Le cavità si stagliano in un terreno roccioso, particolarmente compatto. La quarzite brilla, durissima. Lo scavo deve essere faticoso. E mentre si procede ci si chiede cosa unisca il cibo all’Eternità. Cosa servano tesori, monete, cosce d’agnello, gioielli.
Altre tombe dell’età iberico-romana sono stati portate alla luce, con i loro corredi di offerte rituali e di armi spezzate, accanto a piccoli gioielli, ad Alarcos, una piccola collina e sito archeologico situato nella regione di Campo de Calatrava, in Spagna.
Al di là dal fiume, in campagna
Situata a 685 metri sopra il livello medio del mare, la collina è composta da rocce di quarzite insieme a componenti litiche di origine vulcanica, e il fiume Guadiana scorre accanto ad essa. Presenta un sito archeologico sulla cima, tra i comuni spagnoli di Poblete e Ciudad Real . Il sito archeologico comprende un oppidum iberico dell’età del bronzo/ferro, così come una fase di occupazione medievale, che include il Castello di Alarcos.
La scoperta in un campo di pistacchi
Fosse e urne cinerarie simili a pentoloni – come quella dell’immagine che abbiamo pubblicato in copertina – e depositi votivi che risalgono a un’epoca compresa tra il IV e il I secolo a. C. sono stati trovati su un declivio della collina in quelle che, oggi, è un campo di pistacchi.
“In questa campagna del 2024, che abbiamo appena concluso – affermano gli archeologi, facendo sintesi degli scavi – abbiamo individuato e scavato principalmente tombe della fase ad oggi meglio documentata della NIA III, ovvero quella del periodo ibero-romano, in cui si osserva un’ibridazione culturale che si materializza in casi molto significativi come un’urna iberica con iscrizione latina. Le tombe di questa fase sono solitamente tombe semplici, talvolta delimitate da pietre o addirittura segnalate all’esterno con alcune pietre. Molto frequenti sono anche i casi in cui sono state realizzate due tombe separate da una lastra di calcare: una per l’urna e l’altra per la deposizione del corredo, (foto qui sotto, ndr.) anche se talvolta compaiono solo sedimenti scuri e resti di carbone”.
L’urna, di vario tipo, era generalmente coperta da una piastra rovesciata che fungeva da coperchio”.
Unguenti, profumi e offerte
“L’urna – proseguono gli studiosi – conteneva i resti cremati del defunto, anche se in più occasioni sono stati ritrovati oggetti di corredo come fibule, fusaiole e perfino alcuni vasetti di unguenti. Accanto all’urna era consuetudine deporre anche piccoli bicchieri da offerta dalle pareti sottili, molti dei quali sono ora sottoposti da analisi per conoscerne il contenuto. Come offerte venivano deposti anche resti di animali, soprattutto astragali di ovicapridi, che talvolta appaiono perforati. Molte di queste offerte venivano probabilmente poste nelle ciotole o nei piatti che talvolta venivano inclusi nelle tombe”.
La capa del clan che si sentiva Arianna
Ad oggi al NIA III – la sezione della necropoli sottoposta ad indagine negli ultimi anni – sono documentate più di cento tombe con una cronologia che spazia dal IV secolo al II-I secolo a.C.
“Della fase più antica è stata registrata una sepoltura eccezionale, soprattutto in relazione al rituale . sviluppato. – sostengono gli archeologi – La tomba – denominata Tomba 80 – apparteneva a una donna di età compresa tra i 40-50 anni, i cui resti furono deposti in un cratere a campana attico annesso all’atelier del Pittore del Retorto che veniva utilizzato come urna cineraria. La faccia A del cratere è stata decorata con una scena dionisiaca in cui Arianna è protagonista, aprendo la possibilità che l’identità della defunta fosse identificata attraverso la figura di Arianna”. Una donna importante per la comunità, che aggregò attorno a sé, a livello funerario, altre sepolture.
“La tomba 80 – dicono gli archeologi – era circondata da altre tombe di cronologia successiva che, una volta rimosse durante la campagna del 2024, ci hanno permesso di verificare che la fossa. in cui fu deposto il cratere era all’interno di una struttura, quindi non si trattava di una semplice sepoltura a fossa”.
Al IV secolo aC risale anche la scoperta di un silicernio formato da 49 vasi attici, tra cui tazze a stelo alto, tazze a stelo basso, tazze a scifo, crateri a campana o glauci, tra le altre forme. Questa scoperta documenta l’esistenza di riti di commensalità o banchetti rituali in onore del defunto da parte della comunità che lo accompagnava nel suo viaggio nell’Aldilà.
“In questo caso particolare – affermano gli archeologi – furono utilizzate stoviglie d’importazione, considerate di lusso dalle popolazioni iberiche, anche se non sappiamo se il banchetto avvenisse mentre il corpo del defunto era sulla pira o alla chiusura della tomba quando i resti cremati venivano depositati in esso. In questo contesto archeologico sono stati rinvenuti anche un numero minimo di 8 vasi per unguenti di pasta vitrea, deformati dall’azione del fuoco. Questi unguentari – anche importati – suggeriscono l’esistenza di rituali legati alla combustione dei profumi durante il banchetto funebre o rituale, probabilmente per creare uno spazio purificato e un ambiente multisensoriale che enfatizzasse la sacralità dell’atto rituale. Questi rituali legati alla combustione di profumi o alle libagioni di sostanze aromatiche sono durati nel tempo, come osservato in tombe successive in cui sono stati rinvenuti bruciatori di profumi e vasetti per unguenti in ceramica”.
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