Come l'arte e l'architettura trasformavano uomini esemplari negli Dei. Divinizzazioni e politica

I Greci avevano concesso l’apoteosi solo a semidei come Ercole, che si era guadagnato quella posizione con dodici fatiche, e non poterono negarla ad Alessandro, anch’egli, a suo dire, figlio di un dio. Romolo, l’ecista divinizzato, avrà, secondo Virgilio (Eneide VI, 786 e ss.) “cento nipoti, tutti celesti, tutti abitatori delle “superne vette” e tra questi evidentemente spiccava Augusto. Architettura, arte,  tutto concorreva ad interpretare il desiderio di apoteosi. In Etruria, i templi, normalmente orientati verso Mezzogiorno, rappresentavano la proiezione sulla terra di una divisione sacra del cielo. A Roma si svilupparono raffinate decorazioni simboleggianti il percorso dell’anima, aerea e immortale, verso l’emisfero superiore

La ricostruzione del mausoleo di Adriano, poi trasformato in Castel Sant'Angelo
La ricostruzione del mausoleo di Adriano, poi trasformato in Castel Sant’Angelo



Il Mausoleo di Adriano, oggi Castel Sant’Angelo, è uno dei più grandi monumenti funerari. Ha ospitato le spoglie dell’imperatore Adriano e dei suoi successori fino a Caracalla, come prima il Mausoleo di Augusto aveva accolto le spoglie imperiali di Augusto e della sua gens. Il ponte lo collegava al Campo Marzio, non a caso l’area destinata ai grandi funerali di Stato.
Il funus imperatorum, ossia il funerale imperiale con la divinizzazione dell’imperatore, cioè l’apoteosi che decretava la sua trasformazione in divus, per la prima volta celebrata a Roma con i funerali di Augusto, era l’ultimo atto di un lungo processo che già nella Repubblica aveva visto salire agli onori dei funera publica gli uomini più carismatici e meritevoli. A questo proposito Cicerone, nel Somnium Scipionis, spiegava come il viaggio celeste fosse comunque il destino dell’uomo che si fosse distinto in favore dello Stato, e illustrava le teorie dell’immortalità dell’anima e della sfericità del cosmo sulle quali si fondava l’idea dell’ascesa in cielo delle anime elette.
Castel Sant'Angelo, Atrio romano, nicchia per la statua di Adriano
Castel Sant’Angelo, Atrio romano, nicchia per la statua di Adriano

Dopo l’esempio di Giulio Cesare, al quale era stato dedicato il tempio del Divo Giulio nel Foro Romano, con Augusto la divinizzazione divenne un atto formale della vita politica romana ed ebbe un cerimonia particolare, appunto l’apoteosi (in latino consecratio), che anche gli storici antichi descrissero con attenzione e curiosità.
Il percorso verso la divinizzazione aveva però origini molto lontane nel sapere degli Egizi, al quale anche i Greci si erano ispirati, concedendo l’appellativo di cosmocrati, ossia dominatori del cielo, ai sovrani ed ispirando in tutti costoro il desiderio di apoteosi.
Castel Sant'Angelo, accesso alla rampa elicoidale
Castel Sant’Angelo, accesso alla rampa elicoidale

I Greci avevano concesso l’apoteosi solo a semidei come Ercole, che si era guadagnato quella posizione con dodici fatiche, e non poterono negarla ad Alessandro, anch’egli, a suo dire, figlio di un dio. Romolo, l’ecista divinizzato, avrà, secondo Virgilio (Eneide VI, 786 e ss.) “cento nipoti, tutti celesti, tutti abitatori delle “superne vette” e tra questi evidentemente spiccava Augusto. Architettura, arte,  tutto concorreva ad interpretare il desiderio di apoteosi. In Etruria, i templi, normalmente orientati verso Mezzogiorno, rappresentavano la proiezione sulla terra di una divisione sacra del cielo. A Roma si svilupparono raffinate decorazioni simboleggianti il percorso dell’anima, aerea e immortale, verso l’emisfero superiore. Gli esempi sono tanti, dalla Villa dei Misteri a Pompei al cosiddetto tempio pitagorico di Porta Maggiore, il colossale Pantheon, splendido tempio dedicato agli dei celesti, situato in un quartiere della città, Campo Marzio, definito con Augusto “specchio del cielo”. Il grande foro sulla cupola, con la sua colonna di luce, apriva il transito tra la terra e il firmamento.
Castel Santangelo, in mostra brocchetta di Ripacandida, Museo Archeologico Nazionale del Melfese-“Massimo-Pallottino”-metà-V-secolo-a.C. La raffigurazione rappresenta l’ascesa al cielo di un essere umano, la sua apoteosi, la sua chiamata al novero delle dvinità
Castel Sant’Angelo, in mostra brocchetta di Ripacandida, Museo Archeologico Nazionale del Melfese-“Massimo-Pallottino”-metà-V-secolo-a.C. La raffigurazione rappresenta l’ascesa al cielo di un essere umano, la sua apoteosi, la sua chiamata al novero delle divinità

Infine, anche nella letteratura del Medioevo Cristiano, i santi ed i re, per lo più quelli francesi, presero il posto degli antichi eroi che nel cielo avevano il loro posto, e appaiono oggi anch’essi consacrati al mito delle origini.
Cammeo di Nancy, Basilique-de-Saint-Nicolas-de-Port-Meurthe-et-Moselle-Médiathèque-de-Nancy-Caracalla-sulle-ali-di-un’aquila-211-217-d.C.
Cammeo di Nancy, Basilique-de-Saint-Nicolas-de-Port-Meurthe-et-Moselle-Médiathèque-de-Nancy-Caracalla-sulle-ali-di-un’aquila-211-217-d.C.

