“Non mi aspettavo di trovare un tesoro sul Monte Bianco” dice l’alpinista. Una scatola contenente 49 sacchetti di smeraldi e zaffiri – e, in minor numero anche altre gemme – per un valore di 300mila euro, trovata tra la neve, durante un’escursione. Nelle scorse ore, dopo anni di attesa in una cassaforte dello Stato, il pacchetto contenente il tesoro del ghiacciaio è stato aperto nel museo del fondovalle, alla presenza dell’avvocato dell’alpinista e dei funzionari del Comune. Le pietre preziose saranno suddivise in due lotti dello stesso valore. Uno andrà allo scopritore, l’altro al Comune.
Tra la neve, in un punto pianeggiante del percorso, l’alpinista aveva visto occhieggiare una pietra verde. Lo sportiivo stava affrontando un’escursione estiva, nel 2013. Uno smeraldo? si era chiesto. Ma che ci fa uno smeraldo tra la nevi del ghiacciaio? Poi aveva guardato con attenzione, lì attorno, e aveva notato una scatola metallica senza coperchio, nella quale si vedevano numerosi sacchetti contenenti soprattutto gemme verdi e blu.
Il giovane alpinista era sceso a valle, portando con sè il pacchetto e aveva denunciato il ritrovamento. “Potrebbero essere pietre preziose appartenenti a una delle vittime di un disastro aereo” aveva detto il commissario.
In caserma era stato chiamato un gioielliere di Chamonix per una prima perizia. “Sì, – aveva detto – sono pietre preziose. Se ipotizziamo che esse vengano dai resti di un disastro aereo – come pare – potremmo pensare a un commerciante di gemme che dall’India fosse diretto in Svizzera”.
Nei giorni successivi i gendarmi avevano compiuto un sopralluogo nel punto del ritrovamento. Poi le indagini si erano svolte soprattutto sul pacchetto, che era stato confezionato in India. Inizialmente si è cercato di capire a quale disastro aereo potesse riferirsi il tesoro del Monte Bianco. Bisognava aprire un’indagine non solo riferita al ritrovamento in sè, ma finalizzata anche alla possibile restituzione dei preziosi agli eredi di chi portava con sé il tesoro.
Il primo velivolo che era caduto su quel versante del Monte Bianco, proveniva da Bombay ed era diretto a Londra. L’aereo indiano si era schiantato il 3 novembre 1950 sul ghiacciaio, provocando la morte di tutte le persone a bordo. Nel 1966 un secondo gravissimo incidente, nello stesso punto.
Un altro volo di Air India ebbe infatti identica sorte nel 1966. Le vittime furono 117. Il passeggero che trasportava le gemme – la cui identità è rimasta sconosciuta – era su questo aereo.
Il Boeing 707-437 denominato Kanchenjunga, stava compiendo il terzo tratto del volo Bombay-Delhi-Beirut-Ginevra-New York quando cadde dopo aver impattato la montagna durante l’avvicinamento all’aeroporto di Ginevra.
Dopo il decollo da Mumbai, l’aereo aveva già effettuato scalo a Delhi e a Beirut e si apprestava ad atterrare in Svizzera. Mentre il Boeing si trovava a 19.000 piedi (5.800 m), il controllore di volo comunicò ai piloti che avrebbero potuto cominciare la discesa verso l’aeroporto subito dopo aver passato il Monte Bianco. Probabilmente ci fu un errore di comprensione. Il pilota, pensando di averlo già oltrepassato, si schiantò contro il Ghiacciaio dei Bossons, all’altitudine di 4750 metri.
Fra i passeggeri morti nell’incidente vi era anche il Presidente della Commissione Indiana per l’energia atomica Homi Jehangir Bhabha. Per questo, durante l’inchiesta, fu valutata anche la possibilità di un attentato, considerato peraltro il fatto che alla pista indiana poteva aggiungersi quella medio-orientale, in quanto il velivolo aveva fatto scalo in Libano.
La commissione d’inchiesta stabilì invece che il pilota ai comando del Boeing, poichè uno dei VOR – sistema di radionavigazione che calcola il posizionamento del velivolo – non era in funzione, sbagliò a valutare la sua posizione in relazione al Monte Bianco e vi fu un fraintendimento con la torre di controllo; il controllore di volo, grazie ai dati del radar, si era accorto del problema e lo aveva comunicato al pilota pensando che fosse in grado di ricalcolare la posizione stessa e successivamente di iniziare la discesa. Il pilota fraintese la comunicazione e credette di aver già oltrepassato la vetta del Monte Bianco, cominciando quindi la discesa stessa.
Fu così un disastro. 117 persone persero la vita nell’incidente. La scatola metallica contenente le gemme, che reca i segni dell’impatto, fu scaraventata sulla neve e, probabilmente, iniziò a scivolare a valle, di anno in anno durante il disgelo degli strati superficiali del ghiacciaio, fermandosi su una superficie pianeggiante.
Del ritrovamento dei gioielli furono interessati anche i ministeri francesi competenti, che avviarono contatti con le ambasciate – soprattutto quella indiana – segnalando la presenza di materiale prezioso che avrebbe potuto essere reclamato dai familiari o dagli eredi del proprietario delle gemme, morto a causa della caduta del Boeing. Il pacchetto è rimasto chiuso nella cassaforte dal 2013 fino ai giorni scorsi. Alpinista e Comune di Chamonix avevano fatto pressione affinchè lo Stato desse quantomeno comunicazione della fine che avevano fatto i sacchetti. Gli appelli si erano intensificati nelle settimane scorse. Lo Stato ha comunicato che nessuno ha reclamato le pietre preziose. Così il tesoro è stato consegnato alla comunità, al museo di Chamonix.
Un ultimo passo verso la suddivisione delle gemme – che valgono, come dicevamo, 300mila euro -tra il Comune e l’alpinista.