PUOI RICEVERE GRATUITAMENTE, OGNI GIORNO, I NOSTRI SAGGI E I NOSTRI ARTICOLI D’ARTE SULLA TUA HOME DI FACEBOOK. BASTA CLICCARE “MI PIACE”, SUBITO QUI A DESTRA. STILE ARTE E’ UN QUOTIDIANO , OGGI ON LINE, FONDATO NEL 1995
Proseguono gli studi di Paola Bonfadini dedicati alle tavolette lignee del Rinascimento bresciano. A chi volesse approfondire un tema appassionante e conoscere meglio questi fragranti brani di pittura – che in molti casi sono oggetto di collezionismo e sono facilmente rintracciabili sul mercato antiquario – consigliamo, della stessa Bonfadini, il libro Colori di legno. Soffitti con tavolette dipinte a Brescia e nel territorio (secoli XV-XVI), Starrylink editrice.
di Paola Bonfadini
Nelle piccole scene dipinte dei soffitti bresciani, una dimensione originale si dispiega continua in una galassia di simboli, specchio di civiltà ed epoche. Si tratta, infatti, d’una tendenza di gusto e stile, a cui si uniforma gran parte degli edifici del periodo.
Le ricerche effettuate, pur non definitive, forniscono indicazioni. Vedere, fotografare, mappare i numerosi complessi architettonici del territorio permette, a questo punto dell’indagine, d’affermare che il soffitto a tavoletta piace molto ai bresciani del Rinascimento. Nella città e nel territorio, infatti, le formelle diventano un fenomeno sociale diffusissimo proprio fra la prima metà del XV e il primo quarto del XVI secolo. E’ una moda che coniuga utilità e bellezza. Serve, del resto, un’efficace copertura per le ampie stanze delle eleganti case.
Il sistema a travi lignee alternate mostra alti standard di stabilità e sicurezza. Abili carpentieri e muratori realizzano la costruzione. Le tavolette, eseguite separatamente nella bottega artigiana, vengono, quindi, disposte con abilità negli appositi incastri. E anche nelle dimore del territorio bresciano l’evoluzione tecnica viene rispettata, come in altri centri lombardi.
Se nei soffitti locali più antichi i pezzi, in legni del posto, sono di forma oblunga e rettangolare (cm 19-20×40-41 circa), in seguito, dalla fine del Quattrocento, le assi più alte e le superfici più ampie concedono di collocare serie quasi quadrate (cm 40×40, 50×50 circa), aumentando l’area decorabile. Citiamo, ad esempio, la fantasiosa serie del palazzo della Mercanzia (quinto-sesto decennio del XV secolo) e il prezioso ciclo di palazzo Colleoni (sesto-ottavo decennio del Quattrocento).
Pregevoli immagini quadrangolari costituiscono invece, in genere, i soffitti tra fine Quattrocento ed inizio Cinquecento, come in palazzo Bona (Averoldi) o in alcuni esemplari di proprietà privata. Non mancano, tuttavia, nei primi decenni del XVI secolo, situazioni, in un certo senso, tecnicamente attardate con profili rettangolari allungati, come in casa Zitti a Cemmo.
Per quanto riguarda, inoltre, gli esecutori, pur con la presenza di botteghe specializzate sul territorio, notiamo un lessico tecnico comune. Le tinte a tempera, cioè mescolate (temperate) con sostanze collanti (uovo, ecc.), sono stese sul supporto ligneo mediante una lieve o sottile preparazione, senza o quasi vernici di protezione aggiunte ai colori stesi.
Le cornicette decorate a motivi floreali stilizzati o a dentelli, in più, nascondono saldature o i pochi chiodi per fissare meglio le tavole, come si osserva negli esemplari di fine Quattrocento nel Museo Archeologico di Gavardo (ultimo quarto del XV secolo) o in quelli di una dimora privata cittadina (settimo-ottavo decennio del XV secolo). Frequenti sono anche le coeve cornici polilobate in rilievo, come nella casa cittadina di via Pontida 3 con fiori delicati, o le più fantasiose, con animali, scene di caccia, concerti, della sala-studio di palazzo Calini ai Fiumi.
La cornice mistilinea, ma definita da una sottile linea bianca, gialla o verde, si ritrova spesso a partire dal 1470 circa, come nelle serie del monastero di San Pietro in Oliveto o nei portici e nella galleria di palazzo Colleoni. Sul finire del Quattrocento e nel primo quarto del Cinquecento, per l’evoluzione costruttiva, si modificano anche le cornici, che assumono forme architettoniche di gusto classicheggiante, con soluzioni prospettiche spesso arricchite da rigogliosi festoni fioriti e cornucopie, come in palazzo Bona (Averoldi) o nella casa canonica della chiesa di San Lorenzo in Brescia. Persistono, comunque, tracce di margini con bifore, trifore, guglie ancora tardogotiche, come nel salone “Bevilacqua” di palazzo Colleoni (1470-80) o in una coeva dimora cittadina.
Relativamente alla destinazione delle formelle, ancora, un aspetto tipico dell’ambito bresciano è il progressivo affermarsi d’una esigenza strutturale e decorativa che s’impone quale motivo dominante d’arredo.
Ma quali sono i soggetti preferiti nelle formelle dei soffitti bresciani? La pittura locale su tavoletta, salvo rari casi, è sostanzialmente di carattere profano. Spiccano alcuni soggetti e idee dominanti: il prestigio familiare, la cultura letteraria antica e del tempo, sogni e visioni dell’immaginario. Compaiono, così, dame e gentiluomini, stemmi di famiglie unite da complicate alleanze matrimoniali e politiche. Putti danzano, suonano, giocano sui festoni, accanto ad animali reali e fantastici. Per non parlare delle rappresentazioni allegoriche: si afferma un universo di simboli, spesso vicino alla sensibilità medioevale, come il fantasioso bestiario, fatto di sirene, levrieri, ghepardi sul soffitto della casa di via Pontida 3 (ultimo quarto del XV secolo).
Frequenti risultano, poi, gli stemmi: le nobili famiglie sono immortalate sulle pregevoli pagine lignee a Brescia e nel territorio, come in casa Bruni Conter a Limone di Gavardo (fine XV-inizio XVI secolo), o nelle stanze della “Begia” di Gussago (ottavo decennio del XV secolo).
Un altro capitolo narrativo frequente è il tema degli imperatori, filosofi, poeti classici e medioevali, come in palazzo Colleoni o nel più spontaneo gruppo della casa canonica e del salone parrocchiale della chiesa di San Lorenzo in Brescia (1470-90). In quest’ultimo spazio, ad esempio, sono accostati Giustiniano e Federico Barbarossa, Nerone e Ludovico di Baviera, in una curiosa continuità storica. Lo stile è un po’ ingenuo, ma efficace, con i personaggi disposti in cornici circolari che ricordano le “imagines clipeatae” romane.
Di carattere religioso poche sono, invece, le tracce: citiamo la collezione del monastero di San Pietro in Oliveto, con santi e scene della vita di Cristo, o la copertura con simboli sacri nel Palazzo vescovile.
Sorge, quindi, spontanea una domanda: è “vera” pittura quella delle tavolette lignee? Meglio: è soltanto una “pittura artigiana”, volta ad arredare i locali di rappresentanza o d’attività?
Non soltanto. E’ frutto, certo, d’un lavoro d’équipe, anche per il gran numero di pezzi da montare sul soffitto, operazione troppo lunga e difficoltosa, evidentemente, per un unico capobottega. Entrano in gioco i capaci collaboratori, secondo le disponibilità finanziarie del committente. Ma le tavolette sono solo uno dei prodotti legati all’articolata operosità della bottega. E’ il caso del cosiddetto “Maestro delle tavolette di Salò”, il cui stile si riconosce in un’ampia gamma di opere su tavola, a fresco e su formelle nell’arco di circa trent’anni, dal 1480 al 1509, come le tavolette a Salò dal palazzo dei Provveditori e dalla casa canonica del duomo.
E i modelli, le fonti iconografiche?
Gli artisti paiono attingere, comunque, alla grande pittura monumentale locale, come accade per un gruppo ligneo con caratteri stilisticamente omogenei (Casa di Dio, canonica di San Lorenzo), per il quale è stato fatto il nome di Giovan Pietro da Cemmo, ma soprattutto traggono ispirazione dalla meno nota tradizione illustrativa miniata e libraria anche locale, come per casa Zitti riguardo alle xilografie ideate da Benedetto Bordon ed incise da Jacopo da Strasburgo nel 1504. Circolano, del resto, nelle botteghe, repertori d’immagini, adeguati per illustrare le vicende lignee.
Ritengo, perciò, che la produzione d’arredo bresciana con formelle sia strettamente connessa, per gli elementi ornamentali e persino per alcuni soggetti, anche al lessico espressivo dell’antico patrimonio librario illustrato d’ambito locale e non solo tra il secondo Quattrocento e il primo quarto del Cinquecento. Ad esempio, i putti delle tavolette di Casa di Dio o della galleria di palazzo Colleoni sono ricollegabili ad analoghi soggetti dei libri corali (Antifonari e Graduali) del Duomo vecchio di Brescia, miniati da Giovan Pietro da Birago e bottega tra il 1471 e il 1474. O rilevante è l’acquisizione di un alfabeto decorativo di derivazione emiliana, attraverso gli Antifonari e Graduali per il convento cittadino di San Francesco d’Assisi, dipinti da Jacopo Filippo Medici Argenta tra il 1490 e il 1496. Tali suggestioni si colgono nelle composizioni delle formelle alla casa canonica del duomo di Salò o nelle coperture di case private in città.
Un capitolo a parte è rappresentato dai collezionisti. Fra tutti, ricordiamo Ugo Da Como (1869-1941), che fa collocare con grande sensibilità e cura, presso la Casa del Podestà a Lonato, delicate formelle, di area cremasca e bresciana.
Quali, dunque, i problemi, gli interrogativi lasciati irrisolti? Innanzi tutto, l’assenza di dati documentari, che testimonino, allo stadio attuale della ricerca, nomi e botteghe di artisti-artigiani bresciani. Un’altra difficoltà rimane la ricognizione esaustiva e completa sul territorio, spesso a causa degli smembramenti, adattamenti o distruzione dei soffitti.
Nonostante ciò, da questa mia prima analisi, emerge un quadro significativo della pittura lignea d’arredo a Brescia e nel territorio. Le coperture sono indizi di una tendenza comune nel Rinascimento locale presso numerosi strati sociali, una testimonianza di “pittura artigiana”, ma con punte qualitative alte: la funzione si concilia armonicamente con il senso estetico. Nei frammenti lignei, inoltre, si avverte l’eco d’un ricco linguaggio artistico, in cui si mescolano pittura, incisione, miniatura, storia della moda.
Persino un soffitto, quindi, può diventare un utile ed affascinante documento di storia e cultura, segno tangibile dell’antico cuore pulsante d’una comunità come quella bresciana.