di Maurizio Bernardelli Curuz
[I]l mustelide, tra le braccia di Cecilia Gallerani, l’amante ragazzina di Ludovico il Moro, tende gli orecchi a causa di un suono improvviso, in direzione di uno scalpiccio o di un lontano fruscio. Ed ecco come il prodigioso Leonardo risolve la questione. Blocca la giovane donna, per l’eternità, nella più bella Polaroid del mondo, nel momento in cui l’attesa s’apre alla grata ipotesi dell’arrivo dell’amato. E’ la bestiola a rendere fulminea, con la postura del muso e la direzione dello sguardo vibrante, la percezione di ciò che sta avvenendo, anticipando e – poi – amplificando l’atteggiamento trepidante di Cecilia.
Questo verticalissimo abisso di silenzio, fatto calare sulla scena dal pittore, indirizza lo spettatore verso una flebile traccia sonora al di là della cornice, in un punto lontano, a sinistra della donna e dell’animale, da dove Ludovico sta forse giungendo, nello stesso modo in cui l’uomo del Cantico dei Cantici muove rapidamente in direzione dell’amata. L’atteggiamento d’allerta del piccolo animale si configura come uno dei massimi esempi della funzione iconografica svolta, nei dipinti, dagli animali da compagnia che si rivelano, nella maggior parte dei casi, non tanto come elementi di complemento scenografico, quanto come autentici motori di senso finalizzati al condizionamento della scena stessa.
Cani e gatti, con maggior frequenza, assumono in pittura la basilare funzione di sensibilissimi indicatori del segno (positivo o negativo) e del grado (più o meno intenso) emotivo nel quadrante in cui si svolge l’azione. Tranquillità, disagio, attesa, pericolo incombente saranno spesso comunicati allo spettatore – e in modo sempre più sottile e virtuosistico, proprio a partire da Leonardo – attraverso gli atteggiamenti delle bestiole.
La stessa funzione orientativa, nel cinema, centinaia di anni dopo, sarebbe stata svolta dalla colonna sonora. E vediamo cosa avviene nei fotogrammi per leggere, in parallelo, nei dipinti, la sottotraccia emotiva, il basso continuo costituito dalla presenza semanticamente attiva dei piccoli animali domestici.
Qualsiasi corso elementare di tecnica cinematografica sottolinea l’imprescindibile azione espressiva svolta dalla colonna sonora, in grado di fissare con grande precisione il grado emotivo-atmosferico della scena.
L’immagine, in molti casi, è narrativamente neutra. Celeberrimo è l’esempio di una sequenza notturna, nella quale appare una donna che cammina rapidamente in una strada.
Quella scena può essere caricata di significati estremamente diversi – o diametralmente opposti – con il semplice mutamento della pista sonora. Una musica romantica suggerirà l’idea della corsa della protagonista verso un convegno d’amore; un brano cupo tenderà a rivelare, in un clima ansiogeno, una situazione di grave pericolo. E tra questi due estremi, utilizzando lo stesso spezzone filmico con il semplice mutamento del tracciato musicale, il regista sarà in grado di offrire decine di segmenti narrativi di diverso significato.
Nella “regia” dei dipinti, soprattutto in opere per le quali fosse necessario accedere a una dimensione narrativa, la funzione di delineazione del valore e del grado dell’atmosfera psicologica della scena era assegnata, in molti casi, agli atteggiamenti delle bestiole. Animali che, nell’ambito di un’attenzione crescente alla rappresentazione dell’ineffabile – poiché la pittura accettò persino la sfida di raffigurare il rumore o il transito lievissimo dell’energia dirompente dei sentimenti minimamente manifestati o sottaciuti – riceveranno sempre più, da quel momento leonardesco in poi, l’incarico di rappresentare – senza che i volti umani fossero deformati per un caricamento eccessivo dall’espressione, con il rischio che sul set precipitasse un tono grottesco – la gioia, l’attesa, lo stupore, il conflitto, la paura, il soave abbandono. Se non fosse per la loro presenza vibrante e carica di significato, in virtù della capacità primordiale di sentire e presentire con un’acutezza dei sensi capace di tramutarsi, rapidamente, in bestiale precognizione, i quadri stessi risulterebbero meno facilmente comprensibili.
Un cane che, in una stanza, digrigna i denti, segnala immediatamente una situazione di pericolo o comunque di conflittualità. Lo stesso animale, acciambellato soavemente in un sonno tranquillo, effonde un senso di tranquillità allo spazio della quinta scenica, giacché i cani autorizzano se stessi al sonno soltanto quando l’ambiente è dominato dall’assoluta assenza di pericoli.
L’ermellino – o la donnola o il furetto, che dir si voglia e comunque quella domestica bestiola che, in greco, veniva denominata gallé, nome contenuto nella radice del cognome Gallerani fino a rappresentare lo stemma parlato della giovane donna leonardesca – attiva e dirige, attraverso una sorta di “ferma” canina, l’attenzione dello spettatore.
Leonardo, contando sulla collaborazione del mustelide, riesce infatti a conferire un intenso significato a quel minuscolo segmento di vita vissuta, giungendo persino ad evocare nello spettatore la sensazione della sospensione del respiro, necessaria alla percezione di un flebile suono in lontananza.
Non solo: l’animaletto preannuncia e amplifica a livello di raffigurazione – con la funzione di un’esterna, emotiva protesi percettiva – i “moti dell’anima” della giovane donna, che attende l’arrivo dell’amato
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