ICONOGRAFIA – Nel gesto esplicito dell’allattamento la pittura ha offerto esempi altissimi di umanizzazione del sacro. Fino alla censura frutto del clima post-tridentino
[I]l senso di assoluto abbandono e totale partecipazione che condividono una madre e il suo bambino nel momento dell’allattamento indicano simbolicamente l’esternazione del miracolo della vita. Non vi è nulla di più umano e allo stesso tempo di più spirituale della “corrispondenza d’amorosi sensi” che si crea in quell’atto tra una donna e suo figlio.
Il tema della madre che allatta ricorre in tutte le culture artistiche del mondo. Particolare interesse suscita, per la pregnanza nella storia religiosa e culturale dell’Occidente, l’affacciarsi, intorno al Trecento, di una nuova iconografia della Madonna allattante, che, pur se ripresa da certi rigidi modelli bizantini, anticipando la dimensione rinascimentale-umanistica, segna il passaggio da una religiosità aulica, distante, ad una più vicina, quotidiana, persino colloquiale.
Al tema è dedicato il volume La Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, a cura di Paolo Berruti (Edizioni Polistampa, 182 pagine, 16 euro), in cui tra l’altro si ripercorre l’affermazione di questo soggetto a partire dal presupposto che l’espressione artistica è sempre figlia della psiche, della società e dunque dell’uomo, e che la comparsa di iconografie nuove (o ri-attualizzate) sia stimolante spunto di analisi per avvicinarsi al mondo interiore di chi le ha prodotte.
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Madonna del latte. La sacralità umanizzata
curato da Berruti P.
Prezzo: € 16.00
Editore: Polistampa
Data di Pubblicazione: Gennaio 2006
La Madonna/madre che dalla impassibilità del trono scende ad allattare il Figlio/bambino è la svolta epocale che agli inizi del 1300 segnala e induce un modo nuovo e diverso di rappresentare il rapporto Madre/figlio. “Una donna alzò la voce in mezzo alla folla e disse: Beato il ventre che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!” (Luca 11,27). Questa beatitudine, che sale dall’ammirazione di una donna nei confronti della parola di Gesù, è idealmente la sigla spirituale e simbolica di questo volume. Il latte incarna concettualmente, col miele, la rappresentazione della fecondità, della libertà e del benessere, come è attestato da quella celebre formula stereotipata applicata alla terra promessa, “terra ove scorre latte e miele” e la “Madonna del Latte” come terminologia vivida e pregnante deve essere riservata alla iconografia della relazione duale ed esclusiva “madre-bambino” nel momento dell’allattamento. L’ampia panoramica ricostruisce e documenta come la Femminilità aulica ed egemone del mondo cristiano abbia saputo progressivamente diventare quotidianità colloquiale ed esemplare, in una maternità popolare e popolana che trova nell’allattamento forte specificità di espressione.[/box]
Nel campo della rappresentazione sacra ai fini di culto, l’iconografia della Vergine è tra le più complesse e ricche e affonda le sue radici nelle tipologie create dalla cristianità orientale. A cominciare dalla comparsa “ufficiale” del tema a seguito del Consiglio ecumenico di Efeso nel 431, che ribadì la centralità della figura di Maria Madre di Dio, si è assistito nei secoli ad una lunga serie di passaggi tipologici che hanno quasi sempre visto la Madonna ritratta insieme al Bambino.
Si trovano molte varianti stilistiche e iconografiche dell’immagine della Vergine che allatta, soggetto presente anche nelle catacombe romane, forse con richiami a divinità egizie, ripreso nelle miniature, pitture e sculture di epoche e Paesi diversi.
Ma in Italia, dapprima in scultura, poi in pittura fanno la loro comparsa, fin dai primi decenni del XIV secolo, alcune opere innovative, che documentano pure una svolta psicologico-comportamentale della relazione tra la madre e il bambino: ciò che colpisce in un primo momento è il gioco di sguardi tra i due volti a creare un rapporto esclusivo, un’attenzione assoluta.
Già nella Natività degli Scrovegni Giotto aveva posto in nuce l’umanizzazione di quel rapporto nello sguardo totalizzante ed empatico che vibra nell’aria tra Maria e Gesù; inoltre, nella di poco susseguente Madonna d’Ognissanti egli aveva fatto comparire per la prima volta l’ombra del seno, dando forma alla prima donna/madre “vera” della nostra storia pittorica. Il passaggio ulteriore vide la tenerezza, l’amore per il figlio (e di questi per la madre), racchiusi nell’atto di guardarsi, subentrare alle austere posture tradizionali, e arrivare infine ad esplicitarsi in quella raffigurazione immediata e genuina della maternità, che è il gesto dell’allattamento.
Ed ecco nella Siena del 1324-25 comparire la Madonna del Latte di Ambrogio Lorenzetti, l’opera considerata la prima versione pittorica schiettamente occidentale del soggetto, in cui la sacralità millenaria e asettica della Madre di Dio abbandona il passivo offrirsi alla contemplazione dei fedeli per giungere all’atto coinvolgente nella vita degli uomini: una maternità umanizzata dalla indispensabile concretezza dell’allattamento.
Se già il fratello dell’artista, Pietro, il più giottesco dei senesi, aveva ripetutamente tentato di raccontare la relazione degli occhi e l’affettività degli atteggiamenti in opere intense e in questo senso modernissime come la Madonna col Bambino di Pienza o la di poco successiva Madonna con Bambino in trono e quattro angeli di Cortona, è Ambrogio che, con la sua speciale sensibilità per la figura femminile, dà forma al nuovo modello in cui l’iconografia della Vergine allattante giunge a dignità raffigurativa autonoma ed indipendente.
E’ con lui che la “sacralizzazione dell’umano” e reciprocamente l’“umanizzazione del sacro” raggiungono il loro massimo vertice. Seguirono due secoli in cui la svolta emotiva-relazionale proposta dai fratelli senesi si impose e trovò decisiva continuità nell’opera di molti maestri che si soffermarono sempre più sugli aspetti spontanei e concreti del rapporto quotidiano tra Maria e Gesù, riflettendo nuove sensibilità sociali per arrivare alla naturalezza dei seni nudi esposti in un contesto totalmente profano e popolano, non sempre specificamente allattante, come ad esempio negli affreschi di Domenico di Bartolo (1441-44) a Santa Maria alla Scala di Siena.
La fortuna del soggetto, affrontato da tutti i grandi dell’epoca rinascimentale, da Leonardo a Botticelli, da Raffaello a Michelangelo, fino ai Carracci, Lippi, Reni, declinò solo in epoca post-tridentina, quando il clima censorio introdusse una forte limitazione all’iconografia della Madonna allattante, soprattutto con i seni scoperti, ritenuta pericolosa, neanche a dirlo, per la moralità e inammissibile motivo di “distrazione” e spunto per cedimenti nella fede.