Il tesoro di monete romane ritrovato a Bubendorf, in Svizzera, sta fornendo nuove informazioni grazie a moderne tecniche di analisi e all’indagine del territorio. Studiosi hanno probabilmente scoperto, in questi giorni, la divinità alla quale era forse associata l’offerta. L’osservazione del piano sul quale è stata trovata la ceramica piena di monete romane lascerebbe intendere, per la presenza ordinata di sassi giustapposti, la possibilità della presenza di uno spazio spianato, forse per la collocazione di un’erma o di una statua.
Le monete, secondo la verifica di queste ore, potrebbero essere state raccolte come offerta al dio romano Terminus e sepolte nei pressi della sua statua – poi, naturalmente, scomparsa – nel bosco. Terminus era il dio dei confini, nato come una sorta di specializzazione dello stesso Giove. Di fatto sanciva la sacralità della proprietà privata e dei confini circoscrizionali o dell’impero. Proteggeva le proprietà dagli intrusi, dai ladri, dai malintenzionati ed era garante dell’accordo e dell’armonia tra vicini. I riti stagionali prevedevano che, durante i Terminalia, i proprietari di terreni limitrofi e i loro collaboratori ponessero ghirlande sul cippo e un altarino su cui accendevano un fuoco che veniva poi spento col vino bruciandovi una piccola parte del cibo della festa condivisa coi vicini.
Dionigi di Alicarnasso racconta che il re Numa Pompilio aveva ordinato, ai tempi di Roma arcaica, a tutti i cittadini di segnare i confini delle proprie terre posizionando delle pietre, consacrate a Zeus Horios (Giove Terminus). Numa stabilì che “chiunque avesse rimosso o spostato questi confini (horoi) fosse dichiarato sacro al dio”, inteso come Homo sacer, una persona messa fuori dalla protezione umana e pertanto evitata, abbandonata a se stessa e al dio, che non doveva essere particolarmente benevolo con i reprobi.
La severità della pena per la violazione dei confini è confermata da una legge riportata da Festo: “Chi, arando, avesse sconfinato nel terreno altrui, fosse reso sacro insieme ai buoi che tiravano l’aratro (eum, qui terminum exarasset, et ipsum et boves sacros esse).”
Da questo discende l’importanza assoluta di Terminus e il valore fondamentale della proprietà privata e pubblica nell’ambito culturale e giuridico romano.
Il giorno e i luogo del ritrovamento
Daniel Lüdin, volontario con autorizzazione di ricerca, era in un bosco, non lontano dal castello di Wildenstein, in Svizzera, quando il suo metal detector ha segnalato perentoriamente una consistente presenza di metallo nel sottosuolo. L’uomo, delicatamente, ha rimosso la zolla e si è reso conto subito dell’importanza del ritrovamento. Così ha sospeso l’intervento, avvertendo i responsabili del servizio archeologico di Basilea che hanno proceduto al recupero del vaso e allo studio di elementi circostanti, così da poter capire – gli studi sono in corso – cosa sorgesse in quel punto. Ciò che è stato stabilito è che il punto del ritrovamento si trova all’intersezione di confine di tre possedimenti romani.
Il posto delle fragole e il dio Terminus
Gli archeologi avevano già notato che quello poteva essere un punto di raccordo tra proprietà e che, probabilmente, il tipo di deposito poteva essere oggetto di offerte dei fedeli presso un’erma o un’edicola. Ora questo passo avanti. Diverse località, soprattutto in Italia, hanno conservato il nome Tèrmen, Tormen, Termini, Tormini. In Svizzera, non lontano dall’Italia, sorge un villaggio che si chiama Termen. E’ il punto in cui termina un territorio e ne inizia un altro. In Lombardia con il nome termen si identificano tuttora le pietre – dotate da un’aura sacrale – che delimitano una proprietà e pertanto i confini.
Il deposito monetario, scoperto dal volontario Daniel Lüdin nel 2021, conteneva 1.290 monete in una giara di argilla databili al IV secolo d.C. sotto l’imperatore Costantino. Un dettaglio insolito, una striscia di cuoio trovata all’interno, separava il contenuto in due sezioni, un elemento che continua a suscitare interrogativi tra gli studiosi. Un mistero che potrebbe essere spiegato come l’offerta contestuale da parte di due confinanti, che portarono in quel luogo due sacchetti di cuoio colmi di monete?
Il dio Terminus veniva onorato e pregato dai vicini di “casa” e di proprietà, che, nel mese di febbraio, si trovavano nei pressi della statua di Terminus stesso o del tempietto ad esso dedicato per fare offerte e consumare qualcosa, insieme.
Il sito di ritrovamento delle monete si trova in un’area boscosa, poco distante dal castello di Wildenstein, in una zona che è stata interpretata come periferica rispetto ai principali insediamenti urbani romani, ma non priva di attività umane. Gli archeologi ritengono che potesse trattarsi di una sorta di confine tra proprietà o territori romani, dato che si trova vicino a quello che poteva essere un punto di passaggio o di confine amministrativo.
Un altro piccolo mistero è costituito dal coccio utilizzato per contenere le monete. Esso è piuttosto irregolare e parrebbe aver subito una lesione, forse durante le operazioni di recupero di materiali edilizi dalla zona sacra. L’effetto del “troppo pieno” potrebbe però anche collegata al fatto che originariamente le monete non erano collocate alla rinfusa nel contenitore ceramico, ma entro – forse – alcuni sacchetti di cuoio che sopravanzavano il coccio stesso.
Il ritrovamento del tesoro romano ha dato modo agli studiosi di Archäologie Baselland di esplorare aspetti del contesto archeologico e delle pratiche di sepoltura monetaria durante il regno di Costantino il Grande. La raccolta di 1.290 monete, sepolta intorno al 332-335 d.C., suggerisce – secondo gli svizzeri – che fosse probabilmente intesa come deposito rituale o simbolico, piuttosto che nascosta in un periodo di instabilità, come avviene di solito per i ritrovamenti del periodo tardoantico.
Le monete ritrovate, in bronzo e argento, hanno un valore stimato in un solidus d’oro, equivalente a circa due mesi di paga di un soldato legionario dell’epoca. Il sito di Bubendorf, grazie alla sua posizione al confine di tre proprietà romane, potrebbe aver rappresentato una sorta di “zona di confine” dove la sepoltura di tali tesori fungeva da rituale di protezione o delimitazione territoriale.
Le tecnologie avanzate, come la tomografia computerizzata (CT scan), hanno permesso agli archeologi di esaminare il tesoro senza rimuoverlo fisicamente, consentendo uno studio dettagliato della disposizione interna e del materiale. Questo approccio non invasivo ha rivelato il cuoio come possibile “divisore” tra le monete, ma il suo scopo preciso rimane oggetto di dibattito. La piccola pezzatura delle monete potrebbe corrispondere a un insieme di offerte?
Le monete ritrovate a Bubendorf, risalenti al IV secolo d.C. e prevalentemente all’epoca dell’imperatore Costantino, erano in lega di rame con una piccola percentuale di argento.
In termini di valore, queste monete rappresentavano una somma moderata: si trattava infatti di “piccolo cambio,” come indicato dagli studiosi. Il valore complessivo del deposito è stimato, appunto, in un solidus, la moneta d’oro romana che corrispondeva a circa due mesi di salario per un soldato dell’epoca. Questo dato offre un quadro sull’importanza economica limitata – ma non dl tutto trascurabile – del deposito stesso, suggerendo che potrebbe non essere stato accumulato per fini strettamente monetari o commerciali, ma forse per ragioni simboliche o rituali, come una possibile offerta religiosa o votiva, concludono gli archeologi svizzeri.