Marco Buscarino per “Stile” intervista Francesco Rossi, curatore della mostra “La collezione Rau” aperta all’Accademia Carrara di Bergamo.
Al di là degli elevati valori pittorici rappresentati dalla collezione, possiamo individuare in questa mostra un percorso sintetico, un viaggio nella storia dell’arte che permette in sintesi al visitatore di distinguere le scuole nazionali, i reciproci influssi, la nascita del moderno….
La collezione di Gustav Rau è una raccolta molto particolare, in quanto riflette l’ideale di tutti i grandi collezionisti, che è quello di costruire una sorta di storia dell’arte per capolavori. Detto ciò, bisogna anche tenere presente che la mostra offre una selezione di opere, centododici, sulle circa seicento complessive. Rau è stato un collezionista somigliante più ai suoi omologhi dell’Ottocento che agli attuali. Normalmente il collezionista contemporaneo agisce su due direzioni ben precise: o acquista importanti raccolte già formate (pensiamo alla collezione Thyssen, il cui nucleo fondamentale è costituito da raccolte che furono rilevate in blocco), oppure tende alla specializzazione, cioè isola un periodo della storia dell’arte e lo approfondisce. Per Rau non è stato così. Egli si è mosso individuando le singole opere e acquisendole una per una, quindi condizionando le scelte in base alla propria mentalità. Ci sono quindi, da un lato la volontà di tipo storico di rappresentare l’intero percorso dell’arte, e dall’altro una dimensione estremamente personale. Infine, bisogna tenere conto anche delle circostanze in cui si è formata la raccolta. Infatti Rau negli ultimi quarant’anni ha operato prevalentemente in Africa come medico e come responsabile delle sue Fondazioni, dei suoi ospedali, quindi senza occuparsi stabilmente del mercato. Da quanto ho potuto ricostruire, egli si teneva informato sostanzialmente per corrispondenza: gli mandavano i cataloghi d’arte e d’asta e, in Europa o in America, egli individuava i pezzi di suo interesse.
E come avveniva l’acquisizione?
Faceva dei blitz di pochi giorni. Andava per esempio una settimana a New York, dove aveva prenotato una serie di opere: se queste gli piacevano, le acquistava. Essendo persona con mezzi sconfinati, godeva certo di un trattamento di favore.
Possiamo definirlo un grande conoscitore d’arte?
Senz’altro. Le sue acquisizioni venivano alternate da lunghissimi momenti di meditazione. Quindi le scelte maturavano in un percorso abbastanza complesso. Di ciò va tenuto conto per capire la mostra: dove, peraltro, non tutte le scuole sono rappresentate. Ci sono dei vuoti, che può darsi siano dovuti all’indisponibilità di opere sul mercato, ma che, più probabilmente, riflettono proprio i suoi interessi personali. Ad esempio, nella raccolta non c’è niente del Manierismo toscano o romano; tutta la cultura del Cinquecento maturo è ignorata; ora, non è possibile pensare che in quarant’anni non gli sia mai capitato un pezzo significativo di quel periodo, anche perché negli anni Sessanta e Settanta tali opere circolavano, erano di eccelso valore ed avevano prezzi abbordabili. Se Rau non le ha acquistate, significa che lo ha fatto per una scelta precisa. Pensiamo, ancora, ad epoche a noi più vicine. E’ curioso che vengano rappresentati tutti i grandi momenti della cultura europea dell’inizio del nostro secolo, dai Fauve agli Espressionisti ai Simbolisti, e che non ci sia nulla del Cubismo. Non è immaginabile che Rau non fosse in grado di trovare dipinti di tale ambito; evidentemente aveva deciso di non selezionare i movimenti di punta. Non voglio pensare che li ignorasse: secondo me era proprio una forma di rifiuto, perché l’opera d’arte, per lui, aveva altri significati. Credo fosse per lui una sorta di ultimo, residuo legame con la cultura occidentale. Dopo la “mutazione genetica”, per cui si era recato a fare il medico in Africa, l’arte aveva assunto il valore di legame con la cultura d’origine. E allora, per Rau era importante ciò che si collegava alla cultura occidentale, non ciò che la negava. Ecco che il cubismo, molto più vicino alla cultura africana degli altri movimenti dell’arte moderna, non gli interessava, proprio perché meno riferibile alla tradizione dell’Occidente. Da qui l’“asistematicità” che c’è nella raccolta, e che viene riscattata proprio dalla qualità. Va sottolineata ancora una peculiarità della raccolta stessa. Alcuni artisti vengono colti in “contraddizione”, rappresentati in un modo originale: penso allo straordinario ritratto di Fragonard, proiettato in una dimensione completamente nuova che sembra anticipare Delacroix ed il clima romantico. O al piccolo quadro di Luini, che appartiene ad un certo tipo di cultura leonardesca, ma individuato proprio nel momento di “contraddizione” in cui Luini riesce ancora a tenersi fuori dalla sua dimensione “popolare” e apparire come un autorevole intellettuale che riflette su Leonardo. Cosa che Luini fa di rado.