Prova a pensare di essere lontano da casa, in un forte ai confini dell’Impero. In un’epoca di foreste infinite, di acque e nemici. Di frecce e di lance. Di imboscate. Di freddo. Di solitudine. Di orrore. Allora, è sera. Accendi la lanterna che hai portato da casa. La fiamma sbalza dal disco immagini in lieve oscillazione. Animule, vagule, tremule ti invitano a pensare. Ti spaventano e, poi ti rassicurano. Quelle larve sono spettri di antenati, di amici, di anime che ti proteggono.
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Nel distretto di Kaleto, nella città bulgara di Lom, recenti scavi archeologici hanno portato alla luce importanti resti di edifici militari risalenti al I secolo d.C. e suppellettili, oltre che monete e oggetti metallici. La scoperta, annunciata dalla Radio Nazionale Bulgara (BNR), ha rivelato strutture difensive romane, tra cui mura e fossati, sepolti a una profondità di circa 7,5 metri. La ricerca è stata guidata dal Ch. Prof. Dr. Vladislav Zhivkov dell’Istituto Nazionale di Archeologia con Museo presso l’Accademia delle Scienze Bulgara. La campagna del 2024 ha permesso di raccogliere circa 400 reperti, tra cui equipaggiamenti per cavalli, ornamenti, croci e vasi in argilla. Questi manufatti saranno conservati nella collezione del Museo di Storia di Lom. Zhivkov ha affermato che presto sarà presentata una nuova domanda di finanziamento per proseguire l’indagine archeologica, nel 2025.
Le difese militari romane
Secondo quanto affermato da Zhivkov, la presenza romana più antica nella regione è legata a una muraglia fortificata circondata da tre fossati, parte di un accampamento militare istituito da una legione romana nella prima metà del I secolo d.C. Successivamente, nella seconda metà dello stesso secolo, fu costruito un nuovo accampamento, presumibilmente adibito a caserma con stalle. Il nostro legionario era lì, con la sua lanterna.
Tra le scoperte più significative vi sono una piccola stanza che probabilmente ospitava un ufficiale e che conteneva manufatti in bronzo, monete e vasellame ceramico importato, prevalentemente proveniente dalla Gallia meridionale. Zhivkov ha spiegato che il campo militare fu distrutto durante un attacco intorno all’anno 198 d.C., quando Lom si trovava lungo il confine dell’Impero Romano con la Dacia.
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Evoluzione della Città di Lom
La città bulgara di Lom, situata sulla riva destra del Danubio, vicino alla foce del fiume Lom, era conosciuta in epoca romana con il nome di Almus. Questo toponimo è attestato in diverse fonti antiche.
Il nome “Almus” potrebbe derivare dal latino “almus”, che significa “fecondo”, “nutriente” o “benefico”, forse in riferimento alla fertilità delle terre circostanti o all’abbondanza di risorse fluviali. Tuttavia, non vi sono evidenze che colleghino il toponimo “Lom” – nome attuale della cittadina – al termine latino “lāma”, che significa “pozzanghera” o “palude”.
Dopo la conquista romana della Dacia nel II secolo, Lom perse il suo ruolo di avamposto di frontiera, trasformandosi in un insediamento interno e in un importante porto lungo il Danubio. Le mura fortificate subirono diverse fasi di distruzione e ricostruzione nel corso dei secoli, specialmente durante il Primo e il Secondo Regno Bulgaro. Successivamente, durante il periodo ottomano, queste mura racchiusero il quartiere turco della città.
Zhivkov ha sottolineato che ritrovamenti di strutture difensive romane risalenti alla prima metà del I secolo sono rari nella regione del basso Danubio, rendendo questa scoperta particolarmente preziosa per gli studiosi di archeologia militare romana.
Il significato della misteriosa lucerna
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E’ evidente che questa lucerna doveva essere un oggetto personale di un legionario. Qualcosa che portava con sé, al di là delle dotazioni dell’esercito. Il soggetto che il lume reca al centro è semplice, ma singolare. Ed è probabilmente collegato a un culto misterico, al di là di una prima lettura che parrebbe riferirsi a una metamorfosi animale. La sera doveva accendersi con immagini inquietanti. Larve, fantasmi. Un pensiero al divenire e all’Aldilà, al quale poi, il disco di ceramica, doveva dare una soluzione positiva. Dal caos dell’accensione, dominata dal fiottare incerto del lume che evocava, sulla propria superficie, immagini di larve e di un mostruoso essere incappucciato, la lucerna conteneva una richiesta di un riordino dei pensieri, di una meditazione e, probabilmente, di una preghiera. A chi? La chiave di lettura sta nell’immagine, che progressivamente sveleremo.
