Elemento sacrale, medicinale, corredo funebre. Un viaggio del rapporto tra l’Antico Egitto e il vino fu condotto, nella Chiesa di San Domenico ad Alba (Cn) – come elemento di approfondimento di studio e di esposizione – attraverso immagini parietali e reperti archeologici – di un tema che risultava praticamente inedito
L’approfondimento e il percorso culturale furono condotti da Sabina Malgora – archeologa ed egittologa -.
Con 50 reperti archeologici era possibile fare il punto dell’evoluzione e delle persistenze dell’idea del vino nella cultura egiziana, in un periodo compreso tra l’Antico Regno e il periodo Romano. Il valore del vino, presso quella civiltà, era immenso sotto il profilo cultuale e materiale.
La bevanda era comunque diffusa e costituiva una preziosa integrazione alimentare, anche se esistevano usi ben più alti del vino stesso nel processo di mummificazione, grazie all’alcol e ai componenti tannici, che riducono i fenomeni putrefattivi. Questo sua essere prodigioso sotto tanti profili contribuì alla correlazione con il misticismo e le divinità. E, naturalmente, con il mondo dell’arte. Splendide, sotto questo profilo, sono le scene della vendemmia. O le pratiche offertoriali nelle quali l’uva, costituisce, com’è visibile nel dipinto parietale – qui sopra – un elemento centrale.
Significative sono le fotografie scattate in Egitto alcune delle quali ritraggono le rappresentazioni parietali della tomba di Nakht, TT52 della necropoli tebana di Sheikh Abd el-Qurna e raffigurano in modo dettagliato momenti di vita legati alla lavorazione della terra; in particolare la raccolta dell’uva e la spremitura, la conservazione del vino nelle anfore e la preparazione di un banchetto con grappoli offerti al defunto. Il vino, elemento simbolico in ambito religioso, era annoverato fra i doni dei corredi funebri, come viene illustrato nella Stele di Senbi (Medio Regno, XII dinastia).
Tra gli oggetti legati al vino come simbolo di rinascita, la statuetta in bronzo del dio Osiride che rinasce dopo la morte e l’imponente scultura di tre metri in quarzo-diorite raffigurante la dea Sekhmet con la testa di leonessa, il cui nome significa “la potente”.
La bevanda era comunque diffusa e costituiva una preziosa integrazione alimentare, anche se esistevano usi ben più alti del vino stesso nel processo di mummificazione, grazie all’alcol e ai componenti tannici, che riducono i fenomeni putrefattivi. Questo sua essere prodigioso sotto tanti profili contribuì alla correlazione con il misticismo e le divinità. E, naturalmente, con il mondo dell’arte. Splendide, sotto questo profilo, sono le scene della vendemmia. O le pratiche offertoriali nelle quali l’uva, costituisce, com’è visibile nel dipinto parietale – qui sopra – un elemento centrale.
Curiosi sono, inoltre, gli elementi per collare usekh in fayence, che, portati da uomini e donne, erano tra gli ornamenti personali più diffusi in Egitto; la loro forma a “grappolo d’uva” si ritrova anche in lunghe file di inserti parietali di palazzi e templi, come motivo decorativo a simboleggiare la rigenerazione. L’iconografia e l’archeologia ci consentono di capire com’erano fatte le anfore -rivestite internamente da materiale impermeabilizzante per conservare il vino – e la diversificazione dei contenitori, in forme e grandezze, a seconda delle fasi di fermentazione e di invecchiamento.
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