Splendido. Studiosi traducono oscure parole all’interno di un bracciale del Tesoro del campo dei preti. E riescono a stabilire a chi appartenevano quei 100 oggetti preziosi sepolti 1100 anni fa

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Gli studiosi sono riusciti a tradurre le oscure rune del tesoro di Galloway Hoard, facendo luce sul proprietario di questo notevole deposito di preziosi. Ne dà notizia, in queste ore, il Guardian. Il tesoro era stato trovato una decina di anni orsono in un campo arato della Scozia. Il segreto stava all’interno di uno dei bracciali ad anello, di preziosa lamina battuta, che aveva – probabilmente per estensione – anche la funzione di indicare la proprietà del tesoro stesso. La traduzione non è stata agevole per la complessità della scrittura runica e per le varianti linguistiche presenti sui territori. E poi ne vedremo il risultato.

Il deposito – composto da oltre 100 manufatti realizzati in oro, argento, vetro, cristallo, pietra e terracotta – è testimonianza della raffinata arte e delle complesse dinamiche sociali dell’era vichinga e della contrapposizioni tra gli anglosassoni e i nuovi invasori, nonché dei contatti del mondo nordico con Costantinopoli e con l’Impero romano d’Oriente, che reclutava mercenari anche tra i vichinghi e gli uomini del nord e che costituiva anche un punto alternativo di riferimento per il mondo cristiano.

Il tesoro fu sepolto in un campo scozzese forse per timore di incursioni nemiche. Tra gli oggetti e le stoffe, anche materiali provenienti da Costantinopoli o dal Medio Oriente. Nelle buca sono stati trovati eleganti anelli, intricati bracciali e opere d’arte come una croce d’argento anglosassone e un vasetto in cristallo di rocca su cui è riportata una dedica in latino.

Sull’oggetto – che richiamerebbe il capitello di una colonna e che poteva fungere da piccolo lume, da contenitore per l’olio santo, per l’acqua o per il vino della messa – è stata trovata anche una scritta riferita al committente dell’opera. L’iscrizione latina sulla base, enunciata in lettere d’oro, si traduce come “Il vescovo Hyguald mi ha fatto fare”. Da ciò si può arguire che il prezioso recipiente sia stato un dono personale del presule, probabilmente a una chiesa o a un convento.

Gli esperti hanno faticato a dare un senso a quell’altra iscrizione, all’interno del bracciale.

La parole, composte da lettere runiche – appartenenti cioè all’alfabeto delle popolazioni di origine germanica – sono le seguenti: “DIS IS ЇIGNA ˑFˑ” -. Ma dopo la trascodifica della lettere è venuta è insorta la prima notevole difficoltà poiché la parola “ЇIGNAF” non si riferisce a nessuna lingua parlata nella Gran Bretagna o nell’Irlanda del primo medioevo.

Il mistero è stato svelato con la consapevolezza che la runa finale, “F” – contrassegnata con puntini, o puntini, su entrambi i lati – poteva essere intesa come “feoh”, che significa ricchezza o proprietà. “ЇIGNA” poteva quindi essere interpretata come il sostantivo in inglese antico “higna”, che significa comunità.

La frase intera è pertanto: “Questa è la ricchezza [proprietà] della comunità”.

La parola “higna” è spesso usata altrove nei documenti anglosassoni per indicare una comunità religiosa. Martin Goldberg, curatore principale delle collezioni altomedievali e vichinghe dell’NMS ha detto: “È davvero interessante vederla incisa su un bracciale, il tipo di cosa che altrimenti si troverebbe nelle concessioni di terreni e nelle rivendicazioni di proprietà”.

Il dottor David Parsons, uno dei principali runologi dell’Università del Galles, ha affermato che l’iscrizione era “difficile e insolita”.

“Ci sono un certo numero di cose che sono tecnicamente sbagliate se le confrontiamo con ciò che sappiamo sulla corretta scrittura runica. Tuttavia, se pensiamo sia all’inglese parlato che a quello scritto oggi, c’è una vasta gamma di varianti regionali e idiomatiche e, se lo teniamo presente, allora diventa possibile accettare questa come una lettura plausibile. Nel contesto di ciò che possiamo dedurre sul tesoro di Galloway, diventa davvero molto convincente.”

E’ difficile stabilire se il bracciale-fascetta sia stato inciso prima di nascondere il tesoro, forse accanto ad altri contenitori appartenenti a monaci o ad altri personaggi di rilievo della comunità, o se già questa caratterizzazione del deposito esistesse nel tempio. Quel che è certo è che il messaggio connota in chiave collettiva l’insieme dei preziosi.

Si tratta di capire perché, invece, sugli altri tre degli anelli al braccio siano incisi nomi in inglese antico. Potrebbe essere che il bracciale con il “riferimento collettivo” fosse un dono dei fedeli ai sacerdoti, come gli altri tre bracciali, donati da singoli parrocchiani. Esiste anche la possibilità che durante l’occultamento del tesoro, per ragioni di sicurezza, nei diversi involti o contenitori fossero depositati anche preziosi di singoli monaci o di parrocchiani. Comunque sia gli oggetti preziosi furono gestiti, a livello di protezione, dalla Chiesa.

Il momento del ritrovamento del tesoro

Il tesoro è stato rinvenuto nei pressi di Kirkcudbright, nella regione di Dumfries e Galloway, in Scozia occidentale, durante il 2014, quando un campo arato ha restituito alla luce questo straordinario ritrovamento. Il tesoro venne sepolto attorno al 900 d.C., sembra testimoniare un atto consapevole di salvaguardia collettiva, in un’epoca in cui le incursioni vichinghe mettevano in seria discussione la sicurezza delle comunità locali. E’ tuttora tenuto segreto il punto esatto del ritrovamento, per ragioni di sicurezza. Ciò avvenne in terreni agricoli della Chiesa in Scozia grazie al detectorista Derek McLennan. Accompagnato dal reverendo David Bartholomew e dal pastore Mike Smith – entrambi appassionati di metal detecting – McLennan aveva ottenuto il permesso di esplorare l’area. Durante una sessione che durò circa un’ora, il metal detectorista scoprì un oggetto in argento: inizialmente lo scambiò per un semplice cucchiaio, ma ruotandolo attentamente notò il caratteristico disegno a croce di Sant’Andrea.

La scoperta fu prontamente comunicata alla Treasure Trove Unit della Scozia e, insieme all’archeologo locale Andrew Nicholson, fu avviato uno scavo metodico sul sito. Le ricerche portarono alla luce numerosi manufatti sepolti a circa 60 centimetri di profondità. Una volta rimosso il primo strato, McLennan, riprendendo il suo metal detector, scoprì un ulteriore livello di tesoro nascosto proprio sotto il precedente. Tra questi reperti, spiccava una croce d’argento paleocristiana che, inizialmente trovata capovolta e parzialmente occultata da una pila di lingotti e bracciali decorativi – con una catena d’argento ancora attaccata – rivelò, una volta ribaltata, una decorazione riccamente elaborata sull’altro lato, regalando a tutti un momento di intensa emozione.

Tra gli oggetti più affascinanti, il vaso d’argento si distingue per la sua antichità: si ritiene che al momento della sepoltura potesse contare più di cento anni. Realizzato in una lega d’argento, il vaso fu rinvenuto avvolto nei resti di un panno, con il coperchio ancora saldamente al suo posto, suggerendo una funzione rituale o commemorativa. Prima di essere aperto e svuotato, il contenuto fu sottoposto a un’analisi mediante raggi X. Studi successivi hanno infatti confutato l’ipotesi di un’origine carolingia, orientando gli esperti verso un contesto culturale dell’Asia occidentale. La rimozione del tessuto rivelò decorazioni che includevano l’immagine di un altare del fuoco, simbolo del culto zoroastriano, e una composizione in argento legato al rame, elementi che richiamano l’arte sasanide. L’analisi degli isotopi del piombo, presente sia nella lega che nel niello, ha ulteriormente collegato il reperto alla miniera di Nakhlak, situata nell’Iran centrale.

Il contenuto del vaso si è rivelato altrettanto variegato e affascinante: al suo interno sono state trovate spille a disco anglosassoni in argento, una spilla d’argento irlandese, tessuti di seta provenienti dalla regione bizantina attorno a Costantinopoli (l’odierna Istanbul), un lingotto d’oro e altri oggetti in oro e cristallo di rocca, anch’essi avvolti in un panno. Inoltre, la croce d’argento, che alcuni ritengono possa avere origini a Dublino, presenta incisioni peculiari su ciascuno dei suoi quattro bracci, che McLennan ha ipotizzato possano rappresentare simbolicamente i quattro Vangeli.

IN SINTESI: La recente traduzione di una scritta in runico, incisa all’interno di un braccialetto a fascia, in lamina d’argento, trovato nel tesoro di Galloway, ha permesso di capire che, una parte degli oggetti nascosti attorno al 900 – forse a causa dell’insidia vichinga – erano di proprietà di una comunità, probabilmente religiosa, che faceva capo a un convento o a una chiesa. Altri oggetti erano forse stati depositati per ragioni di sicurezza da privati o costituivano altri blocchi di donazioni private confluite nel tesoro della comunità.

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Redazione
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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa

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