di Enrico Giustacchini
UN QUADRO IN 30 RIGHE – La guerra, che felicità. Bum, bum, tuonano i mortai. Fii, fii, sibilano le granate. Ta-ta-ta-ta, crepita la mitraglia. E i cavalli? I cavalli si adeguano, nel paradiso dei combattenti futuristi.
Qui ogni cosa è movimento, forza, dilatazione e compenetrazione. Qui, sul campo di battaglia come sulle polverose piste dove sfrecciano gli automobili dai motori arrembanti, come nei cieli bassi solcati da velivoli con le ali di carta. La vita è un gioco, allegro e rumoroso. Così la guerra: un gioco da giocare in corse temerarie e beffarde.
E i cavalli? I cavalli si adeguano, in questo conflitto mondiale dove la macchina sembrerebbe farla da padrona. Fra carri corazzati, obici incommensurabili e inquietanti maschere antigas, c’è posto anche per loro, per i loro garretti saldi e le froge nervose. Basta dimenticarsi d’esser bestie per diventare – appunto – macchine.Eccoli dunque galoppare alla carica, reggendo in arcione gli impavidi lancieri. Tutto intorno – l’aria, la terra – esplode con essi, nel medesimo, irrefrenabile tripudio dinamico.
La guerra, che felicità, esulta Boccioni. Ha scelto, con i suoi amici futuristi, di partire per il fronte. Ma non smette di disegnare e di dipingere. Continua ad amare i cavalli, macchine frementi, dai muscoli d’acciaio. Capaci di percuotere lo spazio, mentre lo spazio si frantuma in miliardi di schegge raminghe.Destino vuole che sia proprio un cavallo a fermargli la vita. Durante un’esercitazione equestre, Boccioni cade di sella. E’ ferito gravemente; morirà quasi subito, il 17 agosto 1916.
La guerra continua senza di lui, per altri due anni. Che gioco meraviglioso, si ostinano a ripetere gli amici futuristi, mentre in tutta Europa i soldati muoiono come mosche, sventrati dalle baionette o allappati dal fango delle trincee. La guerra, che felicità.