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La Pietà di Viterbo, di grandi dimensioni, misura infatti 187 x 247 centimetri è caratterizzata da un’iconografia assolutamente inedita ed originale, per alcuni si tratta addirittura del primo notturno drammatico della storia dell’arte, senza precedenti per dimensioni e per resa atmosferica. L’opera secondo la tradizione – che non è poi distante dalla realtà – nasce come una sfida di Michelangelo a Raffaello e alla sua scuola, allora all’apice del successo. La potenza di Michelangelo, prima celebrata nell’ambito della corte papale per il lavoro possente alla cappella Sistina, perde interesse a favore del bello-buono portato vanti da Raffaello, il divin fanciullo, l’uomo dalla pittura lieve e gioiosa. Michelangelo ha un pessimo carattere; è un uomo profondo, un ottimo intellettuale, un artista multiforme ma al tempo stesso vive di invidia e di rancore, come se la propria omosessualità fosse una punizione rispetto al percorso lineare degli altri. Sicchè Michelangelo, che sappiamo cercherà di soffiare il lavoro alla scuola di Raffaello, subito dopo la morte del maestro urbinate, sentendosi inferiore a lui, non nel disegno, ma nel colore, decide l’alleanza con uno specialista veneto del colore stesso, Sebastiano del Piombo. Egli deve infatti ritenere che unendo la sensibilità veneziana per i toni – tra colorismo e pittura tonale – alla forza espresiva del proprio disegno, sia possibile raggiungere esiti eccezionali. Scrive a questo proposito Vasari:”Molti artefici che più aderivano alla grazia di Raffaello che alla profondità di Michelagnolo, erano divenuti, per diversi interessi, più favorevoli nel giudizio a Raffaello che a Michelagnolo. Ma non già era de’ seguaci di costoro Sebastiano perché, essendo di squisito giudizio, conosceva a punto il valore di ciascuno. Destatosi dunque l’animo di Michelagnolo verso Sebastiano, perché molto gli piaceva il colorito e la grazia di lui, lo prese in protezione, pensando che se egli usasse l’aiuto del disegno in Sebastiano, si potrebbe con questo mezzo, senza che egli operasse, battere coloro che avevano sì fatta openione, et egli sotto ombra di terzo giudicare quale di loro fusse meglio”. L’opera di Sebastiano del Piombo, che qui esaminiano, è molto probabilmente tratta da un cartone michelangiolesco e rappresenta un reticolo molto accurato nel disegno sottostante, che non appartiene certamente alla tradizione veneta.Alla distanza appaiono quelle terme viterbesi che erano state oggetto di studio disegnativo da parte di Michelangelo. Nell’ambito di una forte competizione, avvertita, peraltro soltanto da Michelangelo, l’opera si rivelerebbe un ordigno costruito a tavolino e lanciato contro Raffaello.
Esistono fortissime affinità con la Pietà michelangiolesca di San Pietro, sia per quanto riguarda l’impianto piramidale della figura isolata e monumentale di Maria che nella figura snella e armoniosa di Cristo – affinità che fanno pensare che il dipinto fosse stato concepito come l’equivalente pittorico della scultura -. Tuttavia fra le due opere vi sono alcune sostanziali differenze: l’età della Vergine, per cominciare, che nell’esecuzione di Sebastiano acquista fattezze da matura matrona; lo sguardo di Maria rivolto al cielo e sottolineato dalla torsione del busto nel gesto di preghiera, che si oppone all’espressione contemplativa della Vergine michelangiolesca; e infine la posizione di Cristo, che Sebastiano pone ineditamente non in grembo alla madre, ma separato da lei, in quella che è un’invenzione iconografica frutto di una complessa e innovativa elaborazione di forma e contenuti. Ricordiamo che il committente dell’opera, monsignor Giovanni Botonti, era un umanista di grande spessore, esponente di quell’ambiente culturale viterbese sensibile agli ideali di riforma della Chiesa Cattolica che gravitava intorno al teologo agostiniano Egidio da Viterbo, fra i fautori di quel culto del Corpo di Cristo, del Santissimo Sacramento, che si andava ampiamente diffondendo in quegli anni. L’iconografia della Pietà di Sebastiano del Piombo si piega alla luce delle indicazioni offerte da questa predicazione: quando si trovava nella sua collocazione originaria nella cappella Botonti, infatti, la grande pala presentava il corpo di Cristo come se fosse deposto sopra la mensa del sottostante altare, suggerendo così l’equivalenza con il Santissimo Sacramento, mentre Maria alludeva all’umanità in attesa della redenzione. L’innovazione iconografica, come si accennava, risulta fondamentale anche quanto riguarda il paesaggio sullo sfondo del dipinto: un “notturno sublime”, un eccezionale brano pittorico e una apprezzata novità nella Roma del tempo, che dimostrava le straordinarie doti colorista del veneziano e la sua perizia nella rappresentazione della campagna avvolta nelle tenebre. Ma attorno al quasro