Roma ha valorizzato il significato storico del Mausoleo di Adriano partendo dall’altissima qualità della sua architettura.Il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo ospitò nel 2014 la mostra Apoteosi. Da uomini a Dei. Il Mausoleo Adriano, ideata e diretta da Filippo Coarelli e Eugenio Lo Sardo e curata da Letizia Abbondanza, Aldo Mastroianni e Paolo Vitti. Il catalogo venne edito da Munus – Palombi. Il percorso venne articolato partendo dalla fondazioni e dagli spazi rituali delle sepolture imperiali, per illustrare le origini storico-religiose della divinizzazione dell’imperatore, iniziando dal culto degli eroi in Grecia – Eracle – e sul suolo italico – Enea e Romolo – al culto dei sovrani, da Alessandro Magno in poi. Vennero esposte la Brocchetta di Ripacandida, il rilievo di Amiternum, il Cammeo di Nancy, e il Dittico in avorio di Quinto Aurelio Simmaco, le immagini di imperatori divinizzati e le maquette dei principali monumenti; il percorso della mostra descrive le origini e l’evoluzione storica dell’apoteosi e del viaggio celeste.
Carved ivory leaf from a diptych, Rome, 402 AD
Carved ivory leaf from a diptych, Rome, 402 AD

Quando l’imponente mole cilindrica che oggi conosciamo con il nome di Castel Sant’Angelo vede la luce sulla riva destra del Tevere, non è un castello ma un sepolcro, e tra le numerose statue che la ornano non ci sono né santi né angeli. L’ha fatta erigere l’imperatore Adriano, volendo garantire una degna sepoltura ai resti suoi e della sua famiglia in quell’ampia porzione di territorio all’estrema periferia di Roma nota come ager Vaticanus, la cui posizione fortemente decentrata unitamente al divieto di inumare i morti all’interno della città fa sì che lungo i lati delle sue due vie principali – la Cornelia e la Triumphalis – si allineino sepolcri e tombe. Una in particolare, sicuramente modesta e poco appariscente, è oggetto di continui pellegrinaggi da parte di piccoli drappelli di cristiani: si dice vi sia sepolto l’apostolo Pietro, crocifisso poco lontano in una anno imprecisato tra il 64 ed il 68. La presenza di questa memoria condizionerà in modo determinante gli sviluppi e le evoluzioni che investiranno il Mausoleo, l’ager vaticanus e l’intera città di Roma.
Il sepolcro è collegato alla sponda opposta del Tevere e, dunque, al resto dell’Urbe dal Pons Aelius, un ponte concepito strutturalmente in funzione dell’Adrianeo, dato che ne costituisce l’unica, monumentale, via di accesso.
Non è possibile ricostruire con esattezza l’aspetto originario dell’antico sepolcro, tuttavia sappiamo che, nell’impianto generale, esso deve richiamare l’Augusteum, il mausoleo di Augusto realizzato circa un secolo e mezzo prima e situato a poca distanza, sulla sponda opposta del Tevere. Costruito a partire dalle forme semplici e nette del cerchio e del quadrato consiste verosimilmente in una base quadrangolare cui si sovrappongono due cilindri di grandezza decrescente coronati forse da un giardino pensile di piante sempreverdi; agli angoli del basamento si innalzano gruppi di statue bronzee raffiguranti uomini e cavalli, mentre sulla sommità svetta una quadriga pure in bronzo guidata dal dio Helios ed affiancata da una scultura ritraente l’imperatore. Di questa originaria struttura romana, oggi pressoché irriconoscibile, sopravvivono resti cospicui, come le strutture di fondazione del basamento, l’intero nucleo in muratura del corpo cilindrico, l’ingresso monumentale realizzato in blocchi di pietra, la rampa elicoidale che conduce al piano superiore e la camera funeraria, la cosiddetta Sala delle Urne, destinata ad accogliere i resti dell’imperatore. Il complesso – i cui lavori di costruzione hanno inizio intorno al 123 d.C. – è ultimato solo nel 139 d.C., un anno dopo la morte dell’imperatore, dal suo successore Antonino Pio; per circa 150 anni il sepolcro assolve diligentemente la sua funzione, accogliendo i resti degli Antonini. L’ultimo imperatore della cui deposizione si abbia notizia certa è Caracalla, ucciso nel 217 d.C., tuttavia il sepolcro ospita probabilmente anche le salme dei suoi successori, almeno fino alla sua inclusione – in qualità di avamposto fortificato – nella cinta muraria voluta dall’imperatore Aureliano nel 271 d.C.. L’edificio di Adriano abbandona definitivamente la funzione di tomba per assumere quella – che si rivelerà cruciale a partire dal 476 d.C. quando il goto Odoacre depone l’imbelle Romolo Augostolo decretando la fine dell’Impero Romano – di fortezza.

Condividi l'articolo su:
Redazione
Redazione

Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa