Tiziano, Allegoria del Tempo. Lui, il figlio e il nipote. Lupo, leone, cane. L'analisi dell'immagine

A sinistra l'autoritratto del pittore; al centro e in posizione frontale, col viso in ombra nella parte sinistra e progressivamente sempre più in luce verso destra (perfetta metafora del carattere intermedio, provvisorio e mutevole del presente), il figlio del grande pittore, Orazio, che appare nei panni di un uomo maturo scuro di carnagione, di barba e capelli; infine, rivolto verso destra, il nipote Marco, ritratto con fattezze di giovane dai capelli rossicci e dalla carnagione chiara, in piena luce nel massimo risalto di un luminosissimo futuro




Sopravvivere nell’azienda familiare. Una nuova lettura iconologica dell’Allegoria della Prudenza di Tiziano individua nell’opera il messaggio erudito ad essa magistralmente affidato dal pittore, che ne fece la cassaforte mentale in cui custodire arte e “fabbrica”, passandole al figlio e al nipote.

Il quarto numero dell’Annuario della Fondazione Centro studi Tiziano e Cadore (Studi tizianeschi, Silvana Editoriale) contiene un erudito contributo di Augusto Gentili in merito ad un’analisi iconologica dell’Allegoria del tempo governato dalla Prudenza conservato alla National Gallery di Londra. Il saggio aggiunge un interessante capitolo al grande romanzo biografico di Tiziano, che insiste non soltanto sulla sua fisionomia artistica quanto su quella di scaltro e oculato imprenditore, tutto volto al raggiungimento della fama e del successo economico nonché al mantenimento dell’“azienda” di famiglia e alla sua perpetuazione.
Questa volta, però, i dettagli non giungono a noi da epistolari, testamenti o pubblici registri, ma direttamente dalla pittura del maestro che, secondo lo studio di Gentili, avrebbe affidato simbolicamente proprio alla celebre opera in questione il singolare ruolo di custode ideale di un bene preziosissimo, quello del valore della sua arte inteso come patrimonio familiare, da preservare e trasferire ai successori integro e quanto possibile rafforzato.

Il dipinto è stato sempre considerato un’opera particolarmente significativa dell’ultima maniera di Tiziano, un’ultima maniera in verità non esattamente definita dal punto di vista cronologico, ma che solitamente si fa iniziare nel periodo compreso tra il 1560 e il 1565. Le particolarità che lo caratterizzano sono da un lato l’apparente “non finito” dell’esecuzione, che riguarda alcuni dettagli della composizione, dall’altro la presunta “oscurità” concettuale del soggetto, che, grazie all’acuta rilettura proposta da Gentili, viene definitivamente dissipata. L’Allegoria del tempo governato dalla Prudenza, come è noto, rappresenta in successione, da sinistra verso destra, tre teste d’animale (di lupo, di leone e di cane), sormontate da tre teste maschili (di vecchio, di uomo maturo e di giovane); nella parte superiore compare un’iscrizione in latino, anch’essa ripartita in tre versi, che tradotta suona così: “Sulla base del passato / il presente agisce prudentemente / perché il futuro non rovini l’azione”.
Occorre precisare che nel linguaggio antico prudenza non aveva il significato attuale di cautela, ma quello di saggezza, di avvedutezza, di “buon consiglio”, un concetto che, dunque, come si può dedurre dall’iscrizione, chiama direttamente in causa quello del tempo: il prudente, ovvero il saggio, è colui che trae insegnamento dall’esperienza del passato per agire accortamente nel presente e porre solide basi per il futuro.

Il punto di partenza delle riflessioni di Gentili è stato il saggio che nel 1955 fu dedicato all’opera da Erwin Panofsky, il quale riconobbe nei tre volti umani tre ritratti: quello dello stesso Tiziano nel vecchio dal profilo aguzzo rivolto a sinistra, cioè al passato, coerentemente con l’iscrizione e con l’ovvia considerazione che nella cultura occidentale normalmente si legge un testo o un’immagine in successione logica e temporale da sinistra verso destra (e infatti il volto sembra quasi assorbito dalla penombra del tempo andato); al centro e in posizione frontale, col viso in ombra nella parte sinistra e progressivamente sempre più in luce verso destra (perfetta metafora del carattere intermedio, provvisorio e mutevole del presente), il figlio del grande pittore, Orazio, che appare nei panni di un uomo maturo scuro di carnagione, di barba e capelli; infine, rivolto verso destra, il nipote Marco, ritratto con fattezze di giovane dai capelli rossicci e dalla carnagione chiara, in piena luce nel massimo risalto di un luminosissimo futuro.
Per quanto riguarda le figure dei tre animali, Panofsky offriva nel suo saggio una lunga serie di riscontri testuali e figurativi che indicavano l’origine della simbologia che collegava il lupo al passato, il leone al presente e il cane al futuro. Su questo punto Gentili si spinge oltre, segnalando con sicurezza una fonte letteraria ben precisa a cui Tiziano sicuramente si ispirò: si tratta dell’Idea del Theatro di Giulio Camillo (1480-1544), letterato e filosofo, cultore di retorica e mnemotecnica, di cabala e alchimia, intellettuale a tutto tondo che nel suo testo, peraltro molto conosciuto all’epoca, riferiva della presenza delle tre bestie nell’“antro di Saturno” e vi faceva corrispondere i tre “tempi saturnini”, ovvero i tempi dell’attività intellettuale, di quella oscillante malinconia tra concentrazione e distrazione, tra ispirazione produttiva e stasi depressiva, che, secondo la teorizzazione umanistica, accompagna regolarmente la creazione artistica.



Dunque nell’Allegoria non si discuterebbe di un tempo qualsiasi, ma di quello dell’artista, un tempo speciale che va gestito secondo la scansione della memoria, dell’intelligenza e della previdenza, proprio le tre parti che nel corso del tempo costituiscono la prudenza. Va sottolineato che – oltre che in questo quadro – negli ultimi anni di attività Tiziano riprodusse più volte la propria effigie. Lo fece in due autoritratti, ma anche trasponendo il proprio volto su due personaggi estremamente saturnini: nel San Girolamo eremita, eroe della solitudine meditativa e del raffinamento intellettuale, proposto dal pittore sia nel confronto con una natura ostile e selvaggia che nel contesto di una Pietà, dipinto nel quale tiene la mano al Dio morto; e poi nel Re Mida del Supplizio di Marsia, che ha avuto il dono del tocco d’oro ma non ha saputo utilizzarlo e non sa se avrà mai occasione per farlo, al pari del grande maestro che non sa se e per quanto potrà ancora beneficiare del tocco d’oro della sua arte, e che, per di più, non sa se potrà lasciarne a qualcuno l’eredità. La questione dell’eredità si apre nel momento in cui, nell’Allegoria, la figura di Tiziano scivola in una posizione laterale, lasciando ad altri il posto migliore. Con una certa cautela Panofsky aveva affermato che probabilmente, in un periodo in cui il cadorino pensava ad assicurare alla famiglia un presente e un futuro attraverso disposizioni legali e finanziarie, il quadro poteva essere stato concepito come sportello di un contenitore, di una sorta di cassaforte dove conservare documenti e oggetti di valore, ma in realtà il bene prezioso destinato a questa cassaforte integralmente mentale era l’eredità della pittura.
L’opera va infatti collegata alla grande tradizione cinquecentesca degli emblemi e delle imprese, insiemi di testo e immagini destinati alla stampa, gli uni dedicati a temi più generali di carattere morale, filosofico, politico, gli altri a temi più particolari, riferiti ad un personaggio o a una famiglia, un gruppo, un’istituzione (un’impresa, appunto). Ecco che, sempre secondo Gentili, l’Allegoria si connota parzialmente come emblema, confrontandosi con i temi delle tre età dell’uomo, delle tre zone del tempo, delle tre componenti della prudenza, e parzialmente come un’impresa, l’impresa della famiglia Vecellio, avendovi Tiziano sostituito ai tricipiti tradizionali i tre ritratti.

Dal punto di vista esecutivo si nota inoltre come il maestro abbia non solo dipinto un passato cupo, un presente luminoso e un futuro accecante, ma, come se ciò non fosse bastato, ha “finito” con buona maniera il presente/Orazio e il futuro/Marco, mentre ha utilizzato uno stile decisamente più sciolto e indefinito per il passato/autoritratto e i tre animali, confondendo in questo modo ogni illusoria aspirazione a una cronologia certa. Addirittura si può pensare che il quadro stesso sia, come tutto il resto, tricipite anche sotto il profilo temporale. Eseguito cioè in tre fasi, o forse più. Ma queste ipotesi perdono importanza di fronte al messaggio profondo dell’opera: se la prudenza governa il tempo, il triplice ritratto la sconfigge, perché allunga a tutte e tre le zone del tempo la fama e la garanzia del nome di famiglia. Assistiamo così ad una proposta radicalmente sperimentale che riguarda la dialettica tra nuova materialità della pittura e nuova personalità dell’autore, ovvero tra regola condivisa e scarto individuale, scarto immediatamente individuabile nell’approccio tecnico-stilistico che non rispetta alcun canone prestabilito, e più profondamente riferibile alla consapevole riflessione sul senso della fine.
Solo un grande pittore come Tiziano, in verità, poteva dar forma ad un simile progetto, capace di tenere insieme invenzione, costruzione ed esecuzione dell’opera col linguaggio più appropriato allo sviluppo e alla comunicazione del suo significato all’interno di un tessuto culturale di tale altissimo livello.
Sotto il profilo iconografico indichiamo una convergenza formale che non dovrebbe essere sottovalutata:quella del vultus trifrons, qui sotto

Scuola di Leonardo da Brescia, Cristo “triforme”, 1542 circa. Vigo di Fassa (Trento), chiesa di santa Giuliana
Scuola di Leonardo da Brescia,
Cristo “triforme”, 1542 circa. Vigo di Fassa (Trento), chiesa di santa Giuliana

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[PDF] Ecco il marchio dell’impresa calvinista



STILE ARTE 2007

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Redazione
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