di Lionello Puppi
[G]li ultimi vent’anni costituiscono una fase cruciale del percorso esistenziale ed artistico di Tiziano. Nel 1556 muore Pietro Aretino, il fraterno amico, l’agente spregiudicato, il promotore della sua pittura; nel ’58 scompare Carlo V, cui lo aveva legato un antico rapporto e probabilmente un sincero sentimento di gratitudine, e l’anno seguente anche l’amato fratello Francesco lo lascia. Tiziano comincia a sentirsi più solo e più vecchio; il suo senso della famiglia si rafforza e cresce in lui la necessità di riallacciare il legame con il paese natale e il suo Cadore, ove periodicamente torna.
Così, verso la metà degli anni Sessanta, quasi ottantenne, come il vecchio Ezechia si preoccupa di “mettere ordine alle cose della sua casa”: ed è un intreccio di faccende pratiche da sistemare e di “alti pensieri”, che si concentrano in meditazioni sul senso del tempo, la fragilità della bellezza, l’ineluttabilità della morte, il peccato, la redenzione, la salvezza nell’Eternità.
Se nell’ottobre del 1565 era salito nella sua Pieve – assistito dall’équipe ormai ben collaudata, composta dal figlio Orazio, il nipote Marco, Valerio Zuccato e il discepolo tedesco Emmanuel Amberger -, tante partite il “gran vecchio” sapeva aperte e s’affannava a chiudere.
Erano i conti di “dare e avere” con la Magnifica Comunità di Cadore ed il commercio del legname; il controllo delle prebende fatte confluire sul figlio indocile, Pomponio, che gli si rivoltava contro; il recupero dei crediti nei confronti di Filippo II; dispute e indebitamenti col fisco veneziano; una figlia illegittima da mettere cautamente al sicuro, e altri affanni ancora.
Nel 1566 Giorgio Vasari, dopo averlo visitato nella casa veneziana al Biri Grande, ne aveva consacrato la fama di “pittore divino” – costruita negli anni precedenti dall’Aretino e dal Dolce – dedicandogli una circostanziata ed encomiastica biografia nell’edizione giuntina (1568) delle Vite. Nel decennio, suppergiù, che lo separa dall’ora della morte – che scoccherà, nell’infuriar della grande peste, il 27 agosto 1576 -, Tiziano continua ad operare a dispetto della vista che gli si appanna e delle mani che tremano. La pittura del maestro – ora concentrata soprattutto sui soggetti sacri e mitologici – riflette gli eventi e il senso d’inquietudine e di minaccia di questi anni, acuito dalle incertezze della situazione europea e dall’avvio della Controriforma.