Dal nuovo mondo, con pomodori, patate, angurie ed altre varietà vegetali, le nuove zucche – in Europa esistevano già antiche “cugine”, quelle a fiaschetta – si imposero immediatamente, da noi, come trionfo di feriale bellezza; prima nelle corti, poi a livello popolare.
Si presentavano con caratteri di assoluta straordinarietà, per dimensioni imponenti, forme singolari, colori intensi che vanno dall’arancione al verde azzurro, multiformi e ben sagomate quanto un turbante orientale o un serpente, forti contenitori di una polpa compatta e coloratissima che poteva resistere per lungo tempo in ambienti asciutti, così ricca di semi festosi ai quali si riconoscevano capacità medicamentose e la propiziazione del denaro.
Tra i primi ad accogliere iconograficamente questa novità, a poco più di vent’anni dalla scoperta dell’America, fu Raffaello che fece rappresentare al suo collaboratore, Giovanni da Udine una grossa zucca di provenienza americana, aperta alla base come una cornucopia ricca di semi – e pertanto di denaro – trasformandola in un nuovo attributo di Ermes–Mercurio, l’alato messaggero degli dei, il dio dell’intelligenza concreta e pertanto, l’olimpico protettore dei commerci.
Era un’immagine che intendeva propiziare una continuità d’abbondanza e fortuna al banchiere senese Agostino Chigi, amico di Raffaello, committente degli affreschi, che era diventato ricchissimo con il commercio di allume e che aveva aperto, con fortuna, un banco finanziario.
Non è semanticamente complesso mettere in relazione la centralità di questo frutto nello scomparto decorativo con la presenza di una divinità, che tra le altre peculiarità, aveva quella di garantire rapidità ed efficacia negli affari. Sicché la zucca aperta, nell’affresco, è come la pentolaccia, negli antichi giochi popolari, che libera il seme-denaro, facendo piovere sonanti monete su chi l’ha colpita.
Le zucche provenienti dall’America furono subito identificate, per l’ampiezza, la bellezza e la ricchezza di semi, come portatrici di denaro e prosperità.
La natura feconda della specie vegetale è dimostrata, sempre nel festone di Giovanni da Udine , non distante da Mercurio, da una liaison dangereuse di natura sessuale. Una zucca oblunga, realizzata inequivocabilmente come fosse un aggressivo organo maschile, si avvicina ad un fico. Fichi con questa connotazione sessuale sono registrati ampiamente nella pittura cinquecentesca, dal bolognese Bartolomeo Passerotti al fiammingo Joachim Beuckelaer.
Al di là delle connotazioni simboliche a cui si prestavano le zucche americane – che Giovanni da Udine, dipinse con tanta sollecitudine, cogliendo la novità che giungeva dal nuovo mondo e testimoniando l’interesse che esse suscitavano presso le principali corti – il frutto aveva in sé connotati regali: era un soggetto straordinariamente pittorico; spesso sagomato a livello della scorza, quanto il copricapo alla turchesca,; era allegro, imponente e prodigioso. Una scultura vegetale, una ceramica, un oggetto che, come il pomodoro, ebbe inizialmente caratteri eminentemente decorativi presso le élites, per poi entrare nei menù, con sapori di contrappunto che avrebbero anticipato la nouvelle cuisine.
A metà del Cinquecento la zucca americana, nelle sue numerosi varianti, apparve con sempre maggior frequenza nei quadri dedicati ai cosiddetti mercati – che, in realtà, nascondevano, sottotraccia, finalità propiziatorie o comico grottesche legate al rapporto tra materia e sessualità, come avviene nei fiammingo Pieter Aertsen (Amsterdam, 1508-1575) e nel nipote Joachim Beuckelaer (Anversa, 1530 circa, 1573), collezionato dai Farnese. Essa può alludere al tempo stesso alle rotondità femminili, ma soprattutto, alla gravidanza, come possiamo osservare nell’opera di Joachim Beuckelaer o della sua scuola, in cui l’uomo procede con le avance e la donna appoggia le mani a un frutto americano e a un melone.
Per mostrare la ricchezza intima, molto spesso la zucca viene tagliata, come accade in due versioni della Fruttivendola del lombardo Vincenzo Campi (1536-1591), nelle quali il frutto viene esibito con la priorità impaginativa di un trofeo, in una collocazione eminente ed evidente, squadernata, quasi impudica, con la concavità ricca di semi e di filamenti dell’endocarpo, che vengono rilevati dal pittore con un’attenzione traslata allusivamente in altre direzioni semantiche.
Nello stesso periodo un altro lombardo, Giuseppe Arcimboldi (1526-1593) che migra alla corte alchemica di Praga, dove la realtà viene osservata nella sua rappresentazione che conduce ai cardinali e agli universali, crea, attraverso la giustapposizione di elementi naturali, la rappresentazione degli eterni creatori della materia. Come ben sappiamo, Arcimboldi opera – muovendo da principi estrapolati dall’arte musiva e pittorica romana e etrusca che già aveva rappresentato Vertumno, il dio italico dell’autunno-inverno, con la capigliatura formata da frutti, come se lui stesso fosse un albero fruttifero – porta alle estreme conseguenze concettuali la rappresentazione della materia, dimostrando, secondo il pensiero neoplatonico che il mondo è formato da eoni – cioè da emanazioni divine. E’ solo osservando l’insieme che il disegno della natura porta all’immagine del suo creatore. In Vertumnus, dedicato all’imperatore, l’artista lombardo utilizza i frutti di tutte le stagioni e alla zucca viene assegnato il compito di rappresentare il torace, sede del cuore.
Il significato iconologico
delle zucche a fiaschetta
Nei primi decenni del Seicento assistiamo, nell’arte, allo sviluppo dello still life, al quale furono poste le basi, tra i Paesi fiamminghi, Cremona, Milano e Bologna alla metà del XVI secolo. Si recuperava, in questo modo, la pittura romana degli xenia, dipinti di frutta che sottolineavano la ricchezza della casa e richiamavano, sullo stesso edificio, nuova prosperità, attraverso il dono reale di frutta, in un cestino, agli invitati che avevano partecipato al pranzo.
E le zucche spandono le loro forme opime, la loro natura prospera, la loro polpa difficilmente espugnabile dagli animali, in diverse tele. Va sotto sottolineato un aspetto sociale e antropologico di rilievo: mentre gli artisti mettono in rilievo zucche americane nelle nature morte, nei bodegones o nelle pitture di mercati, evidenziano la presenza di zucchette a forma di fiaschetta, collegandole essenzialmente al mondo popolare dei lavoratori o dei pellegrini.
Bisogna, a questo punto, aprire una breve parentesi botanica. La scoperta dell’America portò nel vecchio continente l’antenata della zucca di Halloween e numerose altre varietà; ma Europa e Asia conoscevano già, da tempi antichissimi, la Lagenaria, una zucca di piccole dimensioni, somigliante a una fiaschetta ( o forse dovremmo dire che per la forma della fiaschetta di vetro ci si ispirò alla lagenaria?) . Almeno dai tempi dei Romani, questo frutto asiatico ed europeo veniva consumato dal popolo che lo svuotava della polpa – poi lessata o cotta nel forno, accanto al pane- e ne trasformava la scorza in contenitori leggeri e impermeabili, perfetti soprattutto per contenere l’acqua o il sale. Non v’era bastone o cinta di un camminatore che non avesse appesa – come appare in diversi casi nell’iconografia pittorica di san Rocco o di San Giacomo – la bella bottiglia vegetale. La presenza della zucca arcaica nei dipinti o nelle statue è particolarmente legata alla dimensione del viaggio e appare pertanto collegata ai pellegrini , ai vagabondi o santi in cammino.
Si attestano pure testimonianze scritte o, ancora iconografiche, dell’uso della fiaschetta di zucca come portalampada e portacera per illuminare gli ambienti mentre le fonti ne testimoniano l’uso casalingo per la conservazione di uno degli elementi più preziosi: il sale.
Avere in sale in zucca
Il sale, ai tempi di Roma antica, equivaleva al denaro corrente, tanto che il nome salario deriva, come ben sappiamo, dal pagamento dei prestatori d’opera attraverso dosi di sale, elemento preziosissimo non solo per equilibrare la dieta o aumentare il sapore ai cibi, ma per la conservazione degli alimenti. Il sale fece sorgere la città più importante del mondo antico, Roma, posta al punto di intersezione tra la via salaria, che dal mare portava all’interno – sulla quale viaggiavano salmerie cariche del prodotto marino – e le strade degli allevatori che portavano il bestiame a valle per poterlo vendere o barattare, acquisendo le scorte saline necessarie al consumo domestico e alla preparazione di salumi. L’integrazione di queste due economie fu alla base remota della fortune della città eterna.
Nelle abitazioni, quindi, la zucca antica si rivelava un ottimo scrigno per contenere i cristalli di sale, considerati così preziosi che rovesciarli inavvertitamente a terra era – ed è – considerato segno di sfortuna. L’essiccazione della scorza – che diveniva sempre più coriacea – e la perdita di umidità dell’interno, garantivano un accurata conservazione del prodotto in quello che era divenuto uno scrigno domestico, appeso a un chiodo.