Il silenzio in pittura

Un dito sulla bocca e uno sguardo di complicità. L’invito a tacere è rappresentato da Giotto e da numerosi altri pittori. Ma il suo significato varia di contesto in contesto dal ultimo ermetico, dal silenzio meditativo, fino alla conservazione di segreti che non possono essere rivelati nessuno



Paris Nogari, Allegoria del silenzio. L'opera testimonia la volontà di ricordare il pericolo dl parola e la possibilità di commettere peccati. La cicogna con l'uovo in bocca accanto all'uomo rafforza il concetto. Dovendo portare il prezioso carico - il guscio conchiude un segreto-, non può emettere versi pena la distruzione dello stesso.
Paris Nogari, Allegoria del silenzio. 1582,affresco, Città del Vaticano, sala degliSvizzeri. L’opera testimonia la volontà di ricordare il pericolo dl parola e la possibilità di commettere peccati. La cicogna con l’uovo in bocca accanto all’uomo rafforza il concetto. Dovendo portare il prezioso carico – il guscio conchiude un segreto-, non può emettere versi pena la distruzione dello stesso

Il dito indice della mano destra sollevato all’altezza del volto e appoggiato alle labbra. Gli occhi ardenti che invitano l’interlocutore a una muta complicità. E’ un gesto più eloquente, forse il più diffuso nell’ambito delle espressioni verbali umane, quello del silenzio. Esso appare in numerosi dipinti – tra cui le opere di Giotto, di Dosso Dossi, di Paris Nogari o le incisioni librarie del cinquecento e del Seicento – , riferendosi a situazioni diverse. Se questo gesto risulta collegato alla figura di Ermes o Mercurio, che riconosciamo inequivocabilmente per la presenza del caduceo – un bastone al quale sono avvinti serpenti -. Esso allude al silenzio ermetico, cioè alla necessità dell’iniziato di percorrere immagini e testi enigmatici, acquisendo informazioni legate all’alchimia e alla magia, senza poi rivelare a nessun altro ciò che gli ha disvelato. Altra connotazione del silenzio, la più diffusa, è collegata alla necessità religiosa della meditazione. E’ soltanto in assenza della parola che è possibile salire ai punti più alto del cielo, ascoltando la musica delle sfere, o avviare un colloquio con Dio o essere rapiti come San Paolo, avendo cognizione del Paradiso.
Dosso Dossi, Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù. Il quadro si riferisce a una dimensione alchemica. Mercurio-Hermes è centrale nell'alchimia e protegge, con il silenzio, la creazione di Giove alchimista
Dosso Dossi, Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù. Il quadro si riferisce a una dimensione alchemica. Mercurio-Hermes è centrale nell’alchimia e protegge, con il silenzio, la creazione di Giove alchimista

Il libro Emblemata (1534) di Andrea Alciati, una raccolta di figurate incisioni e di sentenze morali stese in forma di poesia, presenta, tra gli altri avvertimenti, quello legato al silenzio. Un saggio – un intellettuale – un religioso – appare in una minuscola stanza nella quale un grande libro in folio è appoggiato ad un leggio. L’indice della sua mano destr è contro le labbra. Scrive l’Alciati:” Lo stolto, se tace, in nulla è diverso dai saggi./ spia della sua stoltezza gli sono la lingua e la voce./ perciò tenga chiuse le labbra, e segni col sito il silenzio: e si trasformi in Arpocrate, quello di Faro, in Egitto”. Chi era Arpocrate? Una divinità greco-egizia preposta, appunto, alla conservazione del silenzio. Anche un’impresa contenuta in Palazzo Te allude alla necessità politica di tacere o comunque di ponderare le parole, in questo, fedele come un cane; meglio adottare una strategia guardinga, come prescrive una forte museruola, sotto la scritta cautius, più cauto. Parlare o non parlare? Nel Cinquecento una parola in più poteva equivalere alla morte. Libertà di giudizio era limitatissima. E’ forse per questo che attorno ad un soffitto labirintico di Palazzo Ducale – sempre a Mantova -, il quale rappresenta la complessità della vita e la sua aleatorietà, è incisa la rase “ Forse che sì, forse che no”, che invita alla ponderazione nell’affrontare i nodi dell’esistenza, ma al tempo stesso si riferirebbe ad una canzone dell’epoca, anch’essa legata alla necessità del silenzio: “ Forse che sì forse che no/ il tacer nuocer non può/ Forse che no forse che sì/ non sia il mondo sempre così”.
Giotto, Allegoria dell'ubbidienza. In questo caso, l'allegoria non solo esprime un monito a misurare le parole proferite, ma può rappresentare anche la regola monastica del silenzio. Un religioso fa segno ai confratelli di rimanere muti ed essi debbono obbedire
Giotto, Allegoria dell’ubbidienza. In questo caso, l’allegoria non solo esprime un monito a misurare le parole proferite, ma può rappresentare anche la regola monastica del silenzio. Un religioso fa segno ai confratelli di rimanere muti ed essi debbono obbedire

 
Il significato è palese. L’uomo, avveduto, nel momento in cui valuta se sia meglio parlare o restare in silenzio (“Forse che sì, forse che no) deve capire che, nel dubbio, è giusto astenersi dal parlare perché l’omissione non ha generalmente conseguenze negative. (“il tacer nuocer non può”). L’autore della canzone, volta in gioco di parole, si augura però, nel ribaltamento dei termini (“Forse che no, forse che sì”) che con il mutare dei tempi anche la parola e il diritto di critica siano unanimemente accettati (“ non sia il mondo sempre così”). Questi alcuni esempi da noi riportati nell’ambito delle diverse tipologie dl silenzio in pittura. Altri elementi sono analizzati – non tanto sotto il profilo pittorico, ma nell’ambito della storia dell’antropologia – da Roberto Mancini nel saggio La lingua degli dei. Il silenzio dall’Antichità al Rinascimento (Angelo Colla editore, 144 pagine), soprattutto in riferimento al periodo medioevale. Le motivazioni del silenzio indicate da Mancini sono diverse, non ultima quella magica. La capillare diffusione della superstizione, il timore dell’azione di esseri soprannaturali che, di notte, ghermiscono le anime dei villani, spingono uomini e donne a cercare atteggiamenti atti a contrastare i diabolici influssi.
Come indicano i salmi:” Pone Domine, custodiam ori meo, et ostium circustantiae labiis meiis” (140, 6), il dito viene posto davanti alla bocca per proteggere l’orante dagli spiriti infernali pronti ad approfittar del cavo orale aperto durante la recita delle preghiere per impossessarsi della vittima. L’indice alla bocca costituisce pertanto una barriera sacrale utilizzata dal fedele, ma il gesto infondeva nello stesso tempo una maggiore intensità alle parole pronunciate. Questa è solo una prima lettura. Ci sono situazioni nelle quali l’artista vuole indicare i pregi del silenzio e la necessità di ponderare ciò che si vorrebbe dire. Anche in tal caso la Bibbia ci viene in aiuto, in quanto fonte primaria sotto il profilo della produzione iconografica. Nel salmo 39, versetto 2, è citata la frase:” Io dicevo: farò attenzione alle mie vie, per no peccare con la lingua”. Una contrizione, un invito alla riflessione, alla pazienza, a misurare i vocaboli.
E Paris Nogari (1536-1601) nell’Allegoria del Silenzio, potenzia la prescrizione collocando accanto all’autorevole personaggio barbuto che avvicina l’indice alle labbra un trampoliere che regge un uovo, a fatica, nel becco. Il volatile non può cantare, non può aprire bocca, pena la caduta e la rottura del guscio, nel quale si nasconde, come vuole la tradizione ermetica e alchimistica, l’Arcanum Dei, il segreto di Dio. Per Mancini, “ le figure (…) testimoniano la volontà di ricordare le pericolosità della parola e il timore di commettere dei peccati attraverso la stessa: in genere sono immagini che nascono dalla paura o dalla rappresentazione di un vizio”. C’è, poi, una terza situazione, strettamente collegata alla Chiesa, al modo di percepire il rapporto tra fedele e la dottrina religiosa.


Una terza via che sancisce un nuovo e rinnovato modello iconografico del silenzio, nato come conseguenza delle “leggi” monastiche del XIV secolo, norme che si rifanno alla tradizione del passato. La collocazione dell’indice sulle labbra” è un gesto che si era imposto precocemente in ambiente cristiano, ma non indicava un silenzio completo. (…) Era un gesto che accompagnava le parole di una preghiera”. Aspetto fondamentale dell’esercizio di fede, infatti, è proprio un’accentuazione dell’importanza della regola del silenzio. Contrizione, rassegnazione, sottomissione, fiducia incondizionata in Dio sono gli elementi fondanti, atteggiamenti che rifuggono l’enfasi, le grida, i pianti per trovare una logica soluzione nell’assenza di rumore, intesa come fonte di emozioni ma anche punto di raccordo tra il mondo interiore e quello del cielo. I suoni di ogni natura, appartengono invece esclusivamente alla sfera mondana. Afferma Mancini che “il silenzio inteso in forma di questo elemento di copertura e di maschera renderà necessario lo sviluppo di tecniche di indagine con le quali il corpo quieto e silenzioso torna ad essere un corpo parlante ed eloquente.(…) Naturalmente sbocco figurativo di questo clima di rinnovato fervore fu proprio il gesto del silenzio fatto compiere da alcuni santi”.
Il silenzio, in fondo, è compreso da tutti, anticipa i tumulti del cuore, ci prende nei momenti di maggiore sorpresa, giunge quando le parole sono inefficaci. Il silenzio dell’anima insomma il silenzio eloquente degli Dei.

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