vienna,
Kunsthistorisches Museum

L’universo di Arcimboldo è più vasto e complesso di un gioco di illusioni superficiali. E il suo magistero va ben al di là degli arcimboldisti pedissequi. Il modo di comporre i tessuti più profondi del quadro, per far emergere, in sagome, quadriglie, coppie, figure che vanno e vengono, che si uniscono o si dividono, in misura della distanza del punto di vista dello spettatore e della sua posizione nella stanza rispetto al quadro – mette a dura prova lo sguardo del pensiero unico, quello impostato centralmente e a risposta singola e vincolante, del nostro contemporaneo.

Di particolare interesse il risultato di un lavoro compiuto da Stile arte, che da Caravaggio discende in Leonardo, soffermandosi sul principale snodo di trasmissione della tecnica delle figure composite: Arcimboldo. Caravaggio incontrò certamente Arcimboldo – stavano a poche centinaia di metri l’uno dall’altro – e – è un’ipotesi di ricerca da valutare – non è escluso che il giovane pittore bergamasco, durante il periodo oscuro, compreso tra la fine della propria formazione presso Peterzano e l’arrivo a Roma, abbia operato nella bottega del vulcanico maestro milanese o comunque in ambienti a lui contigui.

L’analisi dell’Inverno, dipinto conservato a Vienna, condotta con preciso registro di rilevamento delle figure composite, ha consentito al gruppo di lavoro di Stile arte, coordinato da Maurizio Bernardelli Curuz, di giungere ad evidenze in parte sottovalutate, in parte non rilevate, che consentono di mettere in luce sia figure che appartengono evidentemente a un orizzonte di simbologia alchemica, come il vecchio sapiente che emerge dalla grotta-orecchio dell’Inverno stesso che altre immagini, tra le quali figure-ritratto, fossero legate alla committenza o alla bottega stessa.

La grotta nell'illustrazione di un antico libro di alchimia
La grotta nell’illustrazione di un antico libro di alchimia

Interessante l’enucleazione, alla base del collo della figura allegorica dell’Inverno, di una scena riconducibile al drammatico episodio di Giuditta e Oloferne.

LA TECNICA – Basandosi sugli studio delle macchie e sul controllo e sull’indirizzo, ai fini espressivi, del fenomeno della pareidolia, delle immagini ambigue e delle anamorfosi, Arcimboldo sviluppa in chiave pittorica le ricerche di Leonardo sui fenomeni ottici.
Sotto il profilo tecnico le immagini vengono definite in modo più o meno preciso, assecondando la messe a fuoco di particolari, piuttosto che altri, che si attivano secondo la distanza o la posizione dello spettatore rispetto all’opera. Arcimboldo – che, come testimonia il contemporaneo Lomazzo, era anche uno straordinario criptatore a servizio degli uffici imperiali – gioca sulla generale incapacità ottica di leggere una figura quando inserita, in continuità in un contesto di moltitudine caotica e quand’esso appaia fuori scala, rispetto al soggetto principale o quando essa si collochi in una posizione non ortogonale rispetto a chi osserva.

IL FINE – Divertenti e gioiose in superficie, giocose e ironico-grottesche nelle parti ben visibili, le opere costituiscono – nel motore semantico – non solo uno spunto di meditazione sul rapporto tra l’Uno e la molteplicità, ma un branco di prova per chi praticava la filosofia ermetica, che era invitato al lege et rilege, cioè a uno sguardo analitico dei fenomeni, da più punti di vista e da distanze diverse. E’ probabile che i dipinti di Arcimboldo costituissero, al contempo, serbatoi per l’Ars memoriae – l’arte di ricordare in modo prodigioso, attraverso simboli o luoghi -, spesso collegata all’ermetismo.