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Il disco della lucerna reca la forma di una larva, nome che, in latino, designa soprattutto un fantasma e un bruco. La larva-bruco, dotata di un querulo aspetto infantile, si solleva da quella che, a prima vista, parrebbe una foglia. Il bruco simbolizza la metamorfosi che porterà un misero corpo vermiforme a divenire farfalla quindi psiche, l’anima, dopo essersi trasformata in una crisalide.
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Potremmo accontentarci di una spiegazione superficiale, che rappresenta il ciclo dei coleotteri e l’eterno ritorno dei viventi che conoscono i segreti della metamorfosi. La lucerna allude sì al divenire, alla “reincarnazione” e, comunque a un ritorno mutato e al ciclo perenne, ma al tempo stesso ci dice qualcos’altro attraverso immagini composite.
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Quella che vediamo, alla nostra destra è una pelle, probabilmente quella di un anfibio o serpente, che ha lasciato il proprio abito spettrale. Da quel punto si palese una pupa che, in verità, è un agatodemone, un serpente con cresta, un demone buono che portava fortuna. L’insieme della vecchia pelle e dell’agatodemone crea una figura inquietante, incappucciata, che invita, con una mano, il bruco al silenzio, a non svelare un segreto, un mistero religioso, che appare sulla soglia della notte, tra figure inquietanti. Il segreto è che le divinità non vogliono la nostra morte; che esistono disegni superiori rispetto al divenire, che nulla finisce, poiché la farfalla dell’anima prende forma, spicca il volo e torna per deporre le uova. E tutto si ripete, all’infinito.
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Il serpente buono e il dio dei misteri
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L’Agatodemone (dal greco Ἀγαθὸς Δαίμων, “buon spirito”) era una divinità protettrice della casa e della prosperità, venerata nell’antica Grecia e successivamente adottata nel contesto religioso romano. Spesso associato alla fortuna, alla fertilità e alla protezione del focolare domestico, l’Agatodemone era raffigurato sotto forma di serpente, simbolo di rigenerazione e connessione con le forze ctonie, del profondo della terra.
Nel culto romano, l’Agatodemone mantenne il suo ruolo protettivo, legandosi alle pratiche domestiche e ai culti misterici. Nelle domus, si credeva che un serpente benevolo abitasse presso il larario, il piccolo altare domestico dedicato ai Lari e ai Penati, spiriti custodi della famiglia. Gli abitanti della casa offrivano libagioni di vino o latte per mantenere il favore di questa presenza benefica. Probabilmente il legionario romano portò con sé una lucerna collegata al culto domestico, agli antenati, alla morte che non annichilisce la vita se si apre al mistero.
Un interessante collegamento emerge con Arpocrate, il giovane dio egizio del silenzio e della saggezza segreta, spesso raffigurato come un fanciullo con un dito portato alle labbra. Durante il periodo ellenistico e romano, Arpocrate fu sincreticamente associato all’Agatodemone, particolarmente attraverso la figura di Serapide, divinità che univa elementi greci ed egizi. Questo legame derivava dall’idea che il “buon spirito” fosse depositario di conoscenze misteriche e protettive, come lo era Arpocrate nel contesto esoterico egizio.
La fusione tra le tradizioni greco-romane ed egizie sottolinea il sincretismo religioso caratteristico dell’Impero romano. Le divinità locali venivano reinterpretate e integrate in nuovi sistemi di credenze. L’Agatodemone e Arpocrate insieme rappresentavano la sintesi tra protezione domestica e saggezza occulta, simboli tanto di prosperità materiale quanto di equilibrio spirituale. Un pensiero agli antenati, agli spiriti buoni che si delineano tra creature spettrali. Il lume invita a guardare, a distinguere e a tacere. Pensando che, per tutti, tornerà la luce.