Tiziano e il ritratto della sua giovane amante – Il legame svelato nel quadro da una viola

Il fiore risulta molto evidente a un’osservazione ravvicinata della superficie pittorica. Esso è una tenera viola primaverile, uno di quei nastri prodigiosamente esili e freschi che sbucano con la silenziosa prepotenza dei timidi tra i cespi ancora vizzi dell’inverno.


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Tiziano Vecellio, Salomè con la testa del Battista, (particolare del volto di Salomè) 1515 circa, Olio su tela, 90×72cm, Roma, Galleria Doria Pamphili
Tiziano Vecellio, Salomè con la testa del Battista, (particolare del volto di Salomè) 1515 circa, Olio su tela, 90×72cm, Roma, Galleria Doria Pamphili

Grazie a un particolare individuato nel corso delle ricerche che Stile dedica in campo iconologico – durante lo sviluppo delle indagini dedicate all’allegoria del nome nella pittura cinquecentesca – i nostri ricercatori, coordinati da Maurizio Bernardelli Curuz, hanno messo in luce un particolare di notevole rilievo semantico che, per quanto appaia estremamente accessorio sotto il profilo della composizione dell’opera, consente di individuare un piano allegorico nell’ambito del dipinto Giuditta con la testa di Oloferne di Tiziano, recuperando a pieno titolo il significato amoroso del quadro, un significato privato che si sovrappone alla scena biblica: quello relativo alla passione
– e alla dichiarazione dell’assoluta dipendenza sentimentale – del pittore per la giovane e splendida Viola – detta anche Violante – colei la quale si ritiene fosse figlia di Palma il Vecchio.

Tiziano Vecellio, Salomè con la testa del Battista, 1515 circa, Olio su tela, 90×72cm, Roma, Galleria Doria Pamphili. La viola bianca è alla sinistra della giovane donna, infilata nella veste, a livello della scollatura
Tiziano Vecellio, Salomè con la testa del Battista, 1515 circa, Olio su tela, 90×72cm, Roma, Galleria Doria Pamphili. La viola bianca è alla sinistra della giovane donna, infilata nella veste, a livello della scollatura

Già si era stabilito che il volto del Battista – i capelli lunghi scarmigliati, la barba vaporosa, la fronte bombata ed evidente, le tempie scavate, il naso lievemente aquilino – presenta somiglianze strettissime con il maestro di Pieve di Cadore. E crediamo che, a questo proposito, non vi siano dubbi, come dimostra l’assoluta sovrapponibilità della mappa facciale dell’uomo decollato con il volto di Tiziano, sia quelli inseriti con il valore di firma in alcuni dipinti che nei due autoritratti, per quanto siano stati realizzati nella maturità o nella vecchiaia, giacché la struttura del volto resta invariata.



Ora due elementi fondamentali entrano in gioco in Giuditta con la testa di Oloferne, al punto da testimoniare la presenza di un piano semantico che allude alla presenza di un livello di comunicazione privata, in un gioco emotivo che proietta su un evento storico, senza che ciò sia palesemente evidente – così come accade spesso nel gioco della pittura antica, che opera, in diversi casi, su più strati, nel continuo interloquire tra evidenza e significato – la dichiarazione di un rapimento amoroso.

Tiziano Vecellio, Salomè con la testa del Battista, (particolare della viola nella scollatura) 1515 circa, Olio su tela, 90×72cm, Roma, Galleria Doria Pamphili
Tiziano Vecellio, Salomè con la testa del Battista, (particolare della viola nella scollatura) 1515 circa, Olio su tela, 90×72cm, Roma, Galleria Doria Pamphili

Il primo elemento, come abbiamo visto, riguarda la già sottolineata presenza della testa di Tiziano, poggiata, in eterno abbandono, sul piatto d’argento; il secondo è costituito da una piccola viola che viene fatta emergere pittoricamente dall’ultimo bordo dell’abito della donna, contro la pelle, a destra di chi guarda, sulla scollatura.
Il fiore risulta molto evidente a un’osservazione ravvicinata della superficie pittorica. Esso è una tenera viola primaverile, uno di quei nastri prodigiosamente esili e freschi che sbucano con la silenziosa prepotenza dei timidi tra i cespi ancora vizzi dell’inverno.
Sappiamo bene che tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Seicento, quindi con particolare intensità nel corso del XVI secolo, l’allegoria del nome, in pittura, era una pratica particolarmente diffusa soprattutto nei ritratti, e ciò – anche in questo caso – come frutto di un’intensa suggestione antiquaria, giacché i cognomi, secondo una tradizione quattrocentesca che traeva in parte forza dalla riscoperta delle pratiche antiche, divengono in diversi casi elementi d’ispirazione per la raffigurazione dei cosiddetti stemmi parlati (il disegno di montagne sullo scudo per alludere a Monti, di una cicogna per Cicognini ecc.).
Una pratica che venne rafforzata dalla diffusione del Canzoniere petrarchesco, il quale, per quanto composto nei primi decenni del Trecento, dilaga grazie all’edizione filologica curata da Pietro Bembo, proprio nel Cinquecento, con un processo imitativo che mette alla prova centinaia di poeti, i quali diffondono i modi e il pensiero del Petrarca nella vita quotidiana delle classi egemoni. A ciò non sfugge, nell’opera del poeta, il fittissimo ricorso alla velatura dei nomi, offerti attraverso la chiave dell’allegoria.
Il nome Laura viene mutato in alcuni passi in arbor o in lauro, mentre ci si riferisce agli Orsini richiamando l’immagine di piccoli plantigradi, o ai Colonna, rievocando il filiforme ma possente elemento architettonico, che sta alla base dell’arco.
Così come Petrarca utilizzò un’allegoria vegetale per evocare Laura, Tiziano usò, con lo stesso fine, una viola per richiamare il nome dell’amante Viola-Violante, come accade anche nel ritratto che il Longhi definì, con la sua tipica, stravolgente incisività che s’allontanava dalle cose per meglio colpirne l’essenza, la Bella Gatta. Il quest’ultimo caso, il fiore appare con maggior evidenza sul seno della donna effigiata per suggerirne il nome, ma non vi sono dubbi che anche la Giuditta tizianesca rechi la stessa essenza sul petto.

Tiziano Vecellio, Violante, 1515 circa, Olio su tavola, 64,5×51cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum. La viola è alla sinistra della giovane donna, infilata nella veste, a livello della scollatura
Tiziano Vecellio, Violante, 1515 circa, Olio su tavola, 64,5×51cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum. La viola è alla sinistra della giovane donna, infilata nella veste, a livello della scollatura
Tiziano Vecellio, Violante, 1515 circa, (particolare della viola), Olio su tavola, 64,5×51cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Tiziano Vecellio, Violante, 1515 circa, (particolare della viola), Olio su tavola, 64,5×51cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Già qualche studioso, negli anni Cinquanta, per quanto non fosse stato evidenziato il particolare della viola come elemento identificativo di Violante, aveva ipotizzato che da Salomè  emergesse un sentimento amoroso. Scrive Giovanni C. F. Villa nella scheda dedicata al quadro, nell’ambito del catalogo Natura e Maniera. Le ceneri violette di Giorgione tra Tiziano e Caravaggio, edito da Skira: “Una redazione così partecipe e intimistica da non far tramontare fino agli anni Cinquanta del Novecento una suggestiva, ma infondata, ipotesi di Hourticq (1909) nata in anni di fervore freudiano, poi ripresa da Foscari (1935) e Delogu (1950), che leggeva il dipinto come una meditazione privata, con la Salomè (così era allora identificata) personificazione di Violante (figlia di Palma il Vecchio amata da Tiziano, da riconoscere nella testa mozzata dal Battista) significativamente collocata sotto l’amorino proteso alla sommità dell’arco”.

Successivamente quell’ipotesi venne accantonata. Ma gli studiosi non avevano tenuto conto di un piccolo illuminante particolare presente nel dipinto: la viola inserita nella scollatura della modella, che costringe a rivedere gli esiti analitici relativi all’opera, attraverso la delineazione di un piano privato nell’ambito di un soggetto di natura religiosa. Una dichiarazione imperitura d’amore tra pittore e modella, resa attraverso il colore.
“La storia dovette continuare anzi per un bel pezzo – scrisse Enrico Giustacchini sulle colonne di Stile Arte, riferendosi al rapporto tra il maestro e la modella – ed aleggiare sulla bocca di tutti: senza peraltro scaldare gli animi o scandalizzare più di tanto, nella Venezia chiacchierona, ma in fondo tollerante, del tempo.



Oltre un secolo dopo, comunque, se ne parlava ancora. Nella Carta del navegar pitoresco, immaginario dialogo in versi tra un ‘professor de Pitura’ ed un non meglio identificato ‘Senatore’ della Serenissima repubblica (1660) ecco cosa scrive in proposito Marco Boschini: Ghe xe quel Viola, o Violante (è il ‘professor de Pitura’ che spiega, ndr) / Che fin Tician ghe volse dar del naso / Al bon odor, del resto qua mi taso, / Ché nol fu miga un vicioso amante. / Viola da una Palma partorida, / Che più vechia che l’è, l’è più feconda, / E de fruti sì dolci e rari abbonda / Che anche a bramarli el gran Vecelio invida”. La viola forse è allusa in Flora, sempre a livello della scollatura. Per quanto riguarda il cambiamento del colore dei capelli, va sottolineato il fatto che le donne e gli uomini, durante il periodo rinascimentale, facevano ricorso a decoloranti o a tinte – le donne alternavano il biondo al rossiccio – mentre gli uomini sceglievano un colorante nero.

Tiziano Vecellio, Flora, 1515 circa, Olio su tela, 79×63cm, Firenze, Uffizi
Tiziano Vecellio, Flora, 1515 circa, Olio su tela, 79×63cm, Firenze, Uffizi
Tiziano Vecellio, Flora, 1515 circa, Olio su tela, 79×63cm, Firenze, Uffizi. Da sottoporre ad analisi ravvicinata un possibile elemento floreale bianco come la stoffa. a livello della scollatura
Tiziano Vecellio, Flora, 1515 circa, Olio su tela, 79×63cm, Firenze, Uffizi. Da sottoporre ad analisi ravvicinata un possibile elemento floreale bianco come la stoffa. a livello della scollatura

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa