Anelli, collane, diademi di 3mila anni fa. Tutto nascosto in un’urna di ceramica, in un campo, su una collina, non lontano dai filari di vite. Il vaso, nel terreno rimosso, sembra un grosso fungo scalzato, a livello del peduncolo, e giacente su un lato.
Gli archeologi lo prelevano con delicatezza per portarlo in laboratorio ed aprirlo con la massima cautela, senza sconvolgere i diversi livelli del contenuto. Il peso notevole indica la presenza consistente di materiali metallici. Il vaso è composto da una base color terracotta e da una copertura – una sorta di ciotola o vaso potorio – di argilla grigia. La somiglianza con un fungo è sorprendente. Ricorda un Boletus Satanas, un fungo molto velenoso – che somiglia, per forma, ai porcini commestibili – e che ha gli stessi colori dell’urna. Forse è una semplice coincidenza o gli antichi volevano richiamarsi proprio ai “frutti” misteriosi del bosco? Nel vaso-boletus c’è un diadema d’oro o un collare.
La notizia della scoperta, avvenuta quest’estate durante gli scavi archeologici, era stata tenuta segreta ed è stata data nelle ore scorse dal Museo nazionale ungherese. Da metà ottobre, il tesoro dell’Età del Bronzo – trovato dagli archeologi nelle settimane scorse sul monte Somló, in Ungheria – sarà esposto in anteprima al museo nazionale MNMKK. “Dopo 3000 anni di attesa sotto terra, – affermano gli studiosi del Museo ungherese – il tesoro della tarda Età del Bronzo è stato portato alla luce dai ricercatori coordinati da János Tarbay”.
Il ritrovamento in un luogo magico
La scoperta è avvenuta su una sorta di terrazzamento, sul monte Somló, una dolce e imponente collina di formazione vulcanica – modellata nei millenni dall’uomo – che si alza dalla pianura a Veszprém, nel nord-ovest dell’Ungheria. Il rilievo è coronato dalle rovine di un castello dell’XI secolo, che domina la pianura stessa. Oggi, sui terrazzamenti, cresce un’uva di straordinaria qualità, con la quale si produce un vino di grande rinomanza.
Il colle, nella prima metà del I millennio a.C. era abitato da comunità guidate da guerrieri che nascondevano consistenti tesori nell’insediamento montano durante le loro misteriose cerimonie sacrificali. Il sito, attraverso scavi svolti in precedenza, racconta una ricca varietà di storie sulle cacce, le feste e i riti delle persone che un tempo vivevano lì. Sotto gli enormi tumuli alla base della montagna, che richiesero il lavoro di intere comunità, gli archeologi scoprirono ricche sepolture. Guerra, metallurgia e agricoltura. Fu così che queste comunità accumularono consistenti ricchezze.
La collina di Somló acquisì fama europea nel XIX secolo per le tombe della tarda Età del Bronzo e della prima Età del Ferro che vi furono trovate. Tuttavia, negli ultimi cento anni, l’archeologia ungherese aveva dimenticato la collina. Gli scavi sono ripresi un paio di anni fa, con risultati notevoli, presentati da una precedente mostra che si è tenuta tra la fine del 2023 e gli inizi del 2024.
Quel “fungo” dei Campi di urne
La cultura in cui si inserisce il nuovo tesoro portato alla luce questa estate è quella dei Campi di urne che si colloca nella tarda Età del Bronzo (XIII – metà dell’VIII secolo a.C.) e che si sviluppò nell’Europa centrale. Essa fu elaborata successivamente alla cultura dei tumuli (media Età del Bronzo) e precedette la cultura di Hallstatt (età del ferro).
La denominazione di questa cultura fu ideata dallo studioso di preistoria Ernst Wagner, che individuò caratteristiche culturali omogenee presenti in diverse regioni continentali. L’elemento più evidente di questi gruppi, dai quali la cultura prese archeologicamente il nome, fu caratterizzata dall’introduzione del rito funerario della cremazione e delle urne, che sostituirono l’inumazione del periodo precedente.
Una rivoluzione nell’ambito degli orizzonti quotidiani dell’umanità di quell’epoca, che probabilmente era caratterizzata da un legame sempre più profondo tra sé, le tecnologie per la produzione dei metalli e la religione, forse con un’accentuazione delle differenziazioni sociali e con la creazione di due classi egemoni: quella dei guerrieri, fruitori del metallo, e quella dei produttori dei metalli stessi. Fu la fucina a creare una sorta di culto del fuoco – e del Sole – e dei metalli. Forse la dispersione dei corpi nelle fiamme, durante i riti funebri, era legata a questo potere divino della fiamma che consentiva la produzione del bronzo e che portava, al contempo, le anime nell’Aldilà. Elementi circolari concentrici, probabilmente legati al culto solare e al fuoco sono presenti sul grosso gioiello d’oro trovato ora sulla collina. Non possiamo dimenticare, peraltro, che l’oro incorruttibile e dotato dello stesso colore del sole, in antichità, assunse una preziosa sacralità.
L’oro abbracciato dal bronzo
“Le collane e i gioielli d’oro trovati nell’urna sono stati datati a un periodo compreso tra il 1000 e l’850 a. C. Il contenitore fu prodotto nello stile della cultura del Campo delle urne.- affermano i responsabili del museo ungherese – Gli ori stati trovati nell’abbraccio di gioielli in bronzo: anelli, nappine, elementi a forma di perle, spirali. Potrebbero essere stati indossati da una donna appartenente all’élite di quel tempo. In termini di stile e decorazione, i gioielli presentano strette similitudini con i cerchi di diademi in bronzo ricoperti di lamina d’oro e dischi decorativi depositati nel territorio della cultura del Campo delle urne”.
Gli archeologi, secondo le prime informazioni, non avrebbero trovato ceneri, nelle vicinanze. Il contenuto dell’urna non costituirebbe pertanto un deposito funerario, ma potrebbe aver rappresento la tesaurizzazione di un patrimonio familiare o una deposizione sacra per le divinità.
Un possibile dono alla divinità
“Tesori simili – proseguono i ricercatori del museo – non sono da collegare automaticamente a deposizioni funerarie, ma possono essere trovati sia nei dintorni di un insediamento umano o in luoghi naturali speciali – evidentemente collegati al mondo spirituale e cultuale -“.
Se così fosse potremmo trovarci al cospetto di un insieme di doni offertoriali dei fedeli accumulati in un santuario arcaico e nascosti dai sacerdoti, che sarebbero poi morti senza poter svelare ai loro successori il luogo in cui era avvenuto l’occultamento. Depositi di oggetti sepolti – in molti casi in paludi o presso corsi d’acqua e, comunque, in luoghi difficilmente accessibili – erano molto diffusi nella Cultura dei Campi d’urne e rappresentavano probabilmente offerte agli dei.