Una straordinaria moneta d’oro romana, raffigurante Bruto, il celebre assassino di Giulio Cesare, è posta al centro dell’attenzione mondiale. Questo aureo, emesso circa un anno dopo il famoso evento delle Idi di marzo del 44 a.C., è considerato uno dei più preziosi e significativi reperti numismatici della storia romana. Sarà messo all’asta a Ginevra, in queste ore, con una base di partenza di 750.000 franchi svizzeri (circa 806.000 euro). Si tratta di uno dei soli 17 esemplari conosciuti, conferendogli uno status di eccezionalità sia per rarità che per rilevanza storica e politica. La casa d’aste che metterà all’asta l’aureo di Marco Giunio Bruto è Numismatica Genevensis (NGSA).
La moneta: simbolo di propaganda politica
Questo aureo, dal peso di circa 8 grammi, presenta su un lato il profilo di Bruto incorniciato da una corona d’alloro, segno distintivo dei trionfatori e degli imperatori. Accanto al suo volto si legge l’iscrizione “IMP”, un chiaro riferimento al titolo di imperatore, che Bruto non detenne mai formalmente. Sul lato opposto, la moneta celebra le vittorie militari di Bruto attraverso simboli bellici, con un forte valore propagandistico. Colpisce l’immagine di questo volto magro, scavato, che sembra rendere evidente – sul soma – l’azione di un tormento profondo, probabilmente non solo o non tanto collegato all’assassinio di Cesare, ma a un lungo tormento, che giungeva da lontano.
La produzione della moneta non avvenne a Roma ma in una zecca mobile, probabilmente situata presso l’accampamento militare di Bruto durante le sue campagne. Questo dettaglio sottolinea il contesto di emergenza e di necessità politica in cui fu coniata: Bruto stava infatti cercando di legittimare il suo ruolo di guida contro i sostenitori di Cesare. Si può comunque affermare che il profilo fu evidentemente preso dal vero, con attenzione ai particolari fisionomici.
Un passato travagliato: da Filippi al Rinascimento
Coniata poco prima della battaglia di Filippi nel 42 a.C., la moneta rappresenta l’ultimo sforzo di Bruto per consolidare il suo potere. La disfatta contro Ottaviano e Marco Antonio segnò il suo tragico epilogo: Bruto si tolse la vita, e il suo aureo divenne il muto testimone di una storia di ambizione e rovina.
Durante il Rinascimento, molte monete romane furono raccolte da principi e nobili, affascinati dalla classicità e dal valore storico. L’aureo riemerse negli anni ’50 come parte di una collezione privata e, successivamente, fu venduto all’asta nel 2006 per 360.000 franchi svizzeri. Oggi torna sul mercato, racchiuso in una scatola ermetica per preservarne l’autenticità.
Bruto: un ritratto del congiurato
Marco Giunio Bruto (85 a.C. – 42 a.C.) è una delle figure più complesse e controverse della storia romana. Celebre per essere stato tra i principali congiurati che uccisero Giulio Cesare, Bruto incarnò il conflitto tra ideali repubblicani e ambizioni personali in un’epoca di profonde trasformazioni politiche.
Origini e famiglia
Bruto nacque in una famiglia di grande prestigio. Era figlio di Marco Giunio Bruto Maggiore e di Servilia Cepione, una nobildonna strettamente legata a Giulio Cesare, di cui fu amante. Alcune voci dell’epoca ipotizzavano che Bruto fosse figlio illegittimo di Cesare, anche se questa teoria non è mai stata comprovata.
La famiglia dei Giunii discendeva, secondo la tradizione, da Lucio Giunio Bruto, il fondatore della Repubblica romana e rovesciatore dell’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo. Questa eredità repubblicana segnò profondamente il giovane Bruto, alimentando il suo senso di appartenenza alla causa della libertà romana.
Carriera politica e alleanza con Pompeo
Bruto si avvicinò alla vita politica negli anni di crisi della Repubblica. Durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo, si schierò inizialmente con quest’ultimo, suo zio acquisito. Dopo la sconfitta pompeiana nella battaglia di Farsalo (48 a.C.), Bruto fu catturato, ma Cesare, ammirando la sua intelligenza e riconoscendo i legami con Servilia, lo perdonò. Questo gesto rafforzò il rapporto tra i due, e Cesare lo accolse nel suo circolo di fiducia, assegnandogli cariche politiche rilevanti, tra cui quella di governatore della Gallia Cisalpina.
La congiura contro Cesare
Nonostante il favore accordatogli da Cesare, Bruto iniziò a temere l’accentramento del potere nelle mani del dittatore. L’assunzione del titolo di “dictator perpetuo” (dittatore a vita) da parte di Cesare fu interpretata come un passo verso la monarchia, tradendo i principi repubblicani. Questo timore spinse Bruto a unirsi a una congiura guidata da Caio Cassio Longino. E’ evidente che, al di là delle valutazioni politiche, Bruto dovette fare i conti con la propria biografia psicologica, forse con le voci che lo indicavano come figlio illegittimo di Cesare, con una sorta di tormento e di conflittualità edipica con quell’uomo che era stato amante di sua madre. Dalla figura di Cesare – che schiacciava la Repubblica e dal legame di quest’ultimo con la madre di Bruto – discendeva un’indiretta umiliazione dei Giunii, la famiglia paterna di Bruto.
Il 15 marzo del 44 a.C. (Idi di marzo), Cesare fu assassinato durante una seduta del Senato. Bruto, armato di pugnale, fu tra i primi a colpirlo. Secondo la tradizione, Cesare avrebbe pronunciato la celebre frase “Tu quoque, Brute, fili mi?” (“Anche tu, Bruto, figlio mio?”), sebbene questa espressione sia considerata apocrifa.
Dopo l’assassinio: fuga e guerra
Dopo l’assassinio, Bruto e gli altri congiurati cercarono di giustificare il loro atto come una difesa della libertà repubblicana, ma incontrarono una forte opposizione popolare, alimentata dai discorsi di Marco Antonio e dalla lettura pubblica del testamento di Cesare. La situazione costrinse Bruto a fuggire da Roma, riparando prima in Grecia e poi radunando truppe per difendere la causa repubblicana.
Nel 42 a.C., Bruto e Cassio affrontarono l’esercito di Ottaviano e Marco Antonio nella battaglia di Filippi, in Macedonia. La sconfitta definitiva arrivò dopo due combattimenti. Cassio si tolse la vita dopo la prima battaglia; Bruto lo seguì dopo la seconda, preferendo il suicidio alla cattura. Le sue ultime parole, secondo Plutarco, furono un’ammissione di sconfitta: “O Virtù, non sei che un nome!”.
L’eredità di Bruto
Bruto fu visto come un traditore da alcuni e un eroe repubblicano da altri. La sua figura ispirò opere letterarie e teatrali, tra cui la tragedia Giulio Cesare di Shakespeare. La sua vita e le sue scelte rappresentano l’ambiguità morale e politica del tardo periodo repubblicano: un uomo diviso tra ideali elevati e azioni spesso guidate dall’opportunismo politico