Un cerchio che si staglia, con colore diverso, nell’azzurro del lago di Bolsena. Gli archeologi si immergono nei pressi dell’iride di quell’occhio magico e, non distante da esso, durante la campagna 2024, portano alla luce materiali straordinari, che consentono di capire quel mondo lontano nel tempo, ma vicino nello spazio. Tra i reperti, due poppatoi, un idoletto antropomorfo, un cavallo in miniatura forse legato al culto solare, chiavistelli, fusi con fusaiole, oggetti domestici. E meravigliose ceramiche.
Nell’ambito del programma PNRR-CAPUT MUNDI, Missione 1 Componente C3 – NEXT GENERATION EU IN ROME – Intervento 164, si è conclusa la prima fase di ricerche nel sito archeologico sommerso del Gran Carro, situato nel Lago di Bolsena, in provincia di Viterbo. Lo annuncia la Soprintendenza Archeologia Belle Arti Paesaggio Etruria Meridionale. Questo intervento, avviato dalla Soprintendenza con il coordinamento della dott.ssa Barbara Barbaro, archeologa e responsabile del Servizio di Archeologia Subacquea, rappresenta uno sforzo congiunto di conservazione, restauro, fruizione e valorizzazione di un sito unico per il suo valore storico e archeologico. L’obiettivo primario è quello di mettere in sicurezza e restaurare l’insediamento, per poi renderlo fruibile al pubblico tramite un percorso subacqueo che consenta una migliore accessibilità e comprensione del sito. Questo progetto ambizioso, sostenuto anche dalla componente europea del Next Generation EU, segna un passo importante nell’ampliare l’offerta culturale e turistica dei beni archeologici subacquei italiani.
Il contesto storico e archeologico del Gran Carro
Il sito di Gran Carro è noto da decenni, ma solo recentemente è stato oggetto di indagini sistematiche e approfondite. Scoperto alla fine degli anni ’50, l’insediamento si trova sommerso nel Lago di Bolsena e si estende su un’area che, per la maggior parte, risale alla Prima Età del Ferro, intorno alla fine del X e inizio del IX secolo a.C. Tuttavia, le evidenze archeologiche indicano che il sito venne fondato molto prima, durante l’Età del Bronzo medio, intorno al XV secolo a.C.
Questo insediamento è particolarmente interessante per la sua complessa organizzazione spaziale e funzionale. Si compone infatti di due parti distinte: una zona abitativa, situata nell’area della cosiddetta “palafitta”, e una zona cultuale, caratterizzata dal monumentale tumulo di pietre noto localmente come “Aiola”. Questa struttura, la cui funzione era inizialmente sconosciuta, è stata recentemente interpretata come un luogo a scopo rituale e cultuale, probabilmente connesso a pratiche funerarie o commemorative. Questo aspetto del sito è stato chiarito attraverso le ricerche condotte tra il 2021 e il 2022, gettando nuova luce sulle pratiche rituali dell’antica popolazione che abitava la regione.
Un nuovo approccio metodologico: la scienza al servizio dell’archeologia subacquea
Uno degli aspetti più rilevanti del progetto di ricerca è l’uso di una metodologia scientifica rigorosa nello scavo subacqueo, un approccio necessario per trattare un sito che presenta una stratificazione estremamente complessa. La peculiarità del contesto sommerso richiede tecniche di scavo stratigrafico che tengano conto delle difficoltà aggiuntive date dalla presenza dell’acqua e dalla conservazione dei materiali organici e inorganici. Le ricerche sono attualmente focalizzate su un settore mai indagato prima, un’area abitativa di oltre 150 metri quadrati che offre una visione inedita sull’organizzazione della vita quotidiana e sulle pratiche costruttive degli abitanti di Gran Carro.
Uno degli obiettivi primari delle indagini è quello di mettere in luce un’ampia porzione dell’abitato, situato a una profondità che lo rende fruibile anche a coloro che si immergono con una semplice maschera da snorkeling. Questo aspetto è cruciale per la valorizzazione del sito, poiché la realizzazione di un percorso subacqueo rappresenta una sfida logistica e conservativa che deve essere supportata da una solida base scientifica.
La complessa stratificazione del sito: incendi, crolli e ricostruzioni
Uno degli elementi chiave che rende il sito di Gran Carro così interessante – spiega la Soprintendenza – è la complessità della sua stratificazione. Il sito ha subito numerosi eventi di incendio, seguiti da crolli delle strutture e successive ricostruzioni. Questo ciclo di distruzione e riedificazione si riflette nei numerosi strati di “battuto” o terrapieno artificiale, utilizzati per coprire i resti degli incendi. Questi strati, caratterizzati da un colore giallo-arancione, contengono numerosi frammenti di legno, probabilmente residui delle lavorazioni necessarie per ricostruire le capanne distrutte.
La natura stessa delle strutture fa comprendere quanto fosse delicato l’equilibrio della vita in un contesto costruito principalmente in legno, con focolari spesso collocati all’interno delle abitazioni. Questo spiegherebbe la frequenza degli incendi, che però non hanno scoraggiato la ricostruzione sistematica dell’insediamento. Gli strati di terrapieno sono ricchi di reperti che raccontano la vita quotidiana: strumenti lignei, oggetti in disuso gettati nelle macerie e materiali da costruzione utilizzati per ripristinare le abitazioni.
Le scoperte del 2024: un tesoro di utensili e manufatti
Le ricerche condotte nel 2024 hanno portato alla scoperta di numerosi strumenti e manufatti in legno, tra cui un manico per ascia, alcuni chiavistelli e due fusi decorati con fusaiole ancora infilate.
Questi oggetti sono fondamentali per comprendere le tecniche artigianali dell’epoca, in particolare quelle legate alla lavorazione del legno, che sembra essere stato il materiale principale per la costruzione delle abitazioni e degli strumenti di lavoro.
Una delle scoperte più straordinarie è stata il rinvenimento di un canestro in vimini, ancora intatto e contenente un materiale biancastro, probabilmente un residuo di un prodotto caseario. Questo tipo di rinvenimento è eccezionale per la sua rarità e per le possibilità analitiche che offre: studi specifici potranno infatti chiarire il tipo di prodotto alimentare contenuto nel canestro, aprendo una finestra inedita sulle abitudini alimentari della popolazione.
La ceramica del Gran Carro: forme e decorazioni
Uno degli aspetti più significativi delle scoperte del 2024 riguarda il ritrovamento di numerosi reperti ceramici, molti dei quali danneggiati dagli incendi ma ancora in parte integri. La ceramica rinvenuta è di alta qualità, con decorazioni raffinate che testimoniano una notevole abilità tecnica. Tra i ritrovamenti vi sono olle destinate alla conservazione di derrate alimentari, anfore decorate con anse a colonnette, vasi biconici e ciotole finemente decorate.
Particolare attenzione merita il rinvenimento di due poppatoi e diversi vasetti miniaturistici, tra cui uno decorato con incisioni simili a ideogrammi. Questi oggetti suggeriscono un contesto culturale raffinato, in cui l’uso della ceramica non era solo funzionale, ma anche simbolico e decorativo. L’attenzione ai dettagli decorativi, come le anse a colonnette e le incisioni – nella foto, qui sopra -, riflette un forte senso estetico e una cultura materiale altamente sviluppata.
La figurina antropomorfa: un oggetto votivo o un Lare ante litteram?
Un ritrovamento particolarmente significativo è costituito da una figurina fittile antropomorfa, appena abbozzata, che conserva tracce delle impronte digitali del suo creatore e una sottile impronta di tessuto sotto il petto. Questa figurina, che mostra anche segni delle connotazioni femminili, è stata rinvenuta in un contesto abitativo, suggerendo un possibile uso votivo legato a rituali domestici. La presenza di oggetti votivi in ambito domestico è attestata anche in epoche successive e in altre culture, e potrebbe indicare una continuità nelle pratiche religiose legate alla protezione della casa e della famiglia.
Il rinvenimento di questa figurina in un contesto abitativo è eccezionale: esemplari simili sono stati trovati principalmente in corredi funerari nel Lazio meridionale, ma si tratta del primo ritrovamento in un sito abitativo dell’Etruria meridionale. Questo suggerisce che le pratiche votive domestiche fossero già diffuse in età protostorica, anticipando le forme di devozione domestica che si svilupperanno nelle epoche successive, come quella dei Lari.
Un cavallino miniaturistico e il simbolismo del carro solare
Oltre alla figurina antropomorfa, è stato rinvenuto anche un oggetto zoomorfo in terracotta, raffigurante un cavallino miniaturistico. Questo reperto è frammentato sulle zampe, ma presenta segni di fori passanti che probabilmente servivano a sostenere delle ruote, suggerendo che si trattasse di un carretto. Questo tipo di oggetto, interpretato come parte di un carro solare, è emblematico della simbologia religiosa dell’epoca, legata ala Carro solare.
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