Il volto spaventosamente peloso dell’educato gentiluomo del Cinquecento che sposò Bella. La sua storia, la documentazione nella pittura. Il matrimonio con la damigella. Che malattia aveva Petrus? E i figli? I quadri di Carracci e di Lavinia Fontana

Anonimo, Ritratto di Petrus Gonsalvus, 190 x 80 cm., ca 1580

L’arte tra Manierismo e Barocco, nella sua tensione a perseguire effetti fantasiosi e bizzarri, indugiava spesso nella ricerca e nella rappresentazione di soggetti “strani”, esotici, capaci di suscitare quello stupore e quella meraviglia, tanto ricercati, non solo dal punto di vista stilistico.
Ed ecco così comparire nelle quadrerie delle più importanti corti europee, dove in quei tempi si acuiva l’interesse per scienze particolari quali la teratologia, ovvero lo studio delle mostruosità animali e vegetali, una corposa galleria di dipinti in cui figurano ritratti curiosi personaggi (nani, uomini bicefali, oppure sorprendentemente obesi, o con raccapriccianti deformità, e via dicendo). Petrus Gonsalvus è il nome del capostipite di una famiglia che durante gli ultimi anni del XVI secolo acquistò notevole fama in Europa proprio per l’insolita e rara patologia da cui erano affetti i suoi componenti: l’Hypertrichosis universalis congenita, che ricopre la pelle di una diffusa peluria concentrata soprattutto sul volto.

Petrus era nato nelle isole Canarie e fu condotto alla corte francese di Enrico II, dove fu educato alle lettere e alle buone maniere ed esibito come vivente meraviglia esotica. L’uomo peloso venne fatto sposare a una donna bellissima e mise al mondo alcuni figli che ereditarono l’anomalia del padre, mentre altri nacquero senza alcuna anomalia.

Don Petrus Gonsalvus: il “Gentiluomo Selvaggio” di Tenerife

Petrus Gonsalvus, noto in Spagna come Pedro González (Tenerife, 1537 – Capodimonte, 20 gennaio 1618), fu così un nobile spagnolo alla corte di Enrico II di Francia. Il naturalista italiano Ulisse Aldrovandi lo descrisse come “l’uomo dei boschi”, e la sua notorietà si deve in gran parte alla rara condizione genetica da cui era affetto: l’ipertricosi, una patologia che comporta una crescita anomala di peli su tutto il corpo. Per questa caratteristica, venne anche soprannominato “Salvaje Gentilhombre de Tenerife” e “Hombre Lobo Canario”.

Dalla corte francese all’Italia

Nato nel 1537 a Tenerife, in un periodo successivo alla conquista dell’isola da parte di Alonso Fernández de Lugo, Petrus venne condotto in Francia all’età di dieci anni. Alla corte di Enrico II visse per ben 44 anni, ricevendo un’educazione umanistica e imparando il latino. In virtù della sua presunta discendenza da un re Guanci – popolazione di proto-berberi, provenienti dall’Africa settentrionale – gli fu concesso l’uso del titolo onorifico di “don”, segno di un riconoscimento della sua nobiltà.

Nel 1573 sposò Catherine, una giovane di straordinaria bellezza, che secondo alcune fonti sarebbe stata damigella d’onore della regina Caterina de’ Medici. La coppia ebbe sei figli, quattro dei quali ereditarono la condizione paterna. Tra questi, Antonietta Gonsalvus divenne una delle figure più emblematiche della famiglia.

Petrus e Catherine nell’illustrazione del libro di Joris Hoefnagel, Animalia Rationalia et Insecta (Ignis)- Plate I, acquerello e gouache, con bordo ovale in oro, su pergamena, 14.3 x 18.4 cm, National Gallery of Art Washington

Tra il 1580 e il 1590, Petrus e la sua famiglia si trasferirono in Italia, dove furono accolti alla corte di Margherita di Parma. Successivamente, si stabilirono a Capodimonte, presso la Rocca Farnese, sulle rive del lago di Bolsena, in provincia di Viterbo. Qui Petrus Gonsalvus visse gli ultimi anni della sua vita, fino alla morte nel 1618.

Un caso straordinario nella storia europea

Petrus Gonsalvus divenne una delle figure più curiose e conosciute dell’Europa del suo tempo. Documenti relativi alla sua esistenza si trovano ancora oggi negli archivi vaticani, così come in quelli di Roma e Napoli. La sua famiglia è considerata uno dei primi casi documentati di ipertricosi in Europa.

Un importante testimone visivo della sua esistenza è rappresentato dai ritratti conservati nel Castello di Ambras, in Austria. Qui, una serie di quattro dipinti di autore ignoto raffigurano Petrus Gonsalvus con alcuni dei suoi figli. Queste opere hanno contribuito a dare alla condizione da cui era affetto il nome di “sindrome di Ambras”. La galleria che ospita tali ritratti faceva parte della collezione di Ferdinando II d’Austria, appassionato di rarità e curiosità naturali. Nello stesso spazio si trova anche il celebre ritratto di Vlad Tepes, il sovrano che ha ispirato il mito di Dracula.

Un’eco nella letteratura

Secondo alcune interpretazioni, il matrimonio tra Petrus Gonsalvus e Catherine potrebbe aver ispirato la celebre fiaba “La Bella e la Bestia”. L’idea di un uomo dall’aspetto “mostruoso”, ma colgto, delicato, raffinato ed elegante, e di una donna affascinante che lo sposa, scoprendone l’animo gentile, riecheggia sorprendentemente nella narrazione popolare che ha attraversato i secoli fino ai giorni nostri.

L’affascinante storia di Petrus Gonsalvus, dunque, non è solo un episodio di curiosità storica e scientifica, ma anche una traccia lasciata nella cultura e nell’immaginario collettivo europeo.

I passaggi della famiglia nei quadri

Il grande interesse suscitato dai Gonsalvus – oltre ad essere motivo, come dicevamo, di ispirazione della favola de “La bella e la bestia” – è testimoniato dal successo dei ritratti realizzati nel 1582 da un pittore fiammingo (oggi conservati al Kunsthistorisches Museum di Vienna), che diventarono in brevissimo tempo una delle più celebrate attrazioni della collezione dell’arciduca Ferdinando II Gonzaga e furono copiati in varie miniature e dipinti. Nel 1583 la bizzarra famiglia si trasferì in Italia, e più precisamente a Parma, al seguito di Margherita d’Austria, e da questo momento anche nel nostro Paese se ne registrano numerose testimonianze documentarie e iconografiche. Arrigo Gonsalvus (figlio di Petrus) appare per esempio nel noto dipinto di Agostino Carracci, realizzato alla corte del cardinale Edoardo Farnese, dal titolo “Arrigo Peloso, Pietro Matto e Amon Nano”, conservato al Museo di Capodimonte di Napoli. (nella foto, qui sotto)

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Mentre il volume “Monstrorum historia”(1624) dello studioso Ulisse Aldrovandi, fondatore della prima cattedra di scienze naturali a Bologna e considerato il precursore dell’osservazione naturalistica, contiene ben quattro xilografie che rappresentano altrettanti membri della famiglia Gonsalvus: Pietro e tre figli, di 8, 12 e 20 anni. A questo proposito, occorre ricordare che l’Aldrovandi teorizzò l’assoluta importanza della figura come strumento di indagine e di approfondimento della realtà naturale, tanto da realizzare un corpus di circa cinquemila immagini a tempera, spesso utilizzate quali prototipi per le illustrazioni xilografiche delle sue opere a stampa, commissionate ad un gruppo di artisti che lavoravano sotto la sua direzione. E’ probabile che uno di questi artisti fosse Lavinia Fontana (Bologna, 1552 – Roma, 1614).

E’ lei infatti l’autrice di un dipinto, databile tra il 1594 ed il 1595, che raffigura la figlia di Pietro, Antonietta Gonsalvus. (nell’immagine, qui sotto). Lavinia Fontana, che iniziò la sua carriera sotto la guida del padre Prospero, uno dei protagonisti della cultura tardomanierista a Bologna, fu elegante interprete dei modelli di Raffaello, Perugino e Zuccari, e trovò proprio nel ritratto il suo miglior genere espressivo.

Essendo stato ritrovato nel taccuino della pittrice un delicato disegno a matita rossa, riproducente il volto di una ragazzina pelosa, e la cui datazione è stata indicata fra la fine degli anni Ottanta ed il 1594-95, si è dedotto che la Fontana avesse avuto modo di ritrarre dal vivo Antonietta durante un viaggio nella città felsinea al seguito della marchesa di Soragna, in occasione del quale la bambina fu visitata, come è documentato, dall’Aldrovandi. L’autografia del dipinto, che il museo francese acquistò nel 1997 da un antiquario veneziano, non è mai stata posta in discussione, l’identità dell’effigiata neppure.

Tra il quadro e il disegno vi sono alcune differenze: la prova grafica coglie soltanto il volto della ragazzina, raffigurata in posa informale, con i capelli raccolti in una coda; la tela, invece, ne propone la figura a mezzo busto, mentre indossa un abito elegante, con un alto colletto di pizzo e bottoni d’oro e con un’acconciatura decorata con fiori e fiocchetti. E’ possibile che Lavinia avesse avuto modo di incontrare Antonietta in diverse occasioni, o che il dipinto sia una rielaborazione del disegno, eseguita su richiesta del committente, prendendo spunto da altre immagini della fanciulla allora in circolazione. I Gonzaga, in linea con tutti i regnanti dell’epoca, collezionavano “mirabilia” naturali; non è dunque strano che nelle loro raccolte d’arte comparisse anche un ritratto di uno dei Gonsalus. E’ plausibile che Vincenzo Gonzaga abbia a suo tempo richiesto il quadro o direttamente all’autrice, o all’Aldrovandi, visto che a sua volta questi, assiduo frequentatore della corte mantovana e dell’ambiente culturale-scientifico che la circondava, aveva richiesto ai Gonzaga il permesso di trarre immagini dei loro preziosi reperti naturalistici.

Anche Ribeira detto lo Spagnoletto fu chiamato a documentare, nel 1631, con quello sguardo a metà tra camera delle meraviglie e la testimonianza scientifica di un’anomalia, un fenomeno analogo. Il quadro (qui sopra) raffigura una donna di Accumoli, Maddalena Ventura, alla quale cominciò a crescere copiosamente la barba durante la gravidanza, all’età di trentasette anni: nel 1631 la donna venne chiamata a corte dal viceré di Napoli, il duca di Alcalá, insieme al marito e al figlioletto e venne fatta ritrarre dallo Spagnoletto, così come la vediamo in questa pagina.

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa

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