di Redazione
Stile Arte è un quotidiano d’arte e archeologia, fondato nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz
Un villaggio di costruttori di megaliti, cioè di grandi pietre prelevate, lavorate innalzate e o disposte in modo monumentale?
E’ probabile che esistesse una specializzazione di alcune tribù, nella lavorazione e nello spostamento delle pietre, durante il Neolitico segni di devozione manifestati con grandi monumenti non solo contrassegnavano la potenza della comunità, ma pure il livello tecnologico a cui la comunità stessa era giunta.
Con le pietre si faceva tutto. Dalle armi agli utensili, dalle abitazioni ai templi. E’ evidente che la superiorità tecnologica fosse dimostrata dalla facilità con la quale, ad esempio, si lavoravano grandi pietre, che poi divenivano un’offerta alla divinità, nonché segno di una compattezza operativa della comunità stessa che era riuscita a selezionarle, ad estrarle, a lavorarle, a trasportarle ed innalzarle. garantendone la stabilità.
E ora, probabilmente, potremo studiare sempre meglio, l’origine di questi gruppi di perfetti artigiani della pietra, in grado di realizzare grandi opere. È stato nell’autunno del 2023 che un team dell’Archeodunum è stato chiamato per svolgere uno scavo archeologico preventivo nel Comune francese di Locmariaquer ( qui risiedono circa 1700 persone), in Bretagna. Una località che si affaccia sul litorale – ha alcune spiagge sulla baia di Quiberon -, e che si colloca come ingresso occidentale del golfo del Morbihan.
Quest’operazione, prescritta dal Servizio Archeologico Regionale della Bretagna, è stata motivata dalla creazione di un complesso residenziale a sud della rue Er Hastel. Gli archeologi di Archeodunum hanno scoperto i resti di una vasta e complessa occupazione risalente al V millennio a.C., che potrebbe aver ospitato costruttori di megaliti.
Il sito si trova in un punto davvero strategico, a soli 250 metri dal porto che si apre sul Golfo del Morbihan. “Ricco è il contesto archeologico, poiché nella zona sono stati individuati numerosi siti megalitici risalenti al Neolitico, tra cui il famoso complesso del Grande Menhir e della Tavola dei Mercanti, situato a soli 700 m a nord. – spiegano gli archeologi di Archedunum – Lo scavo è avvenuto su un’area di quasi 8.000 metri quadrati. Il team, sotto la direzione di Audrey Blanchard , ha esplorato più di 450 evidenze archeologiche, la stragrande maggioranza appartenente al Neolitico medio”.
Dopo la rimozione del terreno di copertura mediante escavatore meccanico, sono iniziati ad apparire le vestigia dell’antica comunità.
Un habitat protetto da un recinto
Gli archeologi di Archeodunum hanno, grazie agli scavi, portato alla luce e rivelato l’esistenza di un habitat, che raggruppa almeno sette edifici quadrangolari di varie dimensioni. A sud, quattro edifici sono organizzati attorno ad uno spazio centrale di 600 mq, occupato da una quindicina di grandi abitazioni. Questi ultimi sono costituiti da numerose pietre – arrossate o imbrunite dal calore – installate in fosse, su letti di carbone. Questi dispositivi cosiddetti “a pietra riscaldata” venivano utilizzati per la cottura dei cibi. Altre fosse contengono numerosi frammenti di ceramica, selce intagliata e frammenti di macine, che suffragano l’idea di un’occupazione domestica. Questo probabile villaggio è limitato a sud da un recinto costituito da un doppio fossato e da una palizzata. Un’interruzione verso sud-est consente l’accesso all’habitat tramite un sentiero in pietra”.
Sotto il profilo “espressivo” la comunità si fece conoscere proprio per la modulazione che essa riusciva a dare ai menhir. Oltre a ritenere che il gruppo fosse coinvolto nella costruzione o nella gestione o nel raccordo culturale con il complesso del Grande Menhir e ai luoghi cultuali circostanti, realizzò menihir e stele anche all’interno del villaggio.
Decine di stele e di focolari
Ad est dell’insediamento recentemente scavato, gli archeologi hanno individuato una decina di fosse contenenti dispositivi per il contenimento di stele, o menhir. “A questi sviluppi – spiega Archeodunum – sembrano associati buchi di palo (per aiutare a posizionare i blocchi?) e una serie impressionante di una trentina di focolari costituiti da un’insieme di pietre che venivano riscaldate dal fuoco. Un po’ come il sito del Grande Menhir, ultimo testimone di una fila di 18 menhir di cui restano solo i pozzi di installazione, le stele di Er Hastel sono oggi scomparse (prese per altre costruzioni del Neolitico o più recentemente?), ma si possono considerare uno o più allineamenti (nord/sud in particolare). I primi elementi di datazione provengono principalmente dalla produzione ceramica. Si riferiscono tutti al Neolitico medio, tra il 4.200 e il 4.000 a.C. circa. In particolare, le coppe di base, vasi tipici di questo periodo, sono simili a quelli rinvenuti presso la Tavola dei Mercanti e il Grande Menhir. Questa vicinanza cronologica e geografica è davvero notevole. Siamo in presenza di un luogo dove vivevano le popolazioni che costruirono questi megaliti? Se applicabile, tale associazione sarebbe la prima, il che conferisce grande interesse a queste scoperte”.
E’ curioso notare come fosse il sito di installazione di un menhir. Per garantirne la stabilità della pietra verticale – che poteva raggiungere anche altezze notevoli, veniva realizzato un pozzo, cioè una buca abbastanza profonda, all’interno della quale venivano sistemati sassi come fondo e come blocco delle parti laterali della parti del menhir che finiva sotto il terreno.
“Per quanto riguarda l’archeologia – afferma Archeodunum – i nostri esperti analizzeranno i dati e studieranno tutti gli elementi raccolti (oggetti in ceramica, pietra, ecc.). I numerosi carboncini prelevati durante lo scavo saranno sottoposti a datazione al radiocarbonio, che consentirà di affinare la cronologia dei resti e di chiarire i rapporti tra i diversi sviluppi: edifici, recinti, focolari, ambientazioni stele. Si tratta di componenti di una stessa occupazione, oppure di testimonianze di una frequentazione diffusa su più secoli? Tutti i risultati saranno riuniti in un rapporto di scavo ben documentato, che arricchirà ulteriormente la lunga storia di Locmariaquer e della sua regione”.