Una copia fiacca o un prototipo italiano nella realizzazione del celeberrimo dipinto conservato al Louvre? Oppure ancora: un quadro della sua scuola, all’interno del quale intervenne lo stesso maestro? Gli interrogativi sulla Gioconda Torlonia sono numerosi.
Secondo quanto si dice, il quadro presenterebbe alcuni ripensamenti rilevati a livello radiografico, la cui matrice rimane negli strati inferiori dell’opera e che appaiono, nelle stesse modalità, anche nel dipinto del Louvre. Quindi un substrato comune. In superficie, invece, gli esiti sono nettamente diversi.
“Si tratta di una copia del quadro del Louvre realizzata dalla bottega di Leonardo, forse addirittura con la sua stessa collaborazione”, ha detto in queste ore il questore della Camera Francesco D’Uva che ha trasferito il quadro dal suo ufficio per esporlo nella sala Aldo Moro di Montecitorio. Il dipinto è un olio su tavola, trasportato su tela, che misura 70 x 50,5 cm, catalogato dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini, (inv. 864).
Antonio e Maria Forcellino, nel catalogo della mostra romana del 2019 su “Leonardo a Roma, influenza ed eredità”, hanno speso ben nove pagine a raccontare storia e qualità della “Gioconda Torlonia”. Di seguito, ecco la scheda dell’opera redatta per Montecitorio dagli storici dell’arte Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini.
“L’opera è pervenuta nel 1892 alla Galleria Nazionale dalla collezione Torlonia, nei cui inventari è documentata a partire dal 1814, come “copia della Gioconda di Leonardo da Vinci”. Giuseppe Antonio Guattani, estensore dell’inventario Torlonia del 1817-1821, aveva attribuito il dipinto a Bernardino Luini, riferimento poi omesso nei successi inventari della collezione romana. L’opera è citata, ancora nel XIX secolo, in un commento all’edizione del 1851 delle Vite del Vasari, insieme con altre copie derivate dal celeberrimo capolavoro leonardesco: “in Firenze in casa Mozzi; nel Museo di Madrid; nella Villa Sommariva sul lago di Como; presso il Torlonia a Roma; a Londra presso Abramo Hume, e presso Woodburn; e nell’Ermitage di Pietroburgo […] e finalmente un’altra copia nella Pinacoteca di Monaco”.
“Purtroppo restano sostanzialmente ancora sconosciute le precedenti vicende materiali del quadro, che fu trasferito su tela, forse in Francia nella seconda metà del XVIII secolo, come lascerebbe supporre la grafia di un foglietto di carta incollato al telaio, scritto appunto in francese, che menziona esplicitamente l’operazione di trasporto della pittura. Altrettanto incerta è pure l’identità del copista, e persino una sua generica collocazione geografica e cronologica, né, in questo senso, risulta di grande aiuto la diretta analisi comparata con l’originale leonardesco, trattandosi appunto di una copia che aspira a replicare diligentemente il suo modello”.
“Dopo lo scrupoloso intervento di pulitura e restauro condotto nel 2019, la tela delle Gallerie Nazionali consente comunque di apprezzare non solo la fedele aderenza del disegno al prototipo – più pronunciata rispetto ad altre copie oggi note della Gioconda – ma anche una serie di dettagli che possono forse contribuire a far luce sulla lunga e travagliata genesi della celeberrima tavola leonardesca, ancora non del tutto chiara, nonché sulla storia della sua precoce e fortunata ricezione. In particolare, la redazione del paesaggio sullo sfondo, il taglio dell’inquadratura e certi dettagli nella resa dell’abbigliamento, come il merletto che sporge dalla scollatura dell’abito, possono far pensare che l’ignoto pittore abbia avuto l’opportunità di studiare e replicare l’originale in condizioni diverse e verosimilmente più leggibili rispetto a quelle in cui ci appare oggi”.