Gabriele Picco – La Fiat 500 con nuvola, la formazione, le opere e l’intervista

Per Gabriele Picco, giovane artista italiano tra i più apprezzati in campo internazionale, il piacere della creazione è indissolubilmente legatoalla libertà di cambiare, passando dalla pittura alla scultura, dal disegno al videomaking,dal cinema alla letteratura. E senza sensi di colpa



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Gabriele Picco, The Ocean Keepers, 2007
Gabriele Picco, The Ocean Keepers, 2007

 

intervista di Giovanna Galli

 Gabriele Picco è un artista che con i suoi “disegnacci” dissacranti e grotteschi, con i suoi dipinti evocativi e surreali, con le sue sculture fatte di assemblaggi stranianti di oggetti quotidiani e materiali insoliti, racconta un mondo intimo dove le più ovvie coordinate di senso sono ribaltate, dove i significati si sovrappongono e si invertono, dove l’ironia si mescola alla fantasia e persiste un sottile disincanto che non giunge mai a prevaricare la poesia. Nato nel 1974, si è distinto per la versatilità delle scelte espressive, che spaziano dal disegno alla pittura, dalla scultura all’installazione al videomaking, fino alla scrittura.

Ripercorriamo il periodo della tua formazione. Quando è nato il tuo amore per l’arte?

Sin da bambino volevo fare l’artista. Mi piaceva disegnare (e anche scrivere). Guardavo con grande interesse ad un mio zio architetto che viveva a Roma e che dipingeva; avevo osservato che firmava i suoi quadri con le iniziali e così anch’io cominciai molto presto a siglare i miei disegni. Ne conservo alcuni che recano la scritta G. P. ’83: avevo nove anni. Quando andavo a trovare quello zio, spesso egli mi accompagnava a visitare delle mostre, e ciò mi piaceva moltissimo.

Gabriele Picco, Nuvola/ Cloud, 2005, scultura permanente al Parco delle Madonie di Palermo
Gabriele Picco, Nuvola/ Cloud, 2005, scultura permanente al Parco delle Madonie di Palermo

Perché, dopo il liceo, non hai proseguito i tuoi studi all’Accademia?

Ci avevo pensato, ma prima di prendere una decisione provai a frequentare qualche lezione a Brera. L’ambiente non mi entusiasmò, c’era troppa confusione, e poi mi resi conto in fretta che si parlava molto di arte contemporanea senza approfondire l’arte del passato, mentre io nutrivo un grande interesse verso la pittura del Seicento e anche per la letteratura: per questo scelsi di iscrivermi a Lettere. Non ho comunque mai pensato che non fare l’Accademia avrebbe significato non fare l’artista, benché di certo frequentare quell’ambiente avrebbe potuto rendermi la strada più facile, almeno all’inizio.

E a livello tecnico non ti è mancata una preparazione un po’ più specifica?

La tecnica nell’arte contemporanea serve poco, perché la si può demandare ad altri.

Quali sono gli artisti del presente e del passato che apprezzi di più?

In passato più di ora avevo degli artisti preferiti. Al liceo feci una tesi su Alberto Burri, anche se, a voler guardare, con il mio lavoro non c’entra granché… forse qualche similitudine la si può individuare in certe mie sculture, realizzate con materiali recuperati. A vent’anni, poi, mi esaltava la figura di Damien Hirst… Devo dire che oggi ci sono artisti miei coetanei che mi piacciono parecchio e, quando posso, li colleziono pure. Ma ti confesso che è di fronte ad alcuni pittori del Seicento che mi emoziono ancora molto. Uno dei miei prediletti è quel pazzo di Cecco Bravo, che non è famoso come Caravaggio, per esempio, ma è un fenomeno, uno sperimentatore coraggioso.

Ci racconti come è iniziata la tua carriera?

A vent’anni mi recavo nelle gallerie di Milano a presentare i miei lavori; anzi, a dire la verità, il più delle volte mandavo avanti mia sorella o la mia fidanzata, perché ero intimidito. Mi inventavo vari espedienti, come mostre inesistenti di cui stampavo gli inviti. Una volta, approfittando di un amico che stava partendo per Washington per una vacanza, preparai degli inviti per una mia fantomatica personale allestita in quella città, indirizzati a tutti i più importanti critici, galleristi e addetti ai lavori. Un’altra volta mi sono inventato la “inaugurazione istantanea”: inviai ad un sacco di gente una busta contenente la riproduzione dei miei disegni, in pratica la mostra consisteva in quel foglio che uno si trovava tra le mani.

lavori 2005 012


E queste “performance” sono servite?

Penso di sì. C’era gente che si complimentava con me per i miei successi all’estero…

Quando hai esposto per la prima volta i tuoi lavori?

Nel 1995 esposi ad una collettiva organizzata allo spazio Viafarini di Milano, dove presentai alcune sculture, che piacquero molto. Una in particolare, Tripode, un Cristo sorretto da tre cannucce di plastica: ricordo, all’inaugurazione entrò Stefano Arienti, un collega per cui nutro grande stima, il quale si soffermò parecchio tempo su di essa. Io ero felicissimo. Tripode è stata la mia prima opera venduta, tra l’altro al critico Tommaso Trini. Dopo questa mostra passai un lungo periodo senza riscontri, e capii che non era così facile fare l’artista.

Non ti sei comunque dato per vinto. Quando è arrivata la svolta?

Nel 1998. Mi trovavo a Venezia in occasione del Festival del Cinema, quando ricevetti una telefonata da Patrizia Brusarosco dello spazio Viafarini, la quale mi chiedeva se avessi materiale pronto per una mostra. Mentendo spudoratamente risposi di sì. Presi subito la via di casa e per un mese restai chiuso a lavorare, da mattina a sera, riuscendo a realizzare circa duecento dipinti. Erano opere su carta che poi trasferii su alluminio e che furono proposte in quella che è stata la mia prima personale. La mostra fu sold out ed ebbe anche un riscontro di critica.

E da allora ti sei guadagnato molti premi e riconoscimenti. Successi che pochi alla tua età hanno potuto collezionare. Quali ricordi con maggiore soddisfazione?

Nel 2000 vinsi il Premio Michetti. Dopo averlo ritirato, rinunciai alla cena ufficiale per scappare a Rotterdam, dove il giorno dopo si sarebbe svolta la finale degli europei di calcio tra Italia e Francia. Un turbinio di emozioni indimenticabili. Perdemmo la finale, ma almeno avevo il premio, tra l’altro ottenuto grazie a un dipinto che raffigurava i giocatori della Nazionale che si univano carnalmente…

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Disegni, sculture, dipinti, cortometraggi, romanzi. La tua produzione è molto composita, come gestisci questi interessi?

Il disegno è ciò che mi risulta più naturale: dal disegno può partire un’idea perfino per un romanzo… Vado un po’ a periodi. Ad esempio, l’anno scorso ho lavorato molto con la scultura, mentre ultimamente ho ricominciato a dipingere. Quando sento che si spegne la fiammella, mi dedico ad altro e ritrovo nuovi stimoli. E’ come cambiare amante ogni volta, il bello dell’arte è la libertà di essere infedeli senza sensi di colpa.

Dal punto di vista tematico, ci sono dei motivi apparentemente ricorrenti nei tuoi lavori. Ciò è frutto di una scelta consapevole?

Direi di no. Per me ogni opera nasce singola. Non ho mai elaborato dei cicli, perlomeno razionalmente, anche se mi è stato fatto notare questo ricorrere di alcuni motivi, come le lacrime, o il crocifisso.

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa