di Maurizio Bernardelli Curuz
Un genio assoluto, soprattutto, un grande scrittore, ma anche un ottimo pittore e disegnatore. Autore di una smisurata quantità di romanzi, drammi e saggi, è ricordato soprattutto per Notre-Dame de Paris, del 1831, e I miserabili, del 1862. Victor Hugo (Besançon, 26 febbraio 1802 – Parigi, 22 maggio 1885) è considerato il padre del Romanticismo in Francia. Si cimentò in numerosi campi, divenendo noto anche come saggista, aforista, artista visivo, statista e attivista per i diritti umani. Tra i principali teorici ed esponenti principali del movimento letterario romantico, seppe tenersi lontano dai modelli solitari che caratterizzavano i poeti del tempo, riuscendo ad accettare le vicissitudini della sua vita (dei quattro figli che giunsero all’età adulta, tre moriranno prima di lui, mentre la figlia Adèle finirà ricoverata in manicomio) per farne esperienza esistenziale e cogliere i valori e le sfumature dell’animo umano.
Nonostante esercitasse il disegno come passatempo e non avesse ricevuto insegnamenti in campo tecnico artistico, fu un artista di straordinario talento. E lasciò un corpus di circa 4000 fogli, molti dei quali paesaggi o vedute notturne o crepuscolari o rese scure dalla tempesta. Anche il nudo che pubblichiamo all’inizio della pagine, è fonte dell’osservazione della chiarezza della pelle della modella, sotto la luce della lampada, mentre il resto della stanza è inghiottito dall’oscurità.
Anticipò il disegno automatico dei surrealisti. A volte, per non controllare il flusso della coscienza, disegnava infatti con la mano sinistra, senza guardare il foglio per consentire a ciò che stava nel profondo, di manifestarsi. E, con grande creatività, utilizzava materiali poveri, a disposizione immediata. Al di là degli inchiostri, fece uso pittorico del caffè, della fuliggine e di quanto di minimamente colorato fosse diluibile in acqua.
Lo zolfo dei fiammiferi intinto in acqua, completava la gamma tonale. E a volte utilizzava anche piume per rendere evanescenti vapori atmosferici, a dimostrazione del fatto che non era un semplice disegnatore, ma accedeva pienamente alla pittura, sfumando a mano a mano. Era capace di realizzare ricostruzioni architettoniche dettagliatissime, arabeschi e decorazioni in punta di pennino, che univa poi a larghe campiture ottenute attraverso la diluizione del medium. Baudelaire, che oltre ad essere un sublime poeta, era un acutissimo critico d’arte, scrisse di Hugo-pittore: «Non ho trovato presso gli espositori del Salon la magnifica immaginazione che cola dai disegni di Victor Hugo come il mistero dal cielo. Parlo dei suoi disegni a china, perché è fin troppo evidente che, in poesia, il nostro poeta è il re dei paesaggisti.» (Baudelaire, Curiosità estetiche, 1868 — IX Salone del 1859, Lettere al signor Direttore della rivista francese VIII)
Inizialmente i suoi lavori sono nettamente realistici, salvo poi acquisire una dimensione più fantastica con l’esilio e il suo confronto “mistico” con il mare. Egli fece spesso uso del punto di vista “a volo d’uccello”, – che, sotto il profilo visivo precede le nostre fotografie con i droni. Molti i paesaggi, ricchi di fascino e di mistero. Nelle sue opere di terra prevalgono borghi e castelli misteriosi; ruderi e ancora castelli sul mare, tempeste e onde – che sembrano una citazione di quella giapponese di Hokusai – bastimenti in pericolo. Una specie di Turner, ancor più corrusco, vicino ai fondali bui e inquietanti del nostro Piranesi.
Natura e cultura nascondono segreti che vengono parzialmente svelati, nell’opera pittorica di Hugo, dall’arrivo del raggio eloquente. E’ la chiave per comprendere la drammaticità e la grandezza nobile del mondo. Meno frequenti durante gli anni dell’impegno letterario e pubblicistico, molte opere vengono realizzate nel periodo difficile che precede l’esilio politico, tra il 1848 e il 1851, anno in cui iniziano le peregrinazioni. Si reca infatti, come fuoriuscito, a Bruxelles, poi si trasferisce nell’isola di Jersey e infine a Guernsey, rifiutando l’amnistia proclamata dall’imperatore. Le opere pittoriche placano anche il suo tormento esistenziale, permettendogli di portarlo sul foglio. In quegli anni entrano nella sua pittura d’inchiostri e materiali non convenzionali anche le suggestioni del Giappone, nelle quali il dramma si stempera nell’esercizio calligrafico della bellezza.