di Marisa Zattini
Proponiamo alcuni significativi passaggi del testo contenuto in catalogo che Marisa Zattini, curatrice della mostra, ha dedicato all’opera di Francesco Bombardi, offrendone un’analisi puntuale, che ne sottolinea le origini profonde nell’immaginario quotidiano dello scultore, la grande energia che la pervade, le toccanti qualità poetiche che la connotano.
[I] frammenti dell’immaginario quotidiano di Bombardi si prestano benissimo a incarnare nuove metafore estetiche rivelando rinnovati bisogni esistenziali maturati nel suo inconscio come tensione pulsante, voce di presenze con diritto di ascolto, incasellate poi nelle sue stanze. L’impiego preciso e sensuale di materiali come il ferro, il legno, il cemento e il plexiglass sembrano attingere ad antiche conoscenze artigianali per rivelarne una nuova essenza. La “posta in gioco” di questo fare scultura non è solo l’avvicendamento di nuove metafore estetiche, ma qualcosa di più sostanziale che riguarda l’orizzonte emotivo e culturale di noi tutti: avvicinare l’arte e la vita sull’onda di quell’energia soggettiva dell’artista capace di dare vita a grandi proiezioni mentali. Osservando queste ultime realizzazioni di Bombardi comprendiamo cosa ci stia dietro, quanto ci sia voluto per disegnarle, tagliarle, sbalzarle, saldarle, sovrapporle, ripulirle e patinarle… mentre una sola “scintilla” che scaturisce dalle tenebre del sonno e dai bagliori del sogno è bastata per far nascere l’idea. Ci accorgiamo così di come i materiali possano accordarsi per assumere qualità poetiche capaci di risuonare e risplendere, di essere limpide e trasparenti. Bombardi elabora dei concetti e delle strutture che gli appaiono mentalmente, quindi le esegue prendendo coscienza, solo allora, della loro qualità plastica e “sonora”, di ciò che “volevano” essere già da larvate idee. La realtà della scultura è ciò che è concepito, ciò che si è fatto forma, massa e spazio: questo è il suo corpo. Costruita, ha il suo posto nel mondo concreto. È lì che afferma la sua posizione e la sua presenza, la sua necessità di esistere. È lì che ha voce. “Costruire è l’arte di conformare un tutt’uno dotato di senso, a partire da una molteplicità di parti singole. […] Che il nostro lavoro si nasconda davvero dentro le cose che ci riescono felicemente è un pensiero che ci porta ai limiti della riflessione sul valore di un’opera” (P. Zumthor).
Il corpus delle sculture – così come dei disegni o dei dipinti – che formano un “ciclo” compiuto diventa l’unità finale, il nucleo iniziale presente fin dai prodromi immaginativi dell’artista. La scultura quindi come una forma di pensiero unitario e “indipendente”, una forma unica che potrà vivere autonomamente, sola, nel reale. Sempre Zumthor, riferendosi all’architettura, sostiene: “Esiste per me un bel silenzio in relazione a una costruzione, che collego a nozioni come calma, naturalezza, durevolezza, presenza e integrità, ma anche calore e sensualità; essere se stesso, essere un edificio, non rappresentare qualcosa, ma essere qualcosa”. Così accade anche per la scultura che ha vita propria. L’opera si affranca dal suo artefice, non ha più bisogno delle sue parole… “[…] sa sbrigarsela da sola”, come diceva Luciano Minguzzi, perché ogni parola sarebbe superflua. L’arte pregnante di Bombardi accumula valori, veicola e trasmette messaggi. Egli sedimenta antropologicamente il passato, lo pone in analisi comparata con la realtà del tempo presente, applica la sua sapienza tecnico-costruttiva fino a dare corpo a quella iniziale energia creativa.
(…) La vocazione scultorea di Bombardi lo porta a dare “libertà” tangibile al ferro. (…) È come se l’uomo si liberasse da una originaria “maschera-corazza” per aprirsi alla visione di una realtà enigmatica, senza gerarchie fra il vero e il falso, andando oltre ogni procedimento logico. Sono queste le magie dell’arte che ci ipnotizzano in una proiezione immaginaria che amplifica ogni possibile narrazione del reale. È anche attraverso la “pratica dell’incongruo” che Bombardi raggiunge le più alte sfere emotive: procedendo per intuizioni associative egli piega la materia ferro, la sbalza e la modella dando corpo ad una superficie che chiede di essere toccata, accarezzata, vissuta. I suoi testimoni, oggi, chiedono di abitare lo spazio del reale, di entrare nei centri urbani, di stagliarsi sulle cortine murarie, di abitare il nostro tempo. (…)
Lo spettacolo si dipana in un teatro mediante una scenografia che rappresenta il “non luogo” dell’interiorità mentale di Francesco Bombardi. Così queste Stanze attraversate si connotano più che mai quali luoghi di “dimore mentali”, sedi abituali di un’anima aperta e disposta ad “attraversamenti”… per ininterrotti transiti.