[A]ttorno al 1534 Alessandro Bonvicino, il Moretto, artista ormai maturo nelle scelte stilistiche e nella capacità di assumere le novità che gli giungevano generose sia dalla Laguna che da Roma, realizzava la grande pala raffigurante l’Incoronazione della Vergine con i santi Michele arcangelo, Giuseppe, Francesco e Nicola da Bari per la Collegiata dei Santi Nazaro e Celso a Brescia. La tavola (289×189 cm), racchiusa in una cornice in legno intagliato (oggi perduta), era accompagnata da quattro tavole: l’Eterno Padre, posto sulla cimasa, i due tondi raffiguranti l’Annunciazione, accanto alla parte arcuata della pala, e l’Adorazione dei pastori nella predella. Non si conosce chi fu il committente, ma la cappella al tempo della visita apostolica di san Carlo Borromeo (1580) era di patronato della famiglia Soncini. La solenne struttura rimaneva in loco fino alla ricostruzione della chiesa, tra il 1752 e il 1780. Poco dopo andava perduta la cornice e nella nuova sistemazione venivano collocate solo la pala e la tavola dell’Eterno Padre.
Tralasciando la lunga disamina critica sulla tavola, si indaga qui la geometria nascosta del dipinto, già notata in passato da Luciano Anelli e da Valerio Guazzoni ma solo per sommi capi, rilevando, nel caso di Guazzoni, “come già nella pala di Sant’Eufemia, i santi si raggruppano secondo un preciso contrappunto, due in piedi e due in ginocchio: ma, rispetto a quella pala, l’ordine delle figure appare scambiato, incrociato; inoltre le diagonali, su cui le figure si impostano, hanno fra loro lunghezza diseguale, conferendo al gruppo quasi un ritmo ruotante” (Moretto. Il tema sacro, 1981). In verità, come si potrà vedere, i rapporti sono molto più profondi e definiti, proprio secondo schemi geometrici precisi, desunti, con ogni probabilità, da conoscenze e letture che il Moretto, allora attorno ai trentasei anni, doveva avere nel suo bagaglio culturale di uomo e di artista. Nella ricerca è stata essenziale la guida di un volume ormai di più di quarant’anni fa (ma apparso in Italia solo nel 1988), La geometria segreta dei pittori di Charles Bouleau, dal quale sono state attinte molte delle nozioni geometriche applicate all’opera del Moretto.
“Ubi vult spirat”,
dove spira il vento:
è l’azione dello Spirito Santo
La pala di San Nazaro era in origine centinata, e l’elemento arcuato serve come base per la costruzione dei due cerchi identici che definiscono nell’insieme l’intera disposizione dei personaggi: il cerchio superiore non racchiude solo la scena dell’incoronazione della Vergine, ma segna la scansione dei quattro personaggi della parte inferiore, che risultano scalati su questa sezione di arco, e perfino l’altezza della pianta di fico. A sua volta il cerchio inferiore definisce nella parte alta la dimensione e la posizione delle figure di Cristo e della Vergine e nella parte bassa racchiude le figure dei santi, lasciando all’esterno solamente la figura del demonio e, per ovvi motivi compositivi, la parte inferiore del corpo di san Nicola da Bari.
Cominciando ad esaminare più approfonditamente il cerchio superiore, si nota che in esso si trovano inscritti due pentagoni regolari che definiscono la posizione del capo e della spalla di Cristo, quella dei due angioletti adoranti ai lati e, soprattutto, nei due punti di intersezione inferiori, i visi di san Michele e di san Nicola, mentre sul lato inferiore di uno dei due pentagoni si pongono le teste di san Giuseppe e di san Francesco. All’interno dello spazio individuato dalle intersezioni dei due pentagoni si può isolare un rettangolo nel quale sono posti alle estremità la Vergine e san Giuseppe in una sorta di silenzioso dialogo spirituale. Tracciando poi, sulla base dei due pentagoni, l’esatta linea di mezzeria della pala, si nota che essa definisce ulteriormente lo spazio occupato dal viso del Cristo e passa al centro di quello della Vergine, la cui posizione è marcata dalla linea orizzontale passante per l’intersezione dei due poligoni. Individuando, poi, la sezione aurea dei poligoni, si giunge a determinare la linea esatta sulla quale sono posti i due angeli adoranti e, soprattutto, il punto dal quale parte il pastorale di san Nicola, essenziale per ulteriori sviluppi geometrici all’interno della pala.
Passando ad esaminare il cerchio inferiore, si potrà inscrivere al suo interno un doppio esagono la cui forma servirà a definire ulteriormente le figure della parte bassa, a partire dal viso dell’angelo per il quale sono stabilite la posizione degli occhi e della bocca e l’inclinazione dell’ala, a san Nicola che vede definite la posizione della bocca e la misura della spalla, oltre che la piega a piombo del piviale, a san Francesco per il quale si indicano la posizione della mano sinistra e la struttura delle pieghe della tunica. Un’altra linea orizzontale, importante per definire la posizione dei personaggi, è quella che si forma passando per le intersezioni dei quattro poligoni: essa determina anche lo stacco tra la sfera celeste e quella terrestre.
A questa intelaiatura costruita sui cerchi e i poligoni se ne sovrappone un’altra il cui indizio è fornito dal pastorale di san Nicola che, prolungato nella parte inferiore, giunge ad intersecare la linea di mezzeria e definisce la lunghezza della tunica di san Giuseppe dopo aver determinato la posizione del braccio destro di san Francesco; la stessa linea, in posizione speculare, segna, dall’alto, la struttura del torso dell’angelo, definisce il punto dove si trova la mano di san Giuseppe e indica l’orientamento della piega nella tunica di san Francesco. Portate nella parte superiore, le due linee sono essenziali per determinare il movimento delle gambe del Cristo, la porzione nella quale si trova il suo volto e la posizione del corpo della Vergine ma, ancor di più, segnano il luogo, nell’intersezione con la linea di mezzeria, dove si trova il punto medio tra il capo della Vergine e la corona che Cristo tiene tra le mani.
Alla definizione della parte superiore concorrono, a questo punto, altri due cerchi: uno di raggio minore, poggiante su un lato dell’esagono e incluso tra due del pentagono, che determina lo spazio essenziale delle figure di Cristo e della Vergine e, finalmente, della colomba dello Spirito Santo; un altro cerchio di raggio maggiore, poggiante sulla linea formata sui punti di intersezione dei poligoni e avente come diametro il lato minore del rettangolo inscritto nel cerchio superiore, sul quale si costruiscono il panneggio del Cristo, l’altezza del capo della Vergine e la misura del ginocchio della stessa.
A ciò si deve aggiungere il triangolo isoscele formato dal prolungamento dell’asta di san Michele, che definisce ulteriormente la figura della Vergine e che racchiude al suo interno, ancora una volta, la Vergine e san Giuseppe.
Questa complessa intelaiatura geometrica non può, chiaramente, essere casuale. Al contrario, la disposizione delle figure e degli elementi della rappresentazione su cerchi e poligoni era già utilizzata nel Medioevo; tuttavia, l’accentuazione della dimensione simbolica, specialmente nel ricorso al pentagono e alla sezione aurea, usati soltanto nella parte superiore del dipinto per significare la posizione dei personaggi celesti, si appoggia sul concetto platonico della perfezione divina del pentagono (la quintessenza), proprio in virtù della difficoltà di determinarlo geometricamente.
Tale concetto era stato ribadito pochi anni prima della realizzazione della pala di San Nazaro da Luca Pacioli, che nel suo De divina proportione, pubblicato a Venezia nel 1509 da Paganinus de Paganinis di Brescia, definiva come divina la proporzione aurea e la sua capacità di determinare la proporzione dei poligoni, ivi compreso il pentagono. Questa proporzione, percepita come la più armonica anche se (e forse proprio per ciò) impossibile da tradurre in numeri interi, era paragonata dal Pacioli a Dio perché come Lui unica; perché, come la Trinità che è sostanza in tre Persone, è una sola proporzione in tre termini; perché, come Dio che è impossibile da contenere nel discorso, è impossibile da esprimere con un numero razionale e finito; perché come Lui è sempre simile a se stessa; perché come Dio creatore, è alla base della costruzione del duodecedron (figura solida formata da dodici pentagoni) che Platone nel Timeo riteneva essere l’espressione della quintessenza.
E’ possibile che Moretto fosse influenzato da questa visione fortemente divinizzante della proporzione geometrica e, per ciò, l’applicasse alla parte alta della pala di San Nazaro; tanto più che, ancor prima della pubblicazione del De divina proportione, che in qualche modo è la summa, aperta alle novità umanistiche, di tutte le prospettive di ricerca medievali, si nota l’utilizzo del pentagono inscritto nel cerchio per determinare la struttura compositiva di raffigurazioni divine, specie della Vergine. Ed è per questo che, contrariamente al san Nicola che non insiste sui lati dei pentagoni e sulla loro intersezione, il viso dell’arcangelo Michele – unica presenza celeste nella parte bassa della pala – viene costruito su tali linee di riferimento. Ed è pure per questo che l’artista non utilizza il pentagono ma l’esagono per la parte inferiore inscritta nel cerchio: con ciò riserva la purezza della proporzione divina alla sola sfera celeste e concede a quella inferiore il compito della mediazione.
Attorno a tale duplice declinazione della perfezione e della mediazione si costruisce poi il resto dei rapporti, segnati ancora dalla sezione aurea che, come detto, funge da punto di partenza per il pastorale di san Nicola e permette di tracciare le diagonali che definiscono ulteriormente la struttura individuando alcuni punti essenziali delle figure di Cristo e della Vergine ma, soprattutto, decidendo il punto di fuoco della parte alta, coincidente con la corona che Cristo sta per posare sul capo della madre. E neppure è da sottovalutare la scansione dei due cerchi che, ancora una volta, sottolineano e racchiudono le figure divine, segno di una precisa volontà del pittore di “misurare” (pur lasciando intatta la sua irraggiungibilità) il mondo del cielo.
Solo un’ultima sottolineatura, e stavolta non di carattere geometrico: nella pala spira un vento che muove panni, veli e capelli. Questo vento interessa, oltre al nostro dipinto, anche la tavola dell’Eterno Padre (collocata sopra la pala) e i due tondi raffiguranti l’Annunciazione, un tempo collocati accanto alla centina. Eppure questo vento coinvolge solo le figure divine e la Vergine; non ve n’è tra i ricci biondi di san Michele, né tra le barbe degli altri tre uomini.
Anche qui si tratta, crediamo, di un discorso simbolico molto profondo, legato all’azione dello Spirito Santo che, nel Vangelo di san Giovanni, si dice soffi dove vuole ed è la vita interna della Trinità. E’ il soffio che
ri-crea nella dimensione del trascendente e che rafforza la struttura geometrica del pentagono divino e delle sue intersezioni in una sorta di movimento di ri-creazione, appunto, nel quale la Vergine è all’inizio come nuova creatura. Così il discorso teologico-geometrico di Luca Pacioli nel quale divinità e geometria si intrecciano (si legge: “Come la virtù celeste o quintessenza ha permesso di creare i quattro elementi da cui è scaturita tutta la natura, così la nostra santa proporzione permette di formare il ‘duodecedron’ che l’antico Platone, nel Timeo, definisce l’espressione stessa della quintessenza”) segna la strada al discorso teologico-figurativo del Moretto nel quale san Giuseppe, muto osservatore, sta a scrutare il cielo – aperto, chissà se già lo sapesse, al mondo della modernità – nel quale l’alito divino muove, immobile, se stesso, il cielo e le altre cose.