[U]na Monna Lisa più giovane di dieci anni, opera autografa, anch’essa, di Leonardo da Vinci? . Il quadro è certamente affascinante, ma da un’osservazione degli elementi strutturali, l’opera potrebbe essere di bottega, anche se la vicinanza al maestro pare notevole. Forse per questo la Isleworth Mona Lisa risulta tanto seducente. Una fondazione svizzera ritiene invece di avere prove scientifiche per dimostrare che il lavoro è di Leonardo .
Secondo la Mona Lisa Foundation, che ha sede a Zurigo, il ritratto , scoperto nel 1913 , è precedente all’opera del Louvre, un precedente nel quale il maestro avrebbe restituito, in pittura, un volto più giovane e fresco della celeberrima modella. La Fondazione, da 35 anni, lavora per dimostrare l’autografia della tela, che è rimasta nel caveau di una banca elvetica per oltre quarant’anni. E’ chiaro che la posta in gioco è altissima, sia sotto il profilo scientifico che nell’ambito più prettamente economico. Se la fondazione dovesse dimostrare l’autenticità del pezzo, l’opera – che oggi, senza attribuzione certa, potrebbe valere tra i centomila e i 200mila euro – non solo entrerebbe nel catalogo leonardesco, ma raggiungerebbe valori ora incalcolabili. Al processo attributivo promosso dagli svizzeri si oppone, tra gli altri, Martin Kemp, docente a Oxford il quale ha dichiarato che non esisterebbe alcuna prova che il quadro conservato in una banca elvetica sia una precedente realizzazione del volto di Monna Lisa. Per Kemp è una copia. Affermazione evidentemente errata. In realtà si tratterebbe di un quadro diverso, realizzato secondo modalità che rinviano alla Gioconda. E gli stessi elementi che Kemp cerca di volgere contro la cerchia leonardesca si ritorcono contro la sua piena bocciatura. Kemp infatti sostiene che è una copia presenta la reiterazione di particolari dell’originale , compreso il velo della modella, i capelli, lo strato trasparente del suo vestito , la struttura delle mani. Eppure il volto è affrontato, sotto il profilo costruttivo, in modo diverso. C’è anche un altro dato che porterebbe a pensare che il dipinto sia successivo e non precedente a Monna Lisa del Louvre: l’uso della tela anziché della tavola lignea, preferita da Leonardo.
Secondo la fondazione svizzera, i test forensi – realizzati cioè da esperti, indicati da un tribunale – avrebbero dimostrato che si tratta della stessa donna – Lisa del Giocondo , moglie del ricco mercante fiorentino .
Gli svizzeri rilanciano questa ipotesi, basandosi anche sulle testimonianze storiche. “Fin dal sedicesimo secolo – sostengono- le fonti hanno suggerito che Da Vinci dipinse due versioni della Monna Lisa: un ritratto per il marito , nel 1503 ( l’ Isleworth Mona Lisa ) , e un altro , completato nel 1517 , per Giuliano de ‘Medici , mecenate di Leonardo – il ritratto , che ora appartiene alla collezione del Louvre”. “Nessuna prova scientifica è stata finora in grado di dimostrare definitivamente che questo non è un Leonardo Da Vinci “, ha detto il socio fondatore dell’ente privato svizzero e storico dell’arte, Stanley Feldman. Tuttavia , la fondazione ha riconosciuto che la Isleworth Mona Lisa è un lavoro incompiuto perché tutte la parti del dipinto non sono state completate .
Il dipinto è stato scoperto nella casa di un aristocratico , nel 1913 , dal collezionista Hugh Blaker, che lo acquistò per collocarlo nel nel suo studio a Isleworth, a sud-ovest di Londra .
Spedito poi negli Stati Uniti nel corso della prima guerra mondiale , fu acquistato nel 1960 da American conoscitore d’arte Henry Pulitzer .
Mentre il quadro era in suo possesso , e tenuto in una banca svizzera , Pulitzer ha scritto e pubblicato un libro, intitolato “Dove si trova la Gioconda?”, in cui ha sostenuto che la tela era un ritratto incompiuto, steso da Leonardo.
Alessandro Vezzosi , direttore del Museo Ideale Leonardo da Vinci , ha affermato che le osservazioni della fondazione meritano “considerazione” .” La Isleworth Mona Lisa è un importante opera d’arte che merita rispetto e di forte considerazione ” ha detto.
“Il paesaggio è privo di finezza atmosferica. La testa , come tutte le altre copie , non cattura la profonda inafferrabilità dell’originale ” ribatte Kemp. Problema aperto.
Nel frattempo la giovane “Gioconda”, divenuta americana ed esposta alla National Gallery di Washington, si sarebbe rivelata non come Lisa Gherdini, ma come Ginevra de’ Benci. Nel dipinto databile tra il gennaio 1475 e il giugno 1476, la ghirlanda con reca al centro un rametto di ginepro (allegoria del nome Ginevra) con il motto “virtutem forma decorat” è lo stesso che appare nel verso del ritratto ufficiale di Ginevra, dipinto ascritto a Leonardo. Allora ci troviamo di fronte a un seconda Ginevra, non a una seconda Lisa. La National Gallery di Whashington ha scoperto con i raggi infrarossi che, sotto il motto dipinto, si cela un’altra frase. E’ il motto del Bembo: virtus et honor (la bellezza adorna la virtù) e la ghirlanda, senza il rametto di ginepro, palma e alloro, è il simbolo nobiliare dello stesso Bembo. L’unione dei due elementi simbolici, uno evidente, l’altro nascosto, conferma il legame tra Ginevra e il veneziano Bernardo Bembo, giunto a Firenze nel 1475. Un amore clandestino. Ufficialmente Ginevra apparteneva a Luigi di Bernardo Niccolini, un vedovo che aveva quindici anni più di lei. Il contratto matrimoniale era stato stipulato a Firenze il 15 gennaio 1473, presso il notaio Simone Grazzini da Staggia. Anagrammando il motto, secondo la ricercatrice Carla Glori, con l’aggiunta del sostantivo iuniperus (ginepro) che appare dipinto al centro del motto stesso si ricaverebbero 50 frasi che raccontano la storia di Ginevra Benci, raffigurata nel ritratto, figlia di un ricco banchiere. La ricercatrice ha ipotizzato che Leonardo abbia utilizzato il motto come una ”macchina alfabetica” programmata per fornire attraverso anagrammi informazioni sul ritratto di Ginevra Benci, chi era e cosa le stava succedendo. La chiave per risolvere il tutto è stato aggiungere al motto virtutem forma decorat la parola latina iuniperus ovvero il rametto di ginepro. La macchina alfabetica farebbe emergere cinquanta frasi decifrate che sono anagrammi perfetti e collegandoli insieme è possibile formare, secondo la ricercatrice italiana, giungere a un testo coerente e significativo. Leonardo, com’è noto, era anche un enigmista. E l’uso di macchine alfabetiche caratterizzava cerchie ristrette. Peculiarità di questi antenati del computer era il fatto che non svolgevano una sola funzione. Erano programmate per contenere più funzioni fisse che variavano i contenuti a seconda del nome inserito.